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Mistero e legge del Dolore
di Domenico Caruso - Aprile 2011
Chi cerca la verità dell'uomo
deve farsi padrone del suo dolore.
(Georges Bernanos, La gioia)
Mistero del dolore
Il dolore umano è, senza dubbio, il mistero più profondo della Creazione.
Venendo noi al mondo, la prima sensazione è di soffocamento: dal primo vagito fino alla morte è un continuo tormento.
«Partorito nel dolore, accolto dalle luci accecanti di una sala operatoria, dalle voci concitate dei medici e dalle grida della madre, sculacciato e sdraiato su una fredda superficie d’acciaio, il neonato incontra il dolore e la paura come prima impressione e da quel momento, come nell’imprinting delle oche, li seguirà come i suoi veri genitori. [...] Tutta la vita di un uomo ordinario sembra controllata da questo primo attimo, dall’esperienza di quel fuoco liquido che ha sentito attraversargli i polmoni nel terrificante passaggio da essere acquatico ad essere d’aria». (1)
E non ci riferiamo soltanto al dolore fisico, ma soprattutto a quello psichico, all’altro della mente, al dubbio, all’insuccesso.
Afferma Arthur Schopenhauer che la psicologia dell’uomo oscilla perennemente tra due stati: la noia e il dolore. Quando non proviamo dolore ci annoiamo e per uscire dalla noia cerchiamo il dolore.
Per il filosofo tedesco l’essenza stessa della vita è dolore, perché vivere significa volere:
«Ogni volere scaturisce da bisogno, ossia da mancanza, ossia da sofferenza. A questa dà fine l’appagamento; tuttavia per un desiderio, che venga appagato, ne rimangono almeno dieci insoddisfatti; inoltre, la brama dura a lungo, le esigenze vanno all’infinito; l’appagamento è breve e misurato con mano avara. Anzi, la stessa soddisfazione finale è solo apparente: il desiderio appagato dà tosto luogo a un desiderio nuovo: quello è un errore riconosciuto, questo un errore non conosciuto ancora». (2)
Anche da un diverso punto di vista, la vita è sempre una parabola misteriosa:
«Una cosa è certa: l’uomo è sulla terra come in un immenso spazio dove tutto è chiaro e tutto oscuro allo stesso tempo, dove tutto è segno di una presenza invisibile e dove una provocazione continua, viene da ciò che lo sovrasta col suo splendore e la sua astronomica distanza.
Sono le cose lontane e inaccessibili che continuano ad interrogarlo obbligandolo a guardare in su in quei punti luminosi, che come buchi stellati squarciano la volta nera senza stancarsi di dirgli che forse è lassù la risposta che cerca». (3)
Nella Lettera Apostolica “Salvifici Doloris”, il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II (11 febbraio 1984) fornisce il senso cristiano della tribolazione dell’uomo, soffermandosi in modo particolare alla parabola del buon Samaritano:
«Essa indica, infatti, quale debba essere il rapporto di ciascuno di noi verso il prossimo sofferente. Non ci è lecito “passare oltre” con indifferenza, ma dobbiamo “fermarci” accanto a lui. Buon Samaritano è “ogni uomo, che si ferma accanto alla sofferenza di un altro uomo”, qualunque essa sia. Quel fermarsi non significa curiosità, ma disponibilità. Questa è come l’aprirsi di una certa interiore disposizione del cuore, che ha anche la sua espressione emotiva. Buon Samaritano è “ogni uomo sensibile alla sofferenza altrui”, l’uomo che “si commuove” per la disgrazia del prossimo».
La legge del dolore
Nessuno sfugge alla legge implacabile del dolore, dal regno minerale a quello vegetale, dall’animale all’uomo.
Scrive il poeta di Recanati:
«Entrate in un giardino di piante, d’erbe, di fiori. Sia pur quanto volete ridente. Sia nella più mite stagione dell’anno. Voi non potete volger lo sguardo in nessuna parte che voi non vi troviate del patimento. Tutta quella famiglia di vegetali è in stato di “souffrance”, qual individuo più, qual meno. Là quella rosa è offesa dal sole, che le ha dato la vita; si corruga, langue, appassisce. Là quel giglio è succhiato crudelmente da un’ape, nelle sue parti più sensibili, più vitali. Il dolce miele non si fabbrica dalle industriose, pazienti, buone, virtuose api senza indicibili tormenti di quelle fibre delicatissime, senza strage spietata di teneri fiorellini». (4)
Il dolore individuale diventa qui immagine di quello universale che riguarda la natura stessa. E’ quanto esprime anche il più grande poeta latino, Virgilio:
«Sunt lacrimae rerum, et mentem mortalia tangunt». (5)
Un tedio infinito pare che in certi momenti emani dalle cose, quando in realtà è il pianto che noi facciamo su quanto creato: “Sono lacrime delle cose, che toccano la mente dei mortali”.
«La teologia e la filosofia non sono riuscite a fornire soddisfacenti argomentazioni circa la provenienza e la destinazione finale dell’uomo, sull’esistenza o meno di Dio. La chimica e la biologia non hanno mai provato adeguatamente che l’origine della vita sia riconducibile a semplici meccanismi casuali o causali. La fisica non ha mai addotto elementi sufficientemente plausibili per poter giustificare, in maniera accettabile, il caos e l’armonia esistenti nell’universo». (6)
Solo in apparenza ci si augura salute e proprietà. Anche i ricchi e i potenti vivono sempre in una condizione di precarietà e d’incertezza.
Non a torto Pietro Metastasio sentenzia:
Se a ciascun l’interno affanno
si leggesse in fronte scritto,
quanti mai, che invidia fanno,
ci farebbero pietà!
Si vedrìa che i lor nemici
hanno in seno; e si riduce
nel parere a noi felici
ogni lor felicità.
Domenico Caruso
(Da: Il trittico dell'uomo: Il Dolore, la Morte & la Speranza pubblicato, a puntate, sul mensile La Piana di Palmi-RC dal febbraio al novembre 2009).
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Note
1) Sito Internet www.uniese.it.
2) A. Schopenhauer, “Il mondo come Volontà e rappresentazione”, Laterza - BA, 1986.
3) Carlo Carretto, “Perché Signore?” - Il dolore: segreto nascosto nei secoli - Morcelliana - BS, 1985.
4) «Opere» di Giacomo Leopardi - Parte II - “Zibaldone” [4174-4177] Ed. Vita - MI, 1966.
5) Virgilio, “Eneide”, lib. I, 462.
6) Romeo Frigiola: Introduzione de “L’esperienza del dolore - Il lamento dell’uomo e il silenzio di Dio”, A. Nobile Ed. - MT, 1999.
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