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Libertà va cercando…

di Domenico Caruso - Giugno 2013

 

 

Nell’avviarsi al Purgatorio, Dante incontra il vigile custode Catone (95-46 a.C.) che si uccise ad Utica per non sottomettersi a Cesare e in omaggio alla libertà della Repubblica minacciata dal vincitore. Alla domanda riguardante il motivo del viaggio, Virgilio risponde allo stoico che il poeta è in cerca della libertà di spirito, la cosa più preziosa, come ben sa colui che per quell’amore rinuncia alla vita:

 

libertà va cercando, ch’è sí cara,

come sa chi per lei vita rifiuta. (Purg. I, 71-72)

 

L’affermazione va riferita, essenzialmente, alla partecipazione alla comunità politica negata all’integerrimo vegliardo, avversario dell’imperatore.

La libertà è l’espressione della dignità personale, un bene che non si può comprare ad alcun prezzo. Per l’articolo 13 della nostra Costituzione «la libertà personale è inviolabile» ed ogni costrizione deve essere indicata tassativamente dalla legge.

Sotto il profilo morale le condizioni di una vera libertà sono rappresentate dall’adempimento dei propri doveri civili e dal rispetto dei diritti altrui.

Il termine libertà, dal latino libertas derivato dall’aggettivo liber (uomo libero, distinto per nascita da servus, schiavo), potrebbe avere relazione anche con la famiglia (liberi erano i figli) e con il piacere (libidine, libare).

«La libertà non consiste nell’avere un buon padrone, ma nel non averne affatto», scrive nella sua Repubblica il console e filosofo romano Marco Tullio Cicerone (106-43 a.C.). Ma è pur vero, sentenzia il greco maestro dei sapienti Aristotele (384-322 a.C.), che «l’uomo è un animale sociale e» - quindi - «potrà sentirsi libero soltanto in rapporto con il prossimo». «Senza la legge», conviene anche il filosofo e fisico britannico John Locke (1632-1704), «non si può essere liberi». Per il filosofo russo inglese ebreo Isaiah Berlin (1909-1997): «L'essenza della libertà è sempre consistita nella capacità di scegliere come si vuole scegliere e perché così si vuole, senza costrizioni o intimidazioni, senza che un sistema immenso ci inghiotta; e nel diritto di resistere, di essere impopolare, di schierarti per le tue convinzioni per il solo fatto che sono tue. La vera libertà è questa, e senza di essa non c'è mai libertà, di nessun genere, e nemmeno l'illusione di averla».

Alla Libertà i Romani avevano innalzato due templi, nel Foro e nell’Aventino. La divinità allegorica, affine alla Eleutèria greca, era raffigurata da una donna recante in una mano lo scettro, nell’altra un berretto frigio (pileus) e ai piedi un gatto. Essa rappresentò prima la libertà personale e poi il diritto, riservati ai cittadini romani. Morto Cesare, in Europa il simbolo religioso divenne civile, fino allo scoppio della Rivoluzione francese. La Marianne personificava la Repubblica e ne rappresentava i valori (Liberté, égalité, fraternité).

Il berretto di Frigia (un copricapo rosso conico con la punta ripiegata), che nell’antica Roma veniva donato dal padrone agli schiavi liberati (i liberti), fu adottato dai giacobini e divenne l’emblema dei rivoluzionari. In America, avendo il presidente Abramo Lincoln (1809-1865) già proclamato l’emancipazione degli schiavi, il berretto frigio venne sostituito con un elmetto piumato.

Presente nella poesia e nella tragedia greca arcaica, ripreso dai filosofi, è il concetto di Fato (fatum, ciò che è detto). Per i latini indicava la decisione di un essere soprannaturale cieco e, successivamente, il Destino (figlio del Caos e della Notte) a cui tutti erano sottoposti, compresi gli dei. La libertà dell’uomo, pertanto, consisteva nella libera accettazione del proprio destino e nell’obbedienza al principio dell’equilibrio e dell’armonia universale.

Eraclito di Efeso (535-475 a.C.) afferma che tutto avviene secondo il fato e questo è la stessa cosa che la necessità. Il filosofo asserisce che «il carattere è destino», «nel tuo petto sono le stelle del destino».

Anche il politico e letterato romano Appio Claudio Cieco (350-271 a.C.) annuncia: «Faber est suae quisque fortunae», (ciascuno è artefice della propria sorte), poiché nella vita dell’uomo conta la volontà e l’azione.

In epoca più recente, don Luigi Sturzo (1871-1959) dichiara: «La libertà è come l’aria: si vive nell’aria; se l’aria è viziata, si soffre; se l’aria è insufficiente, si soffoca; se l’aria manca, si muore».

Il filosofo e drammaturgo  francese Voltaire (1694-1778) attesta: «Non condivido le tue idee, ma mi batterò fino alla morte affinché tu possa esprimerle».

Il greco Esopo (620-560 a.C.), in una sua favola, narra che uno sparviero affamato ghermì un usignolo che cantava sopra un’alta quercia. La povera vittima gli chiedeva di farlo andare, in quanto non era sufficiente a riempirgli lo stomaco.

Ma il rapace rispose che sarebbe stato uno sciocco se, lasciando andare quel cibo, avesse inseguito cose più lontane.

Nell’opera di Esiodo (VIII sec. a.C.) la lotta fra l’usignolo e lo sparviero rimane drammaticamente sospesa e affidata ai regnanti di dubbia giustizia. La superiorità della forza sulla virtù canora non lascia dubbi. Ecco ciò che lo sparviero disse fra le nuvole all’uccelletto piangente, stretto e trafitto dai suoi artigli adunchi:

«Sciagurato, perché ti lamenti? Ora sei preda di chi è più forte; verrai dove io ti porterò, pur essendo tu un bravo cantore; farò pasto di te, se voglio, oppure ti abbandonerò. E’ stolto chi vuole opporsi ai più forti: rimane senza vittoria ed aggiunge dolori alla vergogna». (Da: Le opere e i giorni).

Vi è nel poeta greco un desiderio insopprimibile di giustizia, che trova in Giove il supremo difensore affinché sia possibile il progresso umano.

Un particolare importante ha segnato la vita di Esiodo. Alla morte del genitore, il patrimonio familiare fu diviso tra lui e il fratello Perse il quale, con un raggiro e corrompendo i giudici, dopo aver dilapidato la sua parte s’impossessò di quella del congiunto. Nel suddetto poema didascalico (Erga kài hemérai - vv. 274-278) Esiodo sostiene: «Considera tutto ciò e porgi ascolto al diritto, dimentica ogni violenza. Ché tale è il costume che Zeus ha prescritto agli uomini: i pesci e le fiere e gli uccelli alati si divoreranno fra loro, poiché non v’è tra loro diritto. Ma agli uomini egli diede il diritto, sommo tra i beni».

Al vertice della libertà sta l’amore. Già Confucio (551-479 a.C.), fondatore della filosofia orientale, in tempi di grande corruzione dettava le sue regole universali:

«Il Maestro disse: - Il savio il quale mangiando non cerca sazietà, dimorando non cerca comodità, è accorto nelle faccende e cauto nelle parole, e si tiene presso ai sapienti per migliorarsi, si può chiamare amante del sapere - ». Ed anzitutto:

«Ciò che non vuoi sia fatto a te stesso, non farlo agli altri».

Ma più che in negativo, risponde alle esigenze più intime del cuore umano la massima evangelica: «Quanto dunque desiderate che gli uomini facciano a voi, fatelo anche ad essi. Questa è infatti la legge e i profeti». (Mt 7, 12)

Il messaggio cristiano è legato in modo indissolubile alla libertà. Si legge nella Bibbia che Dio rinuncia alla sua onnipotenza e concede all’uomo la libertà di scelta:

«Di tutti gli alberi del giardino tu puoi mangiare; ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, nel giorno in cui te ne cibassi, tu certamente morirai». (Gn 2, 16-17)

Il Signore ci ha creati e ci vuole liberi ma, come s’è visto, ad una condizione: quella del vicendevole amore. L’apostolo Paolo esorta:

«Voi, fratelli, siete stati chiamati alla libertà; soltanto non dovete poi servirvi della libertà come un pretesto per la carne, ma per mezzo della carità siate gli uni schiavi degli altri. Poiché la legge trova la sua pienezza in una sola parola e cioè: Amerai il tuo prossimo come te stesso». (Gal 5, 13-14)

Il Catechismo della Chiesa Cattolica chiarisce:

«La libertà è il potere, radicato nella ragione e nella volontà, di agire o di non agire, di fare questo o quello, di porre così da se stessi azioni deliberate. Grazie al libero arbitrio ciascuno dispone di sé. La libertà è nell’uomo una forza di crescita e di maturazione nella verità e nella bontà. La libertà raggiunge la sua perfezione quando è ordinata a Dio, nostra beatitudine».

(Libreria Ed. Vaticana, 1992 - parte III, sez. I - n.1731).

La poesia è l’intermediaria fra la razionalità e il sentimento. Il presidente americano John F. Kennedy (1917-1963) fa presente:

«Quando il potere spinge l'uomo all'arroganza, la poesia gli ricorda i suoi limiti. Quando il potere restringe il campo dei suoi interessi, la poesia gli ricorda la ricchezza e diversità della sua esistenza. Quando il potere corrompe, la poesia purifica».

Nella composizione romanesca «Er grillo zoppo», Trilussa (1871-1950) attraverso la sofferenza accentua il valore della libertà:

 

Ormai me reggo su ’na cianca sola.

- diceva un Grillo - Quella che me manca

m’arimase attaccata a la cappiola.

Quanno m’accorsi d’esse prigioniero

col laccio ar piede, in mano a un regazzino,

nun c’ebbi che un pensiero:

de rivolà in giardino.

Er dolore fu granne... ma la stilla

de sangue che sortì da la ferita

brillò ner sole come una favilla.

E forse un giorno Iddio benedirà

ogni goccia de sangue ch’è servita

pe’ scrive la parola Libbertà!

 

E’ ben nota la fermezza del calabrese nella responsabilità delle sue azioni, che solitamente viene scambiata per ostinazione.

A proposito, si narra che un nostro contadino, incamminandosi verso la Capitale, avesse incontrato un signore (che era Gesù) che gli chiese: «Dove vai?» «A Roma». E l’altro:«E non dici: se Dio vuole?» «Ci vado anche se Dio non vuole!» esclamò il contadino. Allora, per punizione, Dio lo trasformò in ranocchio e lo fece vivere per qualche anno nello stagno lì vicino. Trascorso il tempo e ripresa la forma umana, si ripeté l’identica scena e il viandante tornò ad essere ranocchio nel pantano. La terza volta, come se nulla fosse accaduto: «Dove vai?» domandò Gesù. «A Roma», replicò il malcapitato. «E non dici: se Dio vuole?» «… e se non vuole il pantano è là!» ribatté pronto il contadino. Il Signore sorrise dell’ostinazione e lo lasciò proseguire indisturbato. (Riduz. e adatt. da: Saverio Strati,  Miti, racconti e leggende di Calabria - Gangemi Editore, Roma / R.C. - 1985).

Concludo, prendendo a prestito dal lessico giocoso di paziente disperazione dello scrittore e drammaturgo Vincenzo Ziccarelli il termine libertà: «… Liberté, egalité, fraternité sono le tre sorelle della rivoluzione francese, apparse nel cielo d’Europa. La libertà morì suicida, e il suo sacrificio si ripete in ogni tempo, da Catone a Jan Palach.

L’egalité fu ghigliottinata, insieme con chi la predicava e con chi ne portava il nome. La fraternità fu ammazzata da Caino, da Romolo, da Giuda, da Caracalla, da Cesare Borgia e via via da tutti quelli che dovevano scegliere tra il fratello e il fatale tracciato. Il delitto fu massacro, fu genocidio. Oggi sono immagini, chimere, miraggi che si inseguono senza pace. Ed è questo inseguimento che riscatta ancora l’omicida, il mostro della terra. E lo rende tragico e abominevole e nobile, nella sua condizione di malvagio che non si riconosce, che cerca ciò che distrugge, forse per non vergognarsi, per sperare  e per credere in questa corsa senza soluzioni … ». (Da: Accidenti che vita - Pellegrini Editore, CS - 1983).

Ringrazio il dott. Ziccarelli per la sua lungimiranza: fin quando la Calabria avrà uomini illustri e generosi come lui potrà andare orgogliosa e sperare in un suo arduo ma legittimo decollo.

 

Domenico Caruso

Articolo pubblicato su "La Piana" di Palmi - RC - Anno XII, n.5 - Maggio 2013

 

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