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La solitudine rende veri
di Francesca Le Pera - Maggio 2020
La vera solitudine è un luogo che vive per sé e che per voi non ha traccia né voce, e dove dunque l’estraneo siete voi.
Luigi Pirandello, Uno, Nessuno e Centomila
Questo tempo ci è estraneo. Questo luogo storico non ci appartiene. L’Italia delle celebrazioni, delle famiglie, dei rumorosi mercati mattutini, dei baci, delle risa, delle urla, è sola. Siamo soli. Soli con la parte più vera di noi stessi, eppure la più estranea. Non la mostriamo a nessuno, celata agli altri per paura che non sia accettata. Timore non biasimabile, perché vero. In un mondo in cui tutto necessita di essere falsificato affinché venga compreso, chi mostra il proprio io inalterato da costrutti sociali, luoghi comuni e pregiudizi, è condannato alla solitudine. La stessa di cui ognuno di noi sta facendo esperienza in questo momento. E forse per la prima volta ci troviamo ad affrontare il nostro peggior nemico e compagno fedele. Noi stessi. Ma chi siamo? Viviamo identificandoci, confrontandoci, alleandoci, con gli altri. Sappiamo vivere senza? Permettiamo a sconosciuti alla nostra essenza, di opprimerla e sovrastarla, tanto che senza essi, diventiamo noi gli stranieri. Questa fase dell’umanità ci fa comprendere quanta della nostra personalità dipenda dall’esterno, dalla superficialità, molto spesso, dal falso. E cadono le maschere. La verità emerge. Il re è nudo.
La vergogna, l’invidia, le competizioni svaniscono insieme al gioco sociale, in cui vince chi appare, non chi è. Chi ostenta, chi vanta, chi mente prima di tutto a sé stesso. Riguardo le proprie debolezze, fragilità, fallimenti. Perché non siamo più autorizzati o abituati a fallire. L’apparente assenza di sbagli nella società, nei suoi ideali, ci porta a pensare che non esistano, e che se li commettiamo, siamo noi l’errore. La pecora nera in un gregge di finto manto bianco. Non si perdona, a causa della convinzione che non si possa errare. Ma se tutti ci guardassimo un po’ più dentro, scopriremmo una realtà che urla, ma è zittita. Siamo tutti sbagliati. Agglomerati di anime vaganti, senza una meta, certi che gli altri ne abbaino una, che conoscano la loro strada. E questa falsa verità ci porta a mascherare con vergogna la nostra legittima ignoranza verso la vita e il suo senso. A costruire i nostri alter ego, riflessi perfetti, ma fasulli.
E allora cosa siamo senza tutto questo? Cosa rappresentiamo quando non abbiamo nessuno a cui mostrare? Quando siamo soli. Forse ora ci troveremo davanti a noi stessi, e dovremo farci perdonare per non esserci accettati. Per aver cercato a tutti i costi di modellarci secondo lo stampo della società, tanto irrealizzabile, che nessuno ne è all’altezza. Generato da anime umane, secondo un’ideale disumano. Dovremo chiederci perdono per tutte le volte in cui ci siamo tappati la bocca pur di non urlare la verità. Saremo finalmente costretti ad incontrarci. A chiederci cosa rimane di noi senza il fracasso assordante della collettività e del conformismo. Senza i nostri vestiti firmati, il nostro trucco, il nostro stile copia di una copia, i falsi sorrisi, le false risate, le amicizie di plastica, le idee imitate. Cosa rimane di vero quando ci spogliamo degli abiti della falsità.
Restiamo noi. Nudi. Nel silenzio delle nostre anime. Nella casualità dei nostri sorrisi, nell’inconsapevolezza dei nostri gesti, nella spontaneità delle nostre parole.
Nell’essenza della nostra umanità.
Francesca Le Pera
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