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Il sentiero della perfezione: riflessioni sulla mistica
di Francesco Scoditti - Gennaio 2021
Tendere all’antica perfezione e solidità morale del mistico è forse impresa ormai estremamente ardua per noi uomini occidentali, totalmente attivi in ben altri ritmi di vita, ma contemplarle da spettatore esterno, osservarne le dinamiche, pur consapevoli della impossibilità di raggiungerle, può essere attività che almeno in ambito di riflessione personale risulta in fondo gratificante. È questo il vero senso di questo mio scritto, di cui ho sentito la necessità, essendo io una persona laica immersa nelle contraddizioni della nostra vita tumultuosa e con poco spazio da dedicare al Trascendente.
Nella nostra società tutti agiscono per fini determinati, mantenimento della famiglia, piacere personale, lavoro retribuito, ma riuscire ad agire pur rimanendo distaccato dai risultati delle proprie fatiche quasi mai è contemplato. Chi è indifferente al frutto del suo lavoro, chi non desidera accumulare ricchezze, godere di belle donne o essere seguito da più persone, non è forse perfetto nel suo agire perché non condizionato? E non è questa la condizione del mistico nel servizio di Dio, pura devozione senza chiedere nulla in cambio? In Oriente spesso coloro che aspirano alla salvezza hanno un fine, quello di non rinascere, e anche in quella spiritualità così intensa è raro trovare un puro devoto che non desidera la liberazione dal succedersi delle esistenze, ma solo servire Dio, vita dopo vita. Immaginiamo una persona virtuosa, un sacerdote, che si dedica ad opere pie, è caritatevole, aiuta i poveri, o un imprenditore che offre donazioni agli ospedali, ma non c’è forse anche in questo una ricerca di gratificazione, la speranza in una ricompensa nell’altra vita? L’attività materiale, quella che necessita di un riscontro interessato, per quanto nobile e piena di amore, è compiuta spesso per soddisfazione personale, ma se si spiritualizza la propria vita, dando significato trascendente all’esistenza quotidiana, le esigenze strettamente fisiche si attenuano, si avverte l’anima, immutabile, spirituale, anche se percepita pur rimanendo immersi nel mondo materiale. Del resto, anche quando si considera qualcuno amico o nemico, talvolta lo si valuta in base a un riscontro particolare, per cui chi soddisfa in qualche maniera i nostri sensi e le nostre emozioni può essere ritenuto amico, chi si oppone è nostro nemico. Il mistico invece non odia, non ha nemici, ogni essere è figlio di Dio, egli odia il peccato, non il peccatore, il quale è sotto l’effetto dell’illusione materiale: “Mio Dio, perdona loro perché non sanno quello che fanno”. Il mistico, quindi, non spreca energie in questo senso, evita i problemi economici e affettivi, ma usa il tempo che ha per comprendere Dio, ritenendolo il vero scopo della vita. Il suo fine diventa spiritualizzare l’esistenza fisica, e può farlo solo controllando la mente e distogliendola dall’attaccamento agli oggetti dei sensi. Infatti, si dice sempre “Per chi l’ha dominata, la mente è la migliore amica, ma per chi ha fallito resta la peggior nemica”. Chi vive nella spiritualità, chi avverte dentro di sé il piano trascendente e ha il totale e libero controllo mentale, non fa più differenza fra la zolla di terra, il sasso e l’oro, ma colui che ha dimenticato Dio è attratto solo dall’aspetto esterno della Creazione, e ciò espone la sua esistenza a ogni sorta di sofferenza nel corso della vita materiale. La sua vita è sempre piena di ansie continue, perché considera reale ciò che è “transitorio”, desidera ciò che non dura, la cosiddetta “malattia materiale”, un vero e proprio stato patologico dell’anima. Infatti, se siamo schiavi dell’ansia, come possiamo ottenere la pace? Chi ha molto, non teme sempre di perdere tutto? Così, sotto l’influsso di impressioni fittizie, l’uomo rovina la sua vita, dimenticando che ogni Religione considera l’essere umano per sua natura un’anima spirituale ed eterna, un frammento della Divinità. Dio, per definizione, è Eternità, Conoscenza e Perfezione Suprema, è Colui che conosce ogni cosa, sa tutto di ciò che accade in ogni angolo della Creazione, per cui la forma umana non può essere paragonata alla Sua, in quanto dotata di sensi materiali e imperfetti; questo non esclude che Dio possa essere dotato di forma, chiaramente non temporanea e mai destinata a perire. Il ragionamento è lineare: se noi siamo frammenti di Dio, suoi figli, secondo il Cristianesimo, da dove provengono le nostre forme così diverse se non da una Forma, seppur Eterna e Perfetta? Certo non dal Vuoto e dal Nulla. Dicono le scritture vediche che Dio ha occhi infiniti, vista illimitata, egli può vedere simultaneamente dappertutto nonostante sia lontano miliardi di chilometri, perché è presente dentro di noi. Per il mistico, quindi, l’essere umano, in quanto derivante dall’Eterna Persona Suprema, è eterno; egli, finché è imprigionato nel corpo fonte di sofferenza, è destinato alla nascita e alla morte, ma in realtà è al di là di entrambe. L’intuizione trascendentale e mistica coglie l’anima come essenza che non ha mai avuto inizio in alcun momento, passato, presente e futuro: non nata, eterna, immortale e senza tempo, essa non perisce con il corpo, non conosce il dolore e la sua naturale condizione, raggiunta dal mistico, è la vita sana dello spirito. Tale intuizione non ha nulla a che fare con la conoscenza scientifica, con l’erudizione accademica e la speculazione mentale; quest’ultima, in particolare, può portare alla frustrazione e allo smarrimento, spesso alla conclusione della inesistenza di Dio. Nel mondo sono molti coloro che sono ritenuti grandi studiosi, scienziati, filosofi politici, ma la loro ricerca si limita all’interpretazione del materiale. La mistica è diversa, si basa su percorsi intellettuali differenti, per cui il mistico controlla il corpo e i suoi atti (sesso, cibo etc.), modera i suoi desideri acquisendo solo ciò che gli è necessario; egli impara a concentrare la mente, libera da agitazione e preoccupazioni, sul Sé Supremo e Infinito, un unico punto, attraverso una pratica meditativa e di preghiera realizzata per forza di cose in luoghi appartati e solitari, lontano da tutti coloro che non hanno coscienza di Dio. Attraverso la concentrazione della mente, mantenendola in uno stato di equilibrio, che poi è anche il principio della preghiera, il mistico raggiunge la consapevolezza della presenza divina dentro sé stesso, raggiunge la libertà dal corpo, supera la nascita e la morte, comprendendo tramite l’intuizione l’Infinito. Egli non può più essere soggetto o appartenere alla società, alla Nazione, alla famiglia, a tutto ciò che è transitorio, ma solo a Dio. Questo comporta due elementi fondamentali: l’acquisizione della “mente pura”, cioè quella condizione per cui il mistico prova gioia e gusto in Sé, la propria mente non è inquinata dall’idea di appartenere a qualcos’altro, ma si sente parte della divinità; nella percezione del mistico essa non può essere turbata neppure in mezzo alle più grandi difficoltà, perché confida nell’aiuto trascendente a prescindere dalla situazione. Tutto ciò nasce da una forma di preghiera intensissima capace di assaporare la vera conoscenza intuitiva, cioè l’appartenenza come frammento infinitesimale a Dio. La preghiera non è più una mera richiesta alla Divinità, ma diventa una forma di concentrazione assoluta nel Tutto, priva di altri pensieri, anche attraverso il canto e forme di vibrazione sonora interiore. L’altro aspetto è “l’inazione mistica” che rende il mistico una persona sobria, equilibrata, capace di tollerare gli stimoli delle parole altrui, le richieste assordanti della mente, l’impeto della collera e gli impulsi della lingua, dello stomaco, dei genitali. Egli diventa eticamente “immobile”, poiché cessa in lui il movimento materiale ed egli si situa fermamente nella coscienza divina, vivendo il quotidiano come continua offerta alla Divinità, cogliendo Dio dappertutto perché Dio è in ogni cosa. È questo l’antico sentiero della perfezione, un tempo percorribile anche nelle società occidentali, oggi praticamente scomparso dalla coscienza di ognuno di noi, al di là delle personali pratiche religiose.
Francesco Scoditti
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