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La Guerra che nessuno voleva

di VanLag

A volte ci sono delle cose che sembrano non appartenere ne alla logica ne alla ragione. E' il caso della guerra dell'America contro l'Iraq, che nessuno sembra volere, se non pochi leaders e pochi loro seguaci che stanno trascinandoci tutti, con ostinata pervicacia, in questa guerra. Ma il vento di guerra oggi fa veramente paura.

L'America si appella all'indignazione causata dall'ignobile attacco che ha subito l'11 settembre per mano del terrorismo islamico e chiede giustizia. L'americano è spaventato, questo è vero! Chi ha contatti con gli americani ve lo potrà confermare, ma la giusta indignazione ed il comprensibile spavento sembrano risolversi in una spinta vendicatrice che porta a sferrare colpi alla cieca, senza ben capire o considerare dove si colpisce. Eppure qualcuno dovrebbe mantenere i nervi calmi, perché, se seguiamo quello spavento e quella paura, finiamo tutti in un baratro senza fondo. 
La campagna mediatica americana è ora tutta concentrata a dipingere Saddam Hussein, il dittatore di Bagdag, come il nemico principale dell'occidente, dotato di armi per stragi di massa e pronto ad usarle. Ma in questo modo di procedere è già presente una prima vizio di valutazione.

L'attacco che l'America ha subito l'11 settembre non è stato fatto da armi potentissime di distruzione di massa ma da normali aerei di linea. Non è stato fatto dal dittatore di Bagdag ma da un gruppo terroristico conosciuto all'intellighentia americana col nome di Al Qaeda. E' stato attuato per colpire i simboli del Potere americano, il potere economico, (le Torri Gemelle), quello militare, (il Pentagono) e quello politico (la Casa Bianca) e non i cittadini americani. (Benché molti siano morti in quell'attacco). 
E' stato un attacco ignobile le cui ragioni vanno cercate nel fortissimo sentimento anti americano, tipico di frange estremiste, di un certo Islam. Quell'integralismo che si evidenziava già ai tempi dell'assassinio di Sadat nel 1981, quando le televisioni mostrarono i roghi con le prime bandiere americane. E' quel malessere che andrebbe indagato e capito dall'intellighentia americana. 
Perché il potere americano stravolgere la realtà al punto da cambiare l'identità del nemico? E' un tremendo errore di giudizio o segue interessi di parte? Quanta dabbenaggine debbono avere i sudditi di quel potere per subire così passivamente quel lavaggio del cervello che costruisce giorno dopo giorno attraverso i media un nemico ad hoc?

Un'altra considerazione importante la si può fare indagando sulle reazioni al moto di pace che ha visto sfilare milioni di persone in tutto il mondo. A chi fa paura la Pace? Primi tra tutti gli artefici del terrore. Non è un caso che Bin Laden ed il Mullah Omar, abbiano fatto sentire la loro gracida voce incitante alla guerra, proprio in occasione della grande manifestazione per la pace. La pace fa paura a tutta quella parte del mondo arabo che spera in una sollevazione dell'Islam per avere maggior peso sulla scena mondiale. La pace fa paura a chi auspica stravolgimenti in medio oriente che siano funzionali al proprio interesse. La pace fa paura ai "signori" delle armi, ai "signori" del petrolio, ai "signori" delle borse, che sanno benissimo che la guerra è movimento dei mercati. Biechi personaggi cinici che non hanno nessuna remora a costruire sulla distruzione e sulla miseria di altri le loro fortune. 

Con troppa facilità il presidente americano formula l'equazione: - chi non è con noi è contro di noi. - Con troppa facilità alcuni dei nostri leaders lo seguono dicendo che chi ha manifestato per la pace ha fatto il gioco di Saddam e del terrorismo. Si preme sulle coscienze della gente con troppa insistenza. Si dipinge il nemico con troppa determinazione. Si spolverano stereotipi vecchi di 100 anni che richiamano alla bandiera e all'amor di patria. E la gente non capisce. Non capisce perché non è nata e cresciuta nelle logiche del potere, della violenza, della volontà di prevaricazione. La gente comune è stata, piuttosto, cresciuta con l'illusione del diritto, della giustizia dell'equità, con quella promessa cioè, che i governi democratici gli hanno fatto, e che ora non possono disattendere. 

Il mondo di oggi non è più il mondo di ieri. La globalizzazione non è solo la conquista da parte della Coca Cola o della Mac Donald di nuovi mercati. La globalizzazione rendendo il mondo più piccolo, più coeso, come un villaggio globale, porta con se l'urgenza ed il bisogno di un'equità più diffusa. La globalizzazione significa anche che non è più possibile vivere solo per se stessi, perché ormai siamo tutti indentati gli uni agli altri. Lo siamo come cittadini e come stati. Questa nuova realtà della struttura sociale è un fatto e coi fatti è difficile discutere. 
Ma chi c'è seduto nei posti di potere a comprendere questi profondi cambiamenti ed a guidare la transizione? Leaders ancorati a vecchi algoritmi di potere di vittoriana memoria. Leaders che si tuffano con mani avide, sulla situazione per trarre il massimo vantaggio possibile. Nessuna analisi del contesto. Nessuno che si chieda cosa stia realmente succedendo alla nostra cultura ed alla nostra civiltà. Nessuna reale pianificazione, nessuna lungimiranza politica. C'è solo questa voglia, un po' infantile, di arraffare tutto e subito. E' molto probabile che anche l'opposizione della Francia e della Germania sia dettata più dalla preoccupazione di mantenere calme le masse arabe presenti sul loro territorio che da un reale amore della Pace o una reale lungimiranza politica.

Ma la prossima guerra non sarà un gioco. Non sarà una sfida cavalleresca tra eserciti valorosi, desiderosi di misurarsi per dimostrare il loro valore. La prossima guerra sarà l'elezione della sporcizia intellettuale, a nuovo diritto mondiale, (sempre che rimarrà un mondo da governare). Infatti non esiste un'equazione che dice che la vita umana di un occidentale è più importante di quella di un abitante del terzo mondo. Non esiste più e non può esistere in un mondo globale. Una vita umana o vale o non vale e non si può accettare che a definirne la validità siano logiche di interesse, o di appartenenza razziale. 

Il futuro è in bilico e nessuno sa da che parte oscillerà il piatto della bilancia. E' in bilico tra la barbarie dei secoli e dei millenni passati e la voglia di un mondo nuovo e più giusto che ci aspettiamo come logica conseguenza della nostra intelligenza e della nostra evoluzione. 

Si fa in fretta a dire "attacchiamo, attacchiamo" finché le bombe cadono lontane da noi. Finché la gente muore, è mutilata e piange in un lontano paese del terzo mondo. Finché sono le loro case e le loro città ad essere distrutte. Ma che mondo stiamo costruendo? Ci sono paesi che hanno più mine che abitanti. Ci sono paesi dove la gente non può più passeggiare per via delle mine. Lungo i fiumi del Vietnam si può ancora saltare sulle mine. Si salta sulle mine in Afghanistan, nella Ex Jugoslavia, in Somalia ed in chissà quanti altri paesi del mondo. E' questa l'eredità che vogliamo lasciare ai nostri figli? E per cosa, per chi? Per qualche venditore di armi che passerà la sua crassa e grassa vecchiaia in qualche atollo del pacifico, o per il petroliere suo vicino di Bungalow? E' questo il mondo che vogliamo per noi e che vogliamo lasciare in eredità a chi verrà dopo di noi?

E' vero, a guidare gli uomini è sempre una logica di "interesse". Nessuno cerca il male fine a se stesso, persino un masochista conclamato cercherà il male perché, da esso, trae piacere ed allora, la differenza è fatta dai modi diversi di intendere il bene. C'è il popolo bellicoso che pensa che il suo bene sia da ottenere con la forza delle armi, imponendo la propria visione agli altri e c'è il popolo pacifico, che crede nella ragione e nel diritto. Un popolo che ha ben chiaro che non esiste un bene che non sia condiviso con gli altri e che pensa anche al futuro. 

Nessuno è esentato oggi da questi dilemmi. Chi vuole questa guerra ne porta e ne porterà il peso morale davanti agli uomini tutti, perché questa non è una guerra di difesa. E' diverso se un nemico ci entra in casa per fare del male a noi ed ai nostri cari. Allora siamo legittimati alla difesa. Allora il Dio del bene, (se mai esistesse), sarebbe con noi. Allora l'orgoglio e l'amore di patria, avrebbero il loro senso. Ma non così. Non in una guerra che odora troppo di interessi. Non alle soglie del terzo millennio. Non ora che i mezzi di distruzione sono così potenti. Se i calcoli degli strateghi sono sbagliati, (e quanto spesso lo sono stati!?), in una escalation del conflitto, potremmo giocarci il pianeta ed allora chi rimarrà piangere o a godere i benefici di questa stupida guerra che nessuno o quasi nessuno voleva?

VanLag


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