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La crisi economica come opportunità di crescita per la collettività

di Antoine Fratini - Agosto 2010

 

Per quanto indietro possa risalire la mia memoria, non riesco a ricordare un solo periodo storico in cui gli attori politici non si siano lamentati, chi più, chi meno, dell’andamento dell’economia. Benché l’economia in quest’ultimo mezzo secolo abbia attraversato periodi anche prosperosi, nessun governante si è mai dichiarato interamente soddisfatto della situazione economica né ha mai smesso di credere nelle pseudo-virtù della crescita infinita (1).

Anzi, di norma, quando il PIL cresce i discorsi politici tendono maggiormente a mettere in guardia contro i rischi di stagnazione dei mercati e di recessione. Ora, non è mia intenzione negare l’esistenza delle crisi economiche, ma l’ovvietà delle loro implicazioni catastrofiche sulla vita della collettività. Contrariamente a quanto si è soliti pensare, per la qualità della vita i periodi di crisi economica ben gestiti (quelli ovviamente che non danno luogo a guerre fomentate dai potenti) rappresentano una benedizione per la collettività in quanto producono un calo dell’inflazione e del costo della vita. Questo significa che bisogna guadagnare di meno per vivere. Significa anche, certamente, dovere apprezzare maggiormente i beni di cui già si dispone e porre un drastico freno alle spese, soprattutto quelle futili.

Nei periodi di boom invece è tendenzialmente vero il contrario. I prezzi tendono a salire anche in proporzione ad una crescita semplicemente “ipotizzata”, ma che qualunque problema reale di una certa gravità e non previsto è facilmente in grado di contraddire. I consumi e quindi i prezzi tendono a lievitare e gli investitori, a tutti i livelli, paiono mossi da una fiducia che presto o tardi si rivela quasi sempre fuori luogo o quanto meno esagerata. La situazione che si viene quindi a creare è portatrice di numerosi e gravi problemi sui quali non possiamo soffermarci in questa sede, ma che ben conosciamo. Ditte che vanno in perdita e chiudono i battenti, piccoli azionisti che perdono i loro risparmi… Vorrei soltanto sottolineare che nei periodi di crisi ben gestiti lo stile di vita individuale tende semplicemente a farsi più sobrio ed equilibrato, il che incide sensibilmente sulla psicologia. I beni di cui già si dispone vengono maggiormente apprezzati e in generale gli interessi si spostano dalla ricerca coatta del profitto verso valori più vicini alla vera natura dell’uomo.

Così come in psicopatologia le crisi interiori rappresentano eventi certamente di difficile gestione, ma che contengono già in sé i germi di un cambiamento importante e positivo da realizzare nel tempo, allo stesso modo le crisi economiche che puntualmente si ripresentano dopo un periodo di forte crescita vanno nel senso di un cambiamento positivo della società. La vera funzione, purtroppo ignorata dai media, delle crisi economiche è inerente al riequilibrio del sistema. E la realizzazione di questa dinamica passa anzitutto da una presa di coscienza collettiva del problema, degli errori e delle esagerazioni riguardanti le aspettative e lo stile di vita dei cittadini e delle scelte politiche scellerate di chi governa.

Tale modello di crisi mediato dalla psicoanalisi è perfettamente applicabile all’economia, la quale, da quanto si dimostra vorace ed irragionevole, costituisce ormai la fonte della maggior parte dei nostri problemi. Il nostro sistema economico ha ormai dimostrato la propria incapacità a risolvere problemi d’importanza prioritaria come per esempio quelli legati all’inquinamento e al terrorismo. Oggi, l’economia non serve più nessuno, proprio perché tutti ne siamo asserviti. L’errore forse più fondamentale è che da quando essa si basa sul profitto indiscriminato, si è trasformata da semplice strumento per la gestione degli scambi in un fine che impone le sue leggi (le leggi di Mercato) su ogni altro sistema di valori. E, da sempre, il massimo sistema di valori è rappresentato dalla religione. Così, il nostro sistema economico non ha più nulla di razionale, ma poggia su aspettative, speranze, credenze che sono proprie della religione. Per questo, come ho tentato di dimostrare in La religione del dio Economia (2), quel che oggi chiamiamo “economia” è diventato una vera e propria religione inconsapevole che determina non soltanto lo stile di vita dei cittadini, ma anche la loro stessa psicologia trasformandoli di volta in volta in vittime sacrificali, gran sacerdoti, crociati, santi, fedeli d’amore oppure eretici da scartare.

Pertanto, quel che per questo nostro sistema è crisi, per la collettività degli individui rappresenta potenzialmente una fortuna. Quella collettività in realtà non ha nulla da temere dalla crisi in sé. l’unico problema, purtroppo di peso, a cui stare attenti è la propaganda dei politici e dei potenti gran sacerdoti che da sempre, per rilanciare il sistema, hanno fomentate guerre sante. In questo senso, le guerre economiche sono di natura religiosa.

Affermare attraverso i media che l’economia è in crisi e che la crisi significa per forza guerra e tragedia è uno slogan propriamente religioso, una sorta di mantra recitato per favorire la ripresa attraverso una spinta lavorativa e produttiva più vigorosa da parte di tutti. Quel che non si dice però, in quanto per i credenti significherebbe infrangere un tabù, è che le crisi sono sempre il frutto proprio di quel tipo di atteggiamento fanatico verso la crescita economica e a causa del quale ogni calo del PIL viene percepito in modo apocalittico. Ogni flessione anche minima del PIL è in grado di suscitare i peggiori fantasmi nella mente dei fedeli. Eppure, il PIL cresce, per esempio, anche in virtù degli incidenti stradali!

In luogo di essere ad ogni costo “curate”, le crisi economiche dovrebbero essere piuttosto “analizzate”. Oggi più che mai vi è bisogno di una grande presa di coscienza collettiva delle aberrazioni del sistema, degli aspetti religiosi inconsapevolmente proiettati sull’economia. Solo così, a mio modesto parere, ci si può aspettare ad una evoluzione realmente positiva della società.

 

Antoine Fratini

 

Antoine Fratini lavora da oltre quindici anni come psicoanalista, è Vice Presidente dell'Associazione Psicoanalisti Europei e membro attivo dell’Accademia Europea Interdisciplinare delle Scienze. Egli ha scritto nel 1991 il saggio Vivere di fumo (Book Editore, Bologna) sul rapporto tra adolescenza e uso di stupefacenti leggeri, nel 1999 il saggio Parola e Psiche (Armando, Roma) sul collegamento tra gli indirizzi linguistico e archetipico in psicodinamica e decine di articoli su riviste e siti italiani e stranieri. Poeta e artista, egli ha fondato assieme all’Associazione Culturale C.G. Jung di Fidenza il Movimento per l’Arte Naturale, corrente artistica basata sul pensiero junghiano, e le sue poesie compaiono sui maggiori siti del settore. La sua ultima pubblicazione: Psiche e Natura, fondamenti dell'approccio psicoanimistico, Zephyro Edizioni, 2012.


NOTE

1) Solo di recente, in qualche remota località, alcuni sindaci illuminati hanno iniziato a sperimentare progetti di gestione del territorio “a crescita zero” (vedi l’esempio di Cassinetta di Lugagnano in Lombardia).

2) Antoine Fratini, La religione del dio Economia, CSA Editrice, Crotone 2009


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