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Anziani cronici non autosufficienti
di Velia Galati - Agosto 2018
Dunque, per i malati cronici non autosufficienti si è costretti a parlare del diritto alla tutela della salute come di un diritto da difendere. Contro chi? Contro che cosa? Questo è un diritto sancito dalla Costituzione per tutti i cittadini indistintamente, che è stato tradotto con la L.833 del 1978 in un insieme organico di norme, e nella realtà istituzionale e organizzativa del Servizio Sanitario Nazionale. Allora, perché la tutela della salute degli anziani malati cronici appare oggi come un diritto da difendere?
La domanda non propone enigmi.
Vero è che i provvedimenti di riordino della sanità hanno ridotto, in modo più o meno esplicito, aspetti fondamentali della legge istitutiva del SSN, a partire dall'articolo 1, quello dei principi, e hanno posto saldamente le premesse per un'azione amministrativa di riduzione dei servizi destinati ad assicurare la tutela dei diritti dei cittadini in condizione di uguaglianza. Il rapporto dei cittadini con il SSN viene stabilito anno per anno nella misura delle risorse finanziarie che saranno state messe a disposizione dei servizi stessi.
E' così è saltata la certezza delle prestazioni non correlate alla capacità di spesa delle persone e delle famiglie.
La politica del Diritto non coincide più con la politica dei diritti.
Fino alla Dichiarazione dei Diritti Umani (NU 1948), l'assistenza medica agli anziani cronici non autosufficienti non era compito dello Stato, essi venivano accolti in Gerontocomi, Hospess, e in strutture di ricovero tenute da Organizzazioni e Congregazioni religiose.
Dal 1865 al 1958, infatti, responsabile politico dell'Igiene e della Sanità Pubblica era il Ministro dell'Interno; organi periferici i Medici Provinciali, da lui nominati, o dai Prefetti.
La categoria delle persone colpite dalle malattie tipiche della vecchiaia fu destinataria di provvedimenti dalla legge n°692 del 4 agosto 1955,"per l'assistenza che deve essere fornita indipendentemente dalla sua durata"; si comincia così a parlare di cronicità e diritti di assistenza dei malati cronici. La legge n°833, del 23/12/1978, istitutiva delle SSN, per quanto attiene alla "tutela della salute degli anziani", affida alla Sanità il compito di provvedere alle cure, alla prevenzione e alla riabilitazione, anche mediante convenzioni con istituzioni private. L'articolo 53 della Legge riguarda il trattamento sanitario degli anziani cronici non autosufficienti, però, di fatto, esso è disatteso anche dai Dirigenti degli Ospedali che dirottano gli anziani, quando sia stata superata l'acuzie della malattia, agli Istituti Socio Assistenziali.
Come affermava Giacomo Perico (Aggiornamenti Sociali del 7/8/1988): "ciò che colpisce è il contrasto evidente fra le leggi in vigore che assegnano gli anziani cronici non autosufficienti al sistema sanitario e il comportamento dei Dirigenti e dei Responsabili dei Servizi Socio-Sanitari, avvallato da iniziative legislative, che tendono a "scaricare" gli anziani sulle Istituzioni di ricovero propri del "Sistema Assistenziale".
Ancorché ricoverati in strutture assistenziali, non si sarebbe potuto ignorare quanto nel merito dispone la legge 833, istitutiva del SSN: "sono a carico del fondo sanitario gli oneri delle attività di rilievo sanitario connesse con quelle socio assistenziali", pertanto gli anziani cronici non autosufficienti non sarebbero potuti essere trasferiti dalle strutture sanitarie a quelle assistenziali; anche in conformità a quanto disposto dall'articolo 5 della legge 730/1983 (indirizzo e coordinamento delle attività amministrative regionali in materia sanitaria).
L'8/6/1984, il Consiglio Sanitario Nazionale propose al Presidente del Consiglio un Documento sui criteri e gli orientamenti per l'individuazione delle attività di rilievo sanitario, connesse con quelle socio assistenziali Tuttavia, per una erronea interpretazione dell'articolo 30, al fine di ridurre i costi della Sanità, fu disposto il trasferimento dei malati cronici non autosufficienti da strutture sanitarie a strutture socio-assistenziali, affidandoli, cioè, alle "Case protette".
Contro il decreto della Presidenza del Consiglio si costituì presso l'Istituto per gli Studi sui Servizi Sociali (ISTISS), un gruppo di studiosi che, unitamente ai ricercatori del CSPS (Centro di studi e programmazione Sociale) elaborò un documento sui diritti e sulle esigenze delle persone gravemente malate e non autosufficienti. Il Documento fu presentato il 10/03/1986, nella sala del Cenacolo della Camera dei Deputati, esso conteneva diverse enunciazioni sul "Diritto degli anziani malati a essere curati in strutture sanitarie, anche se cronici e non autosufficienti".
Il Documento affermava: "tutte le persone, colpite da malattie hanno diritto a trattamenti sanitari, forniti senza omissioni o ritardi, soprattutto i pazienti anziani"; e "nessuno può negare le cure col pretesto che il malato non guarirà più essendo cronico". Ma non guaribile non significa incurabile.
Il gruppo di studio dell' ISTISS estese la sua ricerca all'identificazione di criteri guida per migliorare i servizi sanitari destinati ad anziani cronici e non autosufficienti.
Nella terza parte del Documento, firmato da 144 personalità anche del mondo ecclesiale, si ipotizzavano forme alternative al ricovero, cioè la priorità degli interventi sanitari a domicilio.
Tuttavia, l'ultimo rapporto del Coordinamento delle Associazioni dei Malati Cronici (CNAMC), redatto da 38 organizzazioni nazionali di cittadini affetti da patologie croniche, ha contestato l'inadeguatezza dell'assistenza domiciliare, in ordine al tempo concesso alle cure e all'insufficienza delle visite domiciliari di medici e infermieri, che avrebbero dovuto garantire a tutti, cure "sine die".
Dopo le evidenti violazioni della legge 833/78, era logico attendersi che l'assistenza dei malati cronici sarebbe stata ricondotta alla Sanità, invece la L 24.11.1987, numero 1942, fu finalizzata all'alleggerimento della spesa sanitaria a scapito dei malati cronici che, peraltro, venivano indicati come "anziani non autosufficienti" e non "cronici" e, pertanto, affidati alle "case protette". Queste strutture residenziali per anziani malati furono aggregate al comparto assistenza delle USSL, invece che al comparto sanitario, con evidente vantaggio economico per la Sanità.
Quando era ancora in discussione il disegno di legge sull'affidamento degli anziani cronici alle "case protette", monsignor Giovanni Nervo, vicepresidente della Caritas scrisse sulla rivista "Italia Caritas" del Marzo 1986: "questo indirizzo porterà inevitabilmente a favorire la segregazione e l'emarginazione delle persone espulse dalla sanità" e... “poiché la motivazione dichiarata è la riduzione della spesa sanitaria, è prevedibile che la sanità tenderà a scaricare al servizio assistenziale il maggior numero possibile di utenti, innescando così il processo già in atto di cronicizzazione dei più indifesi”.
Nel 1988 a proposito della legge finanziaria, monsignor G. Pasini, presidente della Caritas, scrisse su " Italia Caritas": "gli interventi in materia di ristrutturazione e di ammodernamento tecnologico del patrimonio sanitario pubblico e di realizzazione di residenze per anziani e soggetti non autosufficienti... nasconde un disegno molto chiaro di costruire nuovi istituti e villaggi per vecchi... nei quali scaricare i soggetti non più sopportabili in famiglia."
Il tentativo di "collegare" il livello sanitario a quello assistenziale era già nell'articolo 30 della legge 27/12/1983 n°730, tentativo portato a compimento dal Consiglio Sanitario Nazionale, con il Documento dell'8/6/1984, in cui, su proposta del Presidente del Consiglio, si fa menzione delle case protette, peraltro note come grandi comunità, prive di personale qualificato e di attrezzature idonee.
La "liberazione" dagli anziani fu "istituzionalizzata" con il Decreto 8 agosto 1985 del Presidente del Consiglio, che ufficializza il trasferimento al comparto socio assistenziale degli anziani cronici non autosufficienti. Anche Labos che inizialmente aveva sostenuto la competenza del comparto assistenziale, appoggiò, poi, la competenza del comparto sanitario. Questa tesi era già stata sostenuta nel 1982 nel seminario della Fondazione Zancan, come riportato dal trimestrale "Prospettive assistenziali".
Nessuno può negare che le patologie della senescenza abbiano più cause, ed è evidente che una patogenesi pluricausale non può non comprendere fattori patogeni sociali, psicologici e caratteriali, ma tutto ciò non giustifica il trasferimento dei malati cronici dal sistema sanitario a quello assistenziale, e che si affidino questi anziani malati cronici ad Istituti Residenziali, cioè alle "Residenze protette".
Certamente, il Piano Nazionale della Cronicità (2016), la Cabina di regia nazionale, e l'atto di indirizzo del Ministero della Salute per il 2018, evidenziano l'obiettivo di trasferire dal sistema sanitario al settore socioassistenziale gli anziani malati cronici.
Nel novembre del 2013, sull'iniziativa del Neoderm, si era svolto l'incontro: "salute, sopravvivenza e sostenibilità dei sistemi sanitari". Nel dibattito emersero le preoccupazioni legate alla crisi economica, al rapido invecchiamento demografico, al deficit del bilancio pubblico, al dissesto del sistema sanitario, specie in alcune Regioni.
Un'altra emergenza per l'Italia è oggi determinata dall'insufficienza di personale medico e infermieristico, le cui cause vengono indicate nel numero chiuso per l'accesso alla facoltà di medicina e nell'emigrazione di molti medici verso stati dell'UE. Secondo "Adkronos salute", nel 2009 e nel 2012 sarebbero aumentate del 4% le richieste di trasferimento dei medici, e stessa situazione è quella degli infermieri: oltre 50.000 unità sono dimissionari (IPASVI).
I ricercatori dell'ISTISS unitamente a quelli del CSPSS (Centro Studi e Programmazione S.S), già nel luglio 1987 avevano affrontato il problema degli anziani cronici e non autosufficienti con l'ipotesi dell'"Ospedale a domicilio". Nel 1987 era stato stampato a Torino: "ospedalizzazione a domicilio, curare a casa malati cronici; come e perché" (Fabrizio Pernigotti e Rosenberg Sellier), in cui veniva illustrato un vero intervento sanitario senza oneri per le istituzioni, incentrato sul medico di base, con la partecipazione di medici specialisti: una soluzione che non escludeva altri interventi socio assistenziali postulati da situazioni familiari concrete In questa come in altre ipotesi di intervento per le cure di malati di età molto avanzata; non si fa mai menzione dello specialista che ne dovrebbe essere il protagonista: il Geriatra, infatti il Geriatra non è "un Medico della mutua"! Qualche anno fa, fu proposta l'istituzione del Geriatra di base; essa giace presso l'Ufficio studi del Senato, al quale fu consegnata dal Senatore Luigi Zanda. Ecco, allora, la proposta che ebbe molti consensi, ma non quello del Ministero della Salute.
"Il progressivo aumento della probabilità di ammalarsi e di morire in un settore in continua crescita della popolazione - quello delle Persone anziane - pone problemi anche sul piano della tutela della salute, diritto fondamentale di tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro residua attesa di vita. I pazienti in età geriatrica, sovente affetti da pluripatologie, complicate da problemi mentali e/o sociali, necessitano di un'assistenza che non può essere identificata nella medicina convenzionale di base, in quanto differenziata per metodologie, obiettivi ed anche per un diverso approccio medico- paziente.
Questa assistenza deve inoltre essere in grado di superare la sconnessione fra medicina ospedaliera e medicina extraospedaliera, lo scoordinamento fra assistenza sanitaria e assistenza socio-sanitaria. È auspicabile pertanto prevedere, nell'ambito del Servizio di Assistenza Sanitaria di base, la figura del Geriatra di base (in analogia al Pediatra di base).
Poco conosciuta, la geriatria nasce come "scienza pratica" intorno al 1940, quando la dottoressa W. Barnes, responsabile del reparto cronici del Middlessex Hospital di Londra, dimostrò la possibilità di recuperare parte dei malati cronici. Questa conquista sollecitò il Regno Unito ad attivare 200 servizi geriatrici in ospedali e 15 cattedre di geriatria nelle Università. La gerontologia ebbe a Valenza una delle prime cattedre del mondo, tuttavia, fino al 1978, la geriatria non fu riconosciuta come specialità medica nell'assistenza "sine die".
In Italia solo nel 1993 fu inclusa come materia di studio della facoltà di medicina nell'Università di Firenze e nel 1962, sempre a Firenze, fu istituita la prima Scuola di Specializzazione.
Dall'ultimo rapporto del coordinamento dell'Associazione dei malati cronici non autosufficienti, (CNAMC,) redatto da 38 organizzazioni nazionali di cittadini affetti da patologie croniche, è emersa l'inadeguatezza dell'assistenza domiciliare, in ordine al tempo concesso alle cure, e all'inefficienza delle visite domiciliari di medici e infermieri, che avrebbe dovuto garantire a tutti cure "sine die".
Il così detto "ospedale a domicilio", cioè la priorità degli interventi sanitari a domicilio, (realizzato a Torino per 700 malati, nel 1980) fu oggetto di molte proposte di leggi regionali di iniziativa popolare, ma è rimasto un'ipotesi, una suggestione.
La legge "garantisce" che ai malati cronici non autosufficienti siano erogate le cure come a tutti i cittadini, ma la regionalizzazione ha determinato notevoli differenze anche in merito ai servizi geriatrici, così che l'accessibilità e la qualità delle cure non sono omogenee nelle diverse Regioni italiane: il Mezzogiorno del Paese ha prestazioni meno favorevoli e accessi ai Servizi difficoltosi. In realtà, manca un piano nazionale di regole e di indirizzi, per uniformare, a livello nazionale, metodologie curative e assistenziali.
La legge finanziaria 2003 all'articolo 54 indica i livelli minimi di assistenza indicati dal Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del Novembre 2001, in particolare gli interventi relativi alle attività sanitarie e socio sanitarie rivolte a persone anziane non autosufficienti.
I livelli essenziali, definiti LEA, costituiscono uno schema omogeneo, sia in termini, quantitativi, sia in termini qualitativi, dei Servizi destinati ai malati cronici non autosufficienti, erogati con adeguatezza rispetto alle specifiche esigenze di economicità, in relazione a predeterminate risorse economiche. È dunque evidente quanto aleatorie siano queste cure in una medicina amministrata, in cui l'erogazione delle cure dipende dalla politica che stabilisce quali cure può garantire ai cittadini molto avanti negli anni (senza ipocriti eufemismi, ai Vecchi) a causa del "risanamento del bilancio della sanità". Ma è evidente che non si può governare la spesa della sanità senza governare il SSN, il Servizio Sanitario Nazionale.
In realtà, a malgrado di Leggi e Decreti, un malato anziano e cronico deve fare i conti con gli ostacoli che lo separano dalla "meta": i mesi per ottenere una visita specialistica prenotata con il CUP, i costi delle medicine prescritte, poiché pochissime sono mutuabili.
Il lettore di una Newsletter di un quotidiano del 22/01/2010 poneva al giornalista il dubbio sulla correttezza della trasformazione di un farmaco che nella pubblicità veniva definito "integratore alimentare", mentre era stato registrato dall'azienda farmaceutica come un farmaco a tutti gli effetti, con il nome commerciale di ... Questo episodio evidenzia il motivo per cui molti farmaci siano stati ribattezzati come "integratori alimentari", cioè non mutuabili!
Pare che in Italia l'unico comparto aziendale che fatturi più di prima della crisi sia quello delle Aziende Farmaceutiche.
Velia Galati
Dott. Velia Galati - Psicologa
Medaglia d'oro al merito della Sanità Pubblica
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