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Riflessioni sugli anni settanta
di Davide Riccio
Anni '70: Fate largo, arriva la nuova 500… “LOVE”
Giugno 2006
Due davanti e due di dietro.
Come farò a far l'amore in Cinquecento,
con te davanti e il cambio dietro,
turbato dal presentimento
di Cinquecento casse integrazioni,
Cinquecento bei milioni,
Cinquecento voti alle elezioni?
Cinquecento, coi tuoi problemi di avviamento, quell'avventura del momento.
Cinquecento, brum bruuuuum. Cinquecento, in camporella Cinquecento.
E il posteggio è facilitato
Ecco, questo è il punto: la Fiat 500, vecchia o nuova che sia o sarà, non può, non dovrà secondo me trascurare questa sua storica e universale peculiarità che tanto anelito ed esperienza di libertà ha significato per i giovani (e meno giovani) del suo tempo. Potrà sembrare cosa di cattivo gusto il realizzarne davvero una versione opportunamente accessoriata e studiata, scherzosamente ribattezzabile “500 Camporella” e, infatti, la mia proposta verrà di certo cassata da subito… Ma a me è bastato scriverne, seriamente in fondo, ma anche per gioco o, meglio, per dirla con Petrolini, un po’ per celia e un po’ per non morir…
La nuova 500, che io invece chiamerei “Love”, avrebbe quanto meno la seguente dotazione:
- Tendine avvolgibili e “impenetrabili” per ciascuna delle superifici vetrate;
- Cambio sul volante… (Quello sul tunnel, si sa, finiva spesso tra le reni…);
- Freno a mano sulla sinistra del lato guida, come nel Fiat Ducato (idem le reni come sopra);
- Interni in Alkantara o similpelle lavabile;
- Tunnel centrale lungo fino ai sedili posteriori, alto quanto la seduta dei sedili anteriori;
- Sedili ribaltabili;
- Aria condizionata;
- Assenza di una consolle centrale del cruscotto (più spazio ai piedi);
- Tettuccio apribile (se non per prendere “spazio” in altra posizione, per avere sul capo un romantico cielo stellato);
- Autoradio con lettore cd;
- Specchietto di cortesia con propria luce sulla aletta parasole passeggero (serve a rifarsi il trucco);
- Porta bottiglia o lattina;
- Porta sigarette (anche se il fumo uccide, la sigaretta “dopo” non è ancora politically uncorrect”);
- Soffusa luce rossa o azzurrina interna;
- Massima insonorizzazione;
- Cielo interno tetto morbidamente imbottito e imbottiture laterali interne.
Altre riflessioni sugli Anni '70 di Davide Riccio.
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Ho visitato il sito, ma non ho ancora capito concretamente come io possa partecipare al suggerimento di idee. Quindi, comincio da qui. La cosa mi interessa alquanto: la 500 è stata pur sempre la prima macchina in assoluto che io abbia mai guidato (in uno spiazzo campestre, all’età di quindici anni, con a fianco mia sorella, la proprietaria, ad impedirmi per eccesso di preoccupazione di passare anche solo alla seconda, controllando lei stessa l’acceleratore a mano!). Ciò a parte, mio padre ha avuto una Bianchina panoramica. Era una bicolore bianca con tetto nero, ma un po’ diversa dalle altre, avendo un tachimetro soltanto, quello identico alla 500, senza l’indicatore di livello carburante, i vetri posteriori fissi senza l’apertura scorrevole, il tetto rigido, i pneumatici senza la fascia bianca vulcanizzata… E tra Bianchina e Fiat 500 la differenza non era poi molta. Cugina stretta della Nuova Fiat 500, la Bianchina fu allora denominata l’élite delle utilitarie, snob, con le pinne americaneggianti…! Parbleu, quasi una Chevrolet Nomad! Vi ricordo invece strettissimi viaggi infiniti e straccanti ad agosto in ferie di mio padre operaio, 1000 + 1000 chilometri d’autostrada dei fiori per andare a sud e tornare al nord. Su certe salite sui viadotti a 20 km/h in prima, la cosiddetta prima station wagon d’Italia soffriva e arrancava stracarica, bagagli e quattro passeggeri, sorpassata a fatica pure da interminabili TIR puzzolenti, noi stravolti dal caldo tra canicola e motore posteriore a sogliola, sul cui pianale poggiavano valigie, pacchi e borse incastrati per sfruttare ogni cubico vuoto possibile. Assordato da un giorno e mezzo di rumore (mio padre si fermava la notte nelle aree di servizio per far dormire noi bambini, abbassando il sedile posteriore), ma così assordato e rintronato dal motore, che verso la fine del viaggio sentivo nel cervello, come fosse con le mie stesse orecchie, voci parlanti e musiche, realistiche quasi come allucinazioni uditive. E mentre mio padre guidava davanti a me, canottiera e nèi e peli delle nerborute spalle che alla lunga mi veniva voglia di asportare e strappare uno per uno, io puntavo il tachimetro (mai oltre gli ottanta all’ora, 90 se la l’autostrada era in discesa). Con vari oggetti, come un contenitore rotondo di polistirolo del gelato, ormai vuoto, mi davo a giocare a un volante improvvisato, con un tachimetro nel mezzo la cui lancetta, costruita con un fil di ferro da muovere manualmente, andava ovviamente ben più variabile e veloce… Fine degli anni ’60.


