Le Pulci nell'Orecchio
Divulgare il metodo scientifico perché ognuno possa giudicare in modo consapevole e autonomo.
Di Riccardo Magnani - indice articoli
Volare
Settembre 2021
Due esperienze sono state negate dalla natura agli esseri umani: nuotare sott'acqua come i pesci e volare liberi come gli uccelli. Naturalmente esistono mammiferi come noi che si sono adattati a vivere in questi due mondi. L'esempio del delfino e del pipistrello sono lì ad indicare che l'attrazione verso il mondo sommerso e il sostenersi nell'aria deve essere comparsa in qualche ancestrale mammifero. Il meccanismo della selezione naturale ha poi favorito lo sviluppo degli organi specifici per adattarsi a quello scopo.
Cos'hanno di così seducente questi due regni dell'aria e dell'acqua? Una domanda che milioni di anni fa l'antenato del delfino e del pipistrello non si sono posti ma che potremmo definirla un'attrazione verso esperienze che rientrano in un concetto di libertà, non praticabile se si vive solo sulla superficie del mondo.
Sono le tre dimensioni nelle quali ci si può muovere che fanno la differenza, Sia sott'acqua che nell'aria abbiamo una dimensione aggiuntiva alle due in cui si muovono i "terrestri". Oltre alla lunghezza e larghezza ci si muove in altezza o profondità. È un vincolo in meno e un grado di libertà in più. Con la dimensione in più ci si guadagna in libertà ma assumendoci una dose di rischio maggiore. Mi concentrerò sul "volo" perché lo conosco bene ma molte cose che dirò valgono anche per l'esplorazione subacquea.
Cosa c'è di più irrazionale del desiderio umano di volare? La gravità è lì a ricordarti di stare tranquilli attaccati a terra. Ricordo quello che mi diceva il mio istruttore di volo quando gli confessavo che avevo un certo timore nella manovra di atterraggio. "Tranquillo" diceva "tutte le cose che vanno su prima o poi vengono giù".
Dopo secoli di inutili e tra l'altro pericolosi tentativi di volare imitando gli uccelli, il 17 dicembre 1903 Wilbur Wright e Orville Wright, senza diploma entrambi ma animati da una grande passione, fanno un volo di poche decine di metri con il Flyer, primo oggetto più pesante dell'aria a staccarsi da terra. Il primissimo tentativo durò pochi secondi e finì con uno schianto. Vi chiederete il perché. Nessuno era ancora andato ad una scuola di volo. Come si pilota un "aereo"? Erano i primi ed è stato un miracolo che non si ammazzassero. La suddetta dimensione spaziale in più richiedeva evidentemente abilità fino allora ignorate. Imparare a guidare una automobile era molto più semplice, lei si muove in un mondo a due dimensioni.
I due geniali fratelli come lavoro producevano biciclette innovative avendo inventato il freno a contropedale e apportato modifiche per renderle più sicure. La sicurezza dunque dalle bici all'aereo, vedremo essere il filo conduttore di questa storia.
Come dicevo, anche se non avevano terminati gli studi superiori erano dotati di passione ed inventiva, unite alla capacità di fare tesoro di tutte le esperienze precedenti su questo argomento. Diciamo che dopo quello che hanno realizzato, una laurea di ingegneria honoris causa se la meriterebbero. Mi dilungo un attimo su di loro per permettervi di capire il tipo di approccio che hanno avuto verso i problemi del volo a motore. Nel 1899 Wilbur scrive una lettera alla più importante istituzione scientifica del paese, la Smithsonian Istitution di Washington per avere la bibliografia completa e qualsiasi altra documentazione riguardante "l'aviazione e scienze aeronautiche." L'idea era quella di usare la struttura di un aliante che già aveva dimostrato di funzionare e metterci un motore. Ma il primo problema da risolvere fu quello di trovare un motore che rispetto al peso che aveva riuscisse e sviluppare una adeguata potenza. I motori di automobili dell'epoca risultarono troppo pesanti. Andavano bene per muoversi in due dimensioni ma non per entrare nella terza. Fu così che ne costruirono uno apposta insieme ad un loro amico meccanico. Sviluppava 12 cavalli. Una potenza a dir poco ridicola. Il secondo problema furono le eliche. Anch'esse vennero progettate e costruite da loro.
Ma lasciamo i famosi fratelli e il loro Flyer. Non desidero raccontare la storia dell'aviazione ma indagare prevalentemente la componente psicologica di questa attività. Sicuramente conoscete qualcuno che ha una paura folle di volare ed altri che invece hanno abbracciato con amore questa esperienza.
La paura di staccarsi da terra, temere il vuoto sotto di noi, è qualcosa che tutti i mammiferi terrestri (mia moglie inclusa) hanno dalla nascita. Il timore di cadere è istintivo e ci protegge dai pericoli che comporta esporsi alla possibilità di precipitare. Dunque hanno ragione le persone che odiano il volo come attività contro natura. Come è possibile che invece alcuni ne traggano piacere? L'uomo ha sempre osservato gli uccelli come esempio da imitare. La cosa più evidente attinente al volo che riguarda questi animali sono naturalmente le ali. L'ingenuità dei nostri antenati riteneva bastassero un paio di queste strutture anatomiche per spiccare il volo. Osservate i dipinti che raffigurano gli angeli. Molti sono rappresentati con le ali. In realtà se avessero un corpo invece di essere "spiriti" privi di peso, con quelle appendici non si alzerebbero neanche di un centimetro. Solo Leonardo da Vinci, nel famoso dipinto dell'annunciazione, disegna un angelo con un paio d'ali che sono la perfetta rappresentazione anatomica di quelle di un uccello, frutto certamente di uno studio approfondito come era solito fare. Purtroppo, ignorando in quel tempo le leggi della dinamica dei fluidi, diventava impossibile collegare la forma dell'ala alla vera funzione, per cui anche l'angelo di Leonardo sarebbe rimasto inchiodato a terra. Quindi conoscenza delle leggi fisiche associate a tecnologia d'avanguardia (rispetto ai tempi) sono gli elementi indispensabili per volare. C'è voluto un po' di tempo ma finalmente l'uomo ha capito che il peso era una tra le principali questioni da affrontare riguardo al volo. Gli uccelli infatti si sono evoluti per giungere al minor peso corporeo possibile. La "tecnologia" delle ossa cave, un becco leggero con l'eliminazione dei denti che per impiantarli in mascella e mandibola richiedono strutture ossee pesanti, le zampe in genere sottili, perché in volo sono un peso inutile da trasportare. Infine un "motore potente". Infatti se osservate i muscoli alari vedrete che sono attaccati allo sterno che risulta sporgente (si definisce carenato) e che permette una leva più vantaggiosa per muovere le ali.
Ma non basta. Per avere più potenza la temperatura corporea è più alta di quella dei mammiferi (mediamente è circa 40°C) così riescono ad avere un metabolismo accelerato che consuma più cibo ma che produce più energia. Pensate che un canarino del peso di 20 grammi consuma 5 grammi di cibo al giorno. È come se un uomo che pesa 80 Kg mangiasse 20 Kg di pasta al giorno. Inoltre avrete notato che dormono mettendo il becco e magari una zampa sotto un'ala per non disperdere calore. Infine le piume e le penne. Le prime per favorire il mantenimento dell'alta temperatura corporea e le seconde per volare. Ma quell'elemento fondamentale che nessuno aveva ancora capito, il segreto dell'ala degli uccelli, sta nella sua forma che, investita dal flusso d'aria, genera il sostentamento (portanza) e nella propulsione delle penne "remiganti" che si trovano alla sua estremità. Ovvero l'uccello si sostiene nell'aria e spinge in avanti sé stesso con un unico battito d'ali. L'uomo non può farlo per cui negli aerei le due cose vanno separate: un'ala rigida che con quella particolare forma sostiene, e un motore con un'elica per spingere. Il gioco è fatto. Propulsione e sostentamento devono essere divisi (fanno eccezione gli elicotteri in cui portanza e spinta sono generate entrambe dal rotore principale).
Ma torniamo alla domanda: "perché ci sono persone che si appassionano al volo nonostante sia contro natura?" La risposta è questa. Per amare questa esperienza hai bisogno di due opposti sentimenti. Una pulsione irrazionale che potremmo definire romantica ed il suo opposto ovvero una mente fredda e razionale. Solo coniugandole entrambe con una fede assoluta nelle leggi della fisica puoi superare le paure che ti assalgono lasciando la madre Terra. Non si può non amare quel complicato oggetto che ti porta in cielo per realizzare un sogno, ma nel contempo si deve avere per lui quella forma di rispetto mentre, attraverso il pannello strumenti, ti comunica informazioni essenziali per il volo.
Il volo non è un fatto istintivo. I movimenti che si attuano con la pedaliera, la cloche e la manetta del gas, devono essere appresi, non sorgono spontanei. Inoltre tra il movimento del comando e la sua attuazione non vi è una risposta immediata come accade in un'auto sulla quale, se giri il volante a destra lei gira subito a destra. In volo tutto dipende dalla velocità. Se vai piano la risposta è lenta. In auto ti dicono non correre, va piano e sicuro. Invece se piloti un aereo ti dicono di andare veloce perche la velocità è sicurezza e se scendi al di sotto di un certo valore è come se tagliassero i fili che ti sostengono e cominci a cadere. È lo stallo. Quella brutta bestia che improvvisamente ti butta fuori dalla terza dimensione e se non hai altitudine sufficiente per recuperare velocità, ti restituisce alla madre Terra.
La magia del volo sta anche nel fatto che entrando nella terza dimensione ti accorgi che fino a quel momento avevi ignorato completamente o quasi la presenza di un elemento fondamentale: l'aria. Si certo, l'avevi sentita sul viso andando in bicicletta o sporgendoti dal finestrino di un'auto ma non avevi mai pensato che è lei a sostenerti, a farti volare. Allora ti accorgi che l'aria non è ferma, si muove e non solo orizzontalmente come quando c'è vento, ma anche in verticale. Ti porta su magari verso un pauroso cumulo nembo oppure ti lascia cadere come se il tuo mezzo volante fosse una canoa su un fiume che precipita in una cascata. Puoi remare fin che vuoi ma lei continua a scendere. Queste situazioni dai profani del volo vengono chiamati erroneamente "vuoti d'aria" che in realtà non esistono. L'aria è ovunque ma se qui sale, in un altro punto deve necessariamente scendere. È una esperienza che se fatta con piccoli aerei può essere abbastanza traumatica per i passeggeri sentendo quali scosse subisce la cellula attraversando masse d'aria con diversa densità. Naturalmente in fase di progetto l'esistenza di queste turbolenze viene tenuta in considerazione, ma chiunque piloti un aeromobile sa che gli elementi della natura, in alcuni momenti, possono scatenare forze superiori alla nostra capacità di controllo. Per questo motivo la conoscenza del'atmosfera è un elemento indispensabile nella formazione di un pilota. Evitare di andare a cercare guai è una buona regola dato che i movimenti dell'aria sono gli unici fattori che non sono sotto il nostro controllo. Questo spiega perché lo studio della meteorologia sia andato di pari passo con la storia dell'aviazione.
La sicurezza. Ecco la parola chiave. Già dai primissimi e incerti voli dei fratelli Wright si capì che la sicurezza sarebbe stata la parola sulla quale si sarebbe giocato il futuro dell'aviazione. Un qualsiasi banale problema può fermare un’automobile e farvi arrivare a casa più tardi. Il medesimo problema in volo? A casa non si torna più.
Fin dagli esordi, la pratica del volo manifestò i suoi punti deboli. Si stavano facendo grandi progressi con la branca della fisica chiamata aerodinamica, ma la propulsione, ovvero i motori stentavano a diventare potenti, leggeri ed efficienti. Quando C. Lindbergh fece costruire l'aereo con il quale attraversò l'Atlantico gli chiesero perché non aveva voluto un bimotore anziché un monomotore. La sua risposta fu che avrebbe avuto il doppio di possibilità che se ne rompesse uno e con quello rimasto, il tuffo nell'atlantico era assicurato. La scelta di Lindbergh fu intelligente ma a quei tempi trovare un motore che funzionasse per 30-40 ore consecutive senza intoppi richiedeva anche un po' di fortuna.
Per aumentare la sicurezza sulle indispensabili informazioni che la nostra macchina del cielo ci fornisce e per ovviare a possibili rotture o errori dovuti alla strumentazione ecco dunque la ridondanza degli indicatori, quasi sempre duplicati affinché la eventuale guasto di uno di questi possa essere compensata dal funzionamento del suo gemello. Naturalmente in nessun campo può esistere la sicurezza assoluta perché ci sono fattori che non sono sotto il nostro controllo. Abbiamo appena accennato all'atmosfera, ma a questa va aggiunto il fattore umano. E non mi riferisco solo alle decisioni che un pilota deve prendere in particolari momenti sulla base delle informazioni che gli forniscono gli strumenti, ma come vedremo tra poco, anche a quello che avviene prima del volo come ad esempio le manutenzioni. Il programma di manutenzione stabilito dalla casa costruttrice.
Qui apro una piccola parentesi sulla sicurezza che riguarda quasi esclusivamente i grandi aerei di linea. I computer in cabina accanto al pilota. Mi spiego meglio. Fino ad alcuni anni fa il pilota governava l'aereo muovendo pedaliera e cloche che attraverso cavi in acciaio muovevano timoni e alettoni. Oggi invece, su questi super tecnologici jet di linea, il pilota muovendo la cloche invia un segnale elettrico a dei computer che trasmettono poi il segnale ai timoni e alettoni dove si trovano dei piccoli motori (effettori) che li muovono. Poiché i computer ricevono informazioni oltre che dai comandi del pilota, anche dai sensori che forniscono loro quota, velocità, potenza motori, e molto altro, possono giudicare se quello che il pilota vuole fare sia ammissibile in quelle condizioni. Se non lo è il computer avvisa il pilota e gli impedisce di farlo all'infuori che, chi è ai comandi, si sganci dall'automatismo e voglia farlo lo stesso. Questo sistema per pilotare un aereo si chiama fly by wire e ormai tutte le case costruttrici di aeromobili di grandi dimensioni usano questa tecnologia. Lo scopo naturalmente è quello di aumentare la sicurezza impedendo al pilota di fare manovre non compatibili con quell'assetto di volo (si chiama inviluppo di volo) lasciando comunque l'ultima parola all'essere umano che volendo, può togliere questi vincoli di sicurezza. Un'altro vantaggio di questo sistema computerizzato e che ai piloti vengono mostrati su grandi schermi digitali solamente quelle informazioni utili in quel momento oppure quelle che segnino parametri fuori dalla norma. In questo modo il pilota non dovrà più guardare continuamente decine di strumenti analogici che riempivano i pannelli della cabina per controllare che tutto vada bene, sopportando uno stress notevole. Purtroppo c'è anche un rovescio della medaglia. In pratica, effettuato il decollo e raggiunta una certa quota di sicurezza si inserisce l'autopilota e, se non vi sono particolari problemi i computer porteranno l'aereo a destinazione. Qui il pilota riprenderà i comandi per atterrare. In pratica su un volo di 8 ore magari ai comandi ci è stato mezzora. Tutti questi accorgimenti per aumentare la sicurezza hanno dimostrato che in una improvvisa situazione di emergenza alcuni piloti si sono dimostrati impreparati ad affrontarla.
Per chi fosse interessato a questo argomento, in appendice mi dedicherò a spiegare il caso emblematico dell'incidente al volo AIR FRANCE 447.
Strettamente collegato al discorso sicurezza è il volo strumentale. Si tratta di volare in condizione di cecità visiva di notte o di giorno. Volare con la sola fiducia totale negli strumenti è il massimo atto di fede che un innamorato del volo possa immaginare. Non avendolo personalmente provato vi riporto ciò che mi hanno riferito.
Quando si vola con una buona visibilità noi mettiamo in sintonia ciò che gli occhi vedono con quello che l'organo del labirinto ci trasmette e le sensazioni di accelerazione e decelerazione che il corpo invia al cervello. Durante il volo strumentale invece dobbiamo essere in sintonia con gli strumenti. Quelli indispensabili sono: Orizzonte artificiale, Altimetro, Variometro e Virosbandometro. Non spaventatevi per i nomi, vorrei solo farvi capire quale tipo di difficoltà si incontra nel passare dal volo a vista a quello strumentale.
Vi faccio un esempio. Se sono su un'auto che si muove in linea retta la gravità risulta perpendicolare al sedile su cui mi trovo. Se imposto una curva a destra, l'accelerazione centrifuga mi spingerà verso sinistra. Se anche avessi gli occhi chiusi capirei comunque che sto facendo una curva. Se invece sto volando ed imposto una virata corretta a destra, l'ala destra si abbassa, la sinistra si alza e la risultante tra la accelerazione di gravità e quella centrifuga risulterà sempre perpendicolare al sedile anche se il mio peso aumenta leggermente. Potete verificare questo fenomeno salendo su quelle giostre dove i sedili sono appesi a delle catenelle. Più veloce gira la giostra più sarete proiettati verso l'esterno ma sempre perpendicolari al sedile. Quindi se non vedessi l'orizzonte inclinarsi non potrei accorgermi che sto curvando. Ecco perché il primo fondamentale aiuto per il volo strumentale è l'orizzonte artificiale. Si tratta di un giroscopio che mantiene la posizione dell'orizzonte indipendentemente dalla posizione dell'aereo. Questo strumento riproduce l'orizzonte come lo vedrei se ci fosse visibilità. Gli altri strumenti: l'altimetro mi dà l'altitudine, il variometro mi dice se sto salendo o scendendo perché questa sensazione in volo non si percepisce facilmente mancando punti di riferimento abbastanza vicini. Ultimo lo virosbandometro che è costituito da una semplice pallina libera di muoversi in un tubo con forma ad U che mi indica la direzione della gravità apparente, cioè la risultante di tutte le forze. In una virata perfetta la pallina deve rimanere al centro altrimenti significa che sto scivolando d'ala o derapando. Queste brevi spiegazioni servono a farvi capire che se non ho visibilità, le sensazioni che il nostro corpo ci trasmette riguardo la nostra posizione nello spazio, sono errate mentre quelle corrette sono riportate dagli strumenti. Bisogna quindi imparare a fare violenza contro l'istinto che vorrebbe agire obbedendo alle informazioni sensoriali e fidarsi invece degli strumenti che ci dicono cose differenti.
Rimanendo sulla questione sicurezza si può affermare che nella stragrande maggioranza dei casi non basta un errore del pilota o una avaria per causare un grave incidente. La ridondanza dei sistemi di sicurezza dell'aeromobile permettono di recuperare molte situazioni critiche. Per questo motivo occorrono più errori consecutivi per arrivare al disastro. Avete capito quanta importanza acquista la preparazione professionale dei piloti e le continue verifiche (ogni 6 mesi se hanno più di 40 anni e ogni anno se ne hanno di meno) al simulatore per mantenere la licenza.
Dopo l'attenzione alla meteorologia e al pilota come fattore umano, arriviamo al terzo elemento riguardante la sicurezza: le manutenzioni. La scadenza di questi controlli e relativa sostituzione di parti meccaniche è programmata punto per punto dalla casa costruttrice e per poter volare ogni mezzo deve avere la certificazione di aver fatto quel "tagliando". Due sono i fattori che vengono presi in considerazione per programmare le scadenze: le ore di volo e i cicli decollo atterraggio. In ogni decollo i motori vengono spinti al massimo e in ogni atterraggio il carrello subisce uno stress. Ovvio che un aereo usato sulla tratta Milano - Roma si logora maggiormente di uno che fa Roma -Toronto. Se tutti i controlli e le sostituzioni di parti come programmato viene fatta, l'aeromobile potrà volare per decine di anni in sicurezza ma con costi di manutenzione crescenti a causa del numero di pezzi che mano a mano col tempo dovranno essere sostituiti per cui le compagnie aeree dopo qualche anno vendono gli aerei e li sostituiscono con altri nuovi.
Per ultimo voglio aggiungere un fattore sicurezza che oggi non costituisce più un problema. Difetti di progetto. Con l'uso dei computer l'aereo viene progettato, assemblato e fatto volare prima di costruirlo. In questo modo tutti i possibili difetti vengono alla luce e si possono correggere prima di farlo nascere. Anni fa il Comet, un jet di linea di fabbricazione britannica ebbe molti incidenti prima che gli ingegneri capissero dove stava il problema grave di progetto che lo affliggeva.
Affinché gli incidenti aerei non fossero solo disgrazie ma diventassero la base di partenza per migliorare la sicurezza, dal 1953 sono state adottate quelle che i giornali definiscono di solito "scatole nere". Si tratta di due "scatole" che nere non sono ma dipinte con colori ben visibili come il rosso e il bianco per poterle individuare facilmente anche sott'acqua. Sono due registratori. Uno registra le voci in cabina dei piloti, l'altro registra tutti i parametri di volo. Vengono poste nella parte posteriore dell'aereo di solito sotto il timone verticale che rappresenta il luogo che solitamente riporta minori danni all'impatto. Costruite per resistere ad urti violentissimi, alle fiamme o in fondo al mare, il loro recupero è un tassello fondamentale per ricostruire le cause dell'incidente.
Chiudiamo il discorso sicurezza con un dato statistico. A livello mondiale, negli ultimi anni, si ha un incidente grave ogni 780.000 voli.
Torniamo ora alla filosofia del volo. Come ogni strumento costruito dall'uomo, se lo osserviamo con l'occhio di chi ama questo mondo, ci potrà apparire bello o brutto. Tutti i piloti sostengono che se un aeromobile lo giudichiamo bello certamente volerà anche bene. Il nostro amato oggetto volante non può permettersi fronzoli inutili. Ogni sua parte deve produrre la massima efficienza. Quindi stabilita la sua destinazione d'uso sarà il vento e le capacità inventive del progettista a disegnare il resto delle forme. Quando l'amore per il volo si fonde con le leggi dell'aerodinamica nascono i capolavori che passano alla storia o diventano leggenda.
La storia del volo però, nei suoi primi trent'anni, è stata condizionata, come ho già detto, dalla poca affidabilità dei motori e ancora di più dai materiali usati nella costruzione di questi oggetti volanti. Un parametro importante per volare è il rapporto peso/potenza. Se il mio motore ha 100 cavalli e l'aereo pesa 1.000 kg ogni cavallo dovrà spingere 10 kg, ma se il mio peso è 2.000 kg ogni cavallo dovrà spingere 20 kg. I costruttori di quegli anni quindi usavano materiali economici e leggeri: legno, tubi saldati e tela. Poiché si tratta di materiali non molto adatti a sopportare grandi carichi, la soluzione obbligata fu di costruire biplani, ovvero sovrapporre due ali, ma anche tre, rigidamente inscatolate da cavi e montanti. Sono gli aerei che compaiono nella prima guerra mondiale.
Abbiamo accennato alla componente irrazionale e romantica del volare. Qual è il luogo dove meno ti aspetteresti di trovarla? In guerra certamente. Invece, proprio nella Grande Guerra i cavalieri del cielo si massacravano reciprocamente come i loro compagni in trincea ma nessuno (io direi stupidamente) portava il paracadute perché a loro sembrava un simbolo di codardia. I giovani aviatori la cui aspettativa di vita non andava oltre le poche settimane, ammiravano gli "assi" nemici. Von Richthofen fu il più famoso pilota della Grande Guerra. Sulla sua tomba gli inglesi scrissero: “Al nostro valoroso e degno avversario”.
Brutto dirlo ma le guerre accelerano l'evoluzione tecnologica. Così è stato anche per la seconda guerra mondiale. L'uso di nuovo materiali come leghe di alluminio hanno permesso la costruzione di monoplani molto più aerodinamici e veloci. Infine l'era dei motori a getto.
Il coraggio, uno, se non ce l'ha non se lo può dare. Diceva Don Abbondio e aveva ragione. Icaro è lì come un monito per i trasgressori della terza dimensione. Se hai paura non voli. Senza "se" e senza "ma". Purtroppo, per chi ha scelto di volare, anche una eccesiva confidenza con il mezzo può diventare pericolosa. Rilassati ma attenti definirei lo stato mentale ideale di chi è ai comandi...
...Quello però non era il mio stato mentale quel giorno. La quindicesima ora di lezione con Antonio, l'istruttore, nel sedile dietro al mio era terminata e in cuffia mi dette l'ordine di atterrare. Sentivo la cloche e la pedaliera libere di muoversi, segno che aveva tolto mani e piedi dai doppi comandi. Un'occhiata all'altimetro... si eravamo un po' troppo alti. Impostai una larga virata a destra mentre con la mano tiravo indietro la manetta del gas fino a quando il contagiri del motore segnò 2.800. Una occhiata all'anemometro. Segnava 55 miglia/h. Un po' troppe. Ma dovevo concentrarmi sull'ultima virata che immetteva alla pista. Manica a vento piegata a metà e vento debole al traverso. Volevo fare bella figura con Antonio quindi misi particolare attenzione a quella manovra. Durante una virata si perde quota e io avevo un venticello al traverso che per alcuni istanti, durante la manovra di approccio, sarebbe stato in coda allargando il raggio della virata trovandomi così non ben allineato con la pista. Arrivai un po' lungo ma perfettamente in asse con la striscia d'erba ben rasata. Feci solo in tempo a guardare l'anemometro mentre mettevo le ruote per terra. Cavoli ero sceso troppo veloce. La pista era lunga e mi fermai senza problemi ma se fossi atterrato su piste più corte avrei dovuto attaccarmi ai freni. Cosa avevo sbagliato gridai nel microfono dell'interfono. Non hai abbassato i flaps rispose l'istruttore. Non sono intervenuto perché la pista è lunga e volevo vedere se te ne accorgevi.
Incavolato nero stavo per salutarlo e andarmene a casa. Ma lui mi prende per un braccio e mi dice. Ok sei pronto per il tuo primo volo da solo. Cosaaaa! dico io. Ho appena fatto un imperdonabile errore. E Antonio: Vai, questo è il momento giusto scommetto che farai un volo perfetto.
Questa improvvisa fiducia da un lato mi conforta ma dall'altro mi assalgono molti dubbi. Mentre mi allaccio la cintura e sposto lo spinotto delle cuffie dall'interfono alla radio, chissà per quale motivo mi viene in mente che lo scorso anno dei passerotti avevano costruito un nido sopra la mia finestra nel sottotetto. Un giorno passando di lì trovai un passerotto quasi implume spiaccicato a terra esattamente sotto il nido. Evidentemente aveva tentato di volare quando ancora non era pronto. Una fine triste dettata da un disperato amore per il volo. Mentre pensavo a questo, avevo avviato il motore. L'istruttore si era spostato di qualche metro per non essere investito dal flusso d'aria dell'elica, e mi chiedeva via radio se lo sentivo forte e chiaro. Si risposi. Vai mi disse. Mi portai lentamente in testata pista. Tenendo i freni tirati spinsi la manetta in avanti fino a raggiungere i 3.500 giri, quindi feci la prova contatti spegnendoli alternativamente. Il contagiri calò di 2.000 giri come da manuale... Una tacca di flaps Ok, pista libera. Nessuno sopra di me in atterraggio... Rilasciai i freni. Portai dolcemente la manetta in avanti mentre l'elica si avvitava nell'aria fino ad uniformare il suo suono con quello del motore alla massima potenza. Correvo lungo la pista accelerando. Raggiunta la velocità di decollo attesi qualche attimo in più prima di tirare la cloche verso di me, ero sicuro di volermi staccare da terra? La madre Terra? Forse ero ancora in tempo per frenare e rinunciare. Staccarsi era semplice ma poi sarei stato capace di rimettere quelle ruote a terra da solo, senza problemi? Intanto il fondo pista si avvicinava e a questo punto ruotai la cloche a cabrare senza ulteriori indugi e l'uccellino si staccò da terra bruscamente inerpicandosi in una salita un po' troppo ripida, in parte per la velocità che avevo acquistato e un po' per la mancanza del passeggero alle mie spalle che era una zavorra a cui mi ero abituato. L'istinto romantico del volo che mi prendeva ogni volta che vedevo allontanarsi sotto di me i prati e i meravigliosi corsi s'acqua della pianura Padana che riflettevano la luce del tramonto lasciò spazio per un minuto alla ragione. Corressi la salita troppo ripida spingendo leggermente in avanti la cloche e impostai la virata a destra come il circuito imponeva, poi diminuii un poco la manetta e mi guardai in giro. Stavo volando da solo. Voltandomi vidi l'istruttore fermo in mezzo alla pista che guardava all'insù nella mia direzione. Via radio mi disse di compiere un intero giro e poi di portarmi all'atterraggio. Le ruote toccarono terra dolcemente come mai ero riuscito a fare. Senza nessuno che mi teneva per mano ero entrato anch'io nella terza dimensione.
Riccardo Magnani
APPENDICE PER CHI VUOLE APPROFONDIRE
AIR FRANCE 447: un caso emblematico
Ricordate quello che ho scritto qui sopra riguardo agli incidenti aerei? Le condizioni di sicurezza sono tali che per provocare un incidente come questo non basta un errore del pilota o una avaria che mette fuori uso un motore. Sono necessari una serie consecutiva di errori o di malfunzionamenti. Grazie al ritrovamento, dopo lunghe e costose ricerche (il relitto dell'aereo si trovava a 4 km di profondità) dei due registratori F.D.R (parametri di volo) e V.D.R. (registrazione voci dei piloti e rumori di cabina), è stato possibile ricostruire perfettamente le cause del disastro affinché mai più possa accadere qualcosa di simile. La magistratura al termine delle indagini ha assolto l'AIRBUS che costruisce l'aereo e AIR FRANCE la compagnia aerea. Rimangono le responsabilità dei piloti, il famoso fattore umano che in questo caso in poco più di tre minuti ha fatto precipitare l'aereo nell'Atlantico.
Vi riporto la cronologia di quanto accaduto aggiungendo alcuni commenti e spiegazioni per chi di voi non a avesse dimestichezza con le procedure aeronautiche.
1° giugno 2009 - volo AIR FRANCE 447 da Rio a Parigi.
A bordo vi sono 3 piloti. Il Capitano il 58enne Marc Dubois e due primi ufficiali. Il 37enne David Robert, il 32enne Pierre-Cedric Bonin. A 1 ora e 36 minuti di volo l'aereo entra nelle estremità esterne di un sistema di tempeste tropicale. Prende il nome di convergenza equatoriale ed è il luogo, ovvero l'equatore, dove si scontrano gli Alisei. Stanno volando a 35.000 piedi (circa 10.600 metri). L'aereo sente già alcune turbolenze e uno dei piloti dice che dovremmo salire ma l'aereo è ancora pesante per il carico di carburante essendo partito da solo 90 minuti da Rio. Uno strano fenomeno elettrico illumina la cabina: Il pilota più giovane chiede cos'è. Il capitano Marc Dubois con 11.000 ore di volo risponde che è un fuoco di Sant Elmo, una specie di fulmine che si manifesta a quelle quote e in quelle particolari condizioni.
(ERRORE N° 1) Alle 2.02 il Capitano lascia la cabina per un turno di riposo senza avere stabilito chi dei due piloti rimasti assumerà il comando. Poiché nella prassi il sedile di sinistra è occupato dal comandante e quello di destra del secondo ufficiale, quando il capitano esce dalla cabina il sedile di destra è occupato dal terzo ufficiale, quello con meno esperienza ed ore di volo.
(ERROREN° 2) Tutti gli aerei che erano appena passati su quella rotta avevano deviato per aggirare il brutto tempo. Gli aerei moderni hanno un radar meteorologico che analizza le nubi e l'eventuale contenuto in grandine. Una occhiata al radar avrebbe consigliato di aggirare il brutto tempo. Solo ora Bonin guarda il radar meteorologico e scopre che non è stato impostato nella modalità corretta. Aziona i sistemi antighiaccio perché si accorge che si stanno buttando diritti nella tempesta.
Ore 2.08. Robert chiede di tirarlo un po' a sinistra. Bonin esegue e sposta l'aereo un po' a sinistra. Bonin annuncia che ridurrà la velocità e chiede a Robert se deve attivare il dispositivo che impedisce lo spegnimento dei motori in caso di forte formazione di ghiaccio.
(ERRORE N° 3 - COME CONSEGUENZA DEL N° 2) In questo momento l'aereo è guidato dal pilota automatico. Appena entra nella zona di forte turbolenza i sensori esterni della velocità si riempiono di ghiaccio così suona l'allarme. L'autopilota, non avendo informazioni sulla velocità si sgancia automaticamente. I piloti passano ai comandi manuali. È una piccola e breve avaria (durerà solo un minuto) che riguarda solo la lettura della velocità effettiva rispetto all'aria. Questo valore è importante per non cadere in stallo e in questo momento i piloti non lo conoscono anche se l'ultima lettura dava 0.82 Mach, un valore corretto per la quota che avevano. Se non si cambia l'assetto dell'aereo non c'è motivo di pensare che sia cambiato qualche parametro. Era sufficiente non fare nulla e mantenere la rotta attraverso la turbolenza.
Ore 2.10. Bonin comunica di avere preso i comandi. Le procedure prevedono o meglio consigliano in caso di passaggio da autopilota a manuale, di mantenere l'assetto orizzontale.
(ERRORE N° 4) Bonin, nonostante avessero appena discusso sulla impossibilità di salire, tira a sé la cloche e mette l'aereo in una ripida salita. Un gesto assurdo contrario ad ogni logica dato che alzando il muso dell'aereo la velocità diminuisce bruscamente. A questo punto suona l'allarme di "stallo". È una situazione pericolosa perché l'aereo tende a precipitare, ma a quella altitudine si ha tutto il tempo per recuperarla. Basta abbassare il muso spingendo avanti la cloche. Un gesto che si impara alla prima ora di un qualsiasi corso per imparare a volare. L'allarme stallo suona ben 75 volte ma Bonin continua a tirare a sé la cloche.
Robert chiede che succede e Bonin dice che "abbiamo perso velocità". Robert: "stiamo ancora salendo, scendi!"
Intanto i sensori della velocità ricominciano a funzionare per l'accensione dell'antighiaccio.
Bonin spinge un pochino avanti la cloche, l'aereo acquista velocità e l'allarme stallo smette di suonare. I piloti hanno di nuovo il controllo dell'aereo. Bonin però dice che siamo ancora in salita. Nonostante questo continua a tenere la cloche tirata verso di sé.
Robert schiaccia il pulsante per chiamare il comandante.
(ERRORE N° 5) L'aereo intanto continua a salire. Ora si trova ad oltre 11.400 metri ma comunque sempre nei limiti di sicurezza. ma per ragioni sconosciute Bonin mette ancora l'aereo in salita e così scatta di nuovo l'allarme di stallo.
2.10.55''. Tutti i sensori della velocità ora funzionano perfettamente. Da qui in poi gli errori sono solo dei piloti.
Più l'aereo sale più l'aria è rarefatta e la resa dei motori diminuisce, inoltre anche la portanza delle ali è minore Con i motori al massimo e il muso su, l'aereo quasi si ferma e incomincia a precipitare.
2.11.21'' Robert urla: ma cosa sta succedendo?
(Breve spiegazione. Negli AIRBUS le due cloche dei piloti non sono sincronizzate quindi se il pilota a destra sta tirando indietro la cloche, quello di sinistra non percepisce questo movimento come accadeva ai tempi dei comandi manuali.)
L'aereo intanto precipita ma senza abbassare il muso cioè cade orizzontalmente perché Bonin continua a tenere la cloche tirata verso di sé.
2.11.32'' Bonin dice che ha perso il controllo.
Robert sul sedile di sinistra prende i comandi ma si comporta come se non sentisse suonare l'allarme di stallo ovvero tiene il muso in alto anche lui.
2.11.43'' Bonin riprende i comandi, ma finalmente ritorna in cabina il comandante.
Che diavolo stai facendo? urla Dubois mentre l'allarme di stallo continua a suonare. Bonin dice: Stiamo perdendo il controllo dell'aereo mentre Robert, realisticamente, dice: "Abbiamo completamente perso il controllo. Non capiamo più niente. Abbiamo provato di tutto"
Con il muso inclinato di 15° verso alto l'aereo sta precipitando con una velocità verticale di 10.000 piedi al minuto (circa 3.000 metri al minuto) e una velocità di avanzamento di 100 nodi (circa 185 Km/h).
Debois non capisce cosa stia succedendo perché non sa che Bonin ha tenuto tirata indietro la cloche tutto il tempo. L'allarme di stallo continua a suonare ma anche Dubois sembra non farci caso. Nessuno dei piloti in quei 4 minuti pronuncia la parola stallo.
2.12.15'' Il Capitano non prende i comandi e si mette dietro i due piloti e risponde che anche lui non capisce. L'allarme dello stallo, continua a suonare, mentre l'aereo è sballottato dalla turbolenza.
(ERRORE N° 6) I tre discutono ancora se l'aereo sta scendendo o salendo. come se gli strumenti non funzionassero e l'avviso di stallo non suonasse. A questo punto si trovano a 10.000 piedi e capiscono che stanno scendendo anzi stanno precipitando. Robert tenta di riprendere i comandi e spinge avanti la cloche ma non si accorge che l'aereo è in modalità "dual imput" e il computer fa la media tra i comandi dei due piloti dove uno tira e l'altro spinge.
2.13.40'' Salire, salire, salire urla Dubois. Intanto Bonin confessa di aver tirato la cloche tutto il tempo.
2.13.43'' Dammi i controlli grida Robert. Intanto si mette a suonare l'allarme per il rapido avvicinamento alla superficie del mare.
Bonin cede i comandi a Robert ma ormai sono a 2.000 piedi dalla superficie del mare (circa 600 metri) Se avessero fatto questa semplice operazione di spostare la cloche in avanti quando erano lassù, ora sarebbero tutti vivi. Ma ora non c'è più tempo per aumentare la velocità.
(ERRORE N° 7) Nulla sarebbe cambiato anche togliendo questo l'ultimo errore. Bonin, senza avvisare, riprende i comandi e tira la cloche a sé perché perseverare è diabolico.
Robert dice: Dannazione andremo a sbattere. Non può succedere.
2.14.25'' Bonin: ma cosa sta succedendo?
2.14.27'' Capitano: ...10° di inclinazione.
Fine registrazione. In meno di 4 minuti i tre piloti sono riusciti a precipitare in mare un aereo che volava a più 11.000 metri. L'impatto avvenne a 293 Km /h.
Il recupero del relitto e delle scatole nere, che ha richiesto due anni di ricerche, è arrivato a costare 35 miliardi di euro, (si, avete letto bene) ma ha svelato la causa del disastro affinché non possa più ripetersi. Questo vi fa capire quanto vale la sicurezza dei voli aerei.
Non è stato quindi il malfunzionamento dell'aeromobile o le pessime condizioni meteo a provocare l'incidente. Il ghiaccio nei sensori della velocità (tubi di Pitot) è durato meno di un minuto. Le condizioni meteo, per negligenza dell'equipaggio non erano state controllate prima della partenza e il radar meteorologico non era attivato sulla corretta impostazione.
L'aereo anche passando attraverso la perturbazione non ha subito danni se non nel momento dell'impatto con l'acqua. Il fattore umano in questo caso ha la completa responsabilità. Come abbiamo detto non basta un errore per far precipitare un aereo e questo volo ne è la prova.
L'aspetto più sconvolgente, a mio parere, di questo assurdo incidente, è lo stato confusionale dimostrato dai piloti nell'affrontare una situazione che non era certamente drammatica, come se spegnendosi il pilota automatico non fossero più in grado di far volare l'aereo. Se anche i sensori esterni della velocità non hanno fornito informazioni per un minuto la velocità poteva essere stimata in altri modi ad esempio osservando quella che il GPS fornisce, cioè quella rispetto al suolo. Poteva consultare l'altimetro per vedere se stava salendo o scendendo, ma come ho detto bastava continuare a volare dritti senza variare alcun parametro e ne sarebbero usciti senza problemi. Invece sembrano incapaci di ragionare, paralizzati, presi dal panico.
Grazie alla precisa ricostruzione dell'accaduto con il ritrovamento delle due scatole nere, mi auguro, ma ne sono sicuro, che si farà tesoro delle evidenti cause dell'incidente per poter migliorare la preparazione dei piloti non solo nel volo normale ma saper rispondere in modo professionale e senza panico a situazioni di emergenza.
Solo così rimarremo nel solco tracciato sulla questione sicurezza del mondo aeronautico.
Riccardo Magnani
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