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All'origine della spiritualità per un etica consapevole

Di Francesco Pelillo - Aprile 2014

 

 

"Chiamate, vi prego, il mondo "la valle del fare anima".
Allora scoprirete a che serve il mondo…"
(J. Keats)

 

 

L'attuale crisi umana e ambientale che coinvolge l'intero nostro pianeta è sotto gli occhi di tutti anche grazie al fatto che viene analizzata in tutti i suoi aspetti e addebitata a innumerevoli fattori da vari scienziati e umanisti sparsi per il mondo. Naturalmente, le proposte che emergono per la soluzione dei problemi, risentono della molteplicità dei punti vista e degli interessi che entrano in gioco, determinando di fatto la difficoltà di individuare in modo univoco le ragioni che hanno portato all'attuale situazione.
Per cercare di diradare queste difficoltà penso che occorra individuare un nuovo paradigma che veda finalmente l'uomo prendere coscienza dell'interdipendenza di tutti i "fatti" del mondo, così da consentirgli di ridefinire il proprio ruolo e le proprie aspettative con la consapevolezza delle conseguenze globali delle sue scelte.
Dato lo scempio del valori umani e del pianeta a cui stiamo assistendo (e partecipando!), si tratta di affrontare un vero e proprio lavoro di ricostruzione che dovrebbe partire dalla spiritualità individuale per definire l'etica sociale che dovrebbe ispirare la politica globale.
Ma, poiché il problema è antico e, nonostante l'impegno millenario delle menti migliori nella ricerca delle soluzioni, le ingiustizie e le incongruenze che accompagnano la storia dell'umanità fin dal suo inizio caratterizzano ancora la condizione umana, siamo costretti ad esplorare le cause del nostro fallimento partendo dall'analisi del metodo che abbiamo utilizzato fin qui.
La prima evidenza è che la presunzione della natura dualistica del nostro "essere", che ci vede portatori di inderogabili esigenze sia spirituali che materiali, ha caratterizzato ogni ricerca utile per la nostra evoluzione individuale e sociale.
È vero che questo dualismo ha avuto e ha diverse declinazioni a seconda delle culture e dei tempi che si vogliano prendere in esame, ma volendo fare un bilancio onesto dei risultati, nessuno può affermare che il prevalere dello spiritualismo o del materialismo abbiano portato a condizioni di vita migliori in questo o quel luogo del pianeta. I morti di fame sulle strade di Bombay e il degrado ambientale e morale delle nostre periferie stanno a dimostrare come questo dualismo sia sfociato in una dicotomia che, finalmente, grazie alla "globalizzazione" delle conoscenze — e quindi delle coscienze —, sta rivelando tutta la sua incompatibilità e inadeguatezza per il perseguimento dell'obiettivo di una reale evoluzione dell'umanità.
Partendo da questi presupposti quindi, non ci resta che percorrere la strada del superamento di questa dicotomia, e per farlo, poiché a nulla sono servite le sole intuizioni dei grandi umanisti che, come tali, si sono prestate alle più aberranti manipolazioni da parte delle strutture di potere, non possiamo che appellarci alla conoscenza scientifica per cercare di oggettivarle e recuperare così una visione unitaria della natura umana e di tutta la realtà.
A me pare che oggi, questo "matrimonio" tra spiritualità e materialità sia reso possibile dallo stato dell'arte nei più svariati campi di indagine: dalla Biologia alla Fisica Quantistica, dall'Evoluzionismo alle Neuroscienze, dall'Astrofisica alla Cosmologia... tutto sembra indicarci un solo percorso evolutivo "filogenetico" che, per quanto ne sappiamo, a partire dal cosiddetto Big Bang ha trovato nella mente dell'uomo la massima espressione della complessità organizzativa delle forme di energia costitutive dell'universo.
Con l'approdo al probabilismo bloccato dall'entanglement fra le particelle del livello quantistico della realtà, sembra esaurita la discesa agli inferi del riduzionismo meccanicista iniziata quattro secoli fa con la separazione dei "fatti" dello spirito da quelli della materia. Quindi, ora possiamo tentare la risalita verso l'uomo e la sua mente con un approccio inverso, che io chiamo "ampliamentista", che non può che portare alla riunificazione dei concetti di spirito e di materia nell'unico concetto di "Spiriteria". Il solo che possa consentirci di procedere oltre nell'allestimento di un nuovo paradigma.
Infatti, se trasferiamo i dati oggettivi acquisiti sperimentalmente a scala microscopica — che vedono il "motore" del divenire nella Ricerca Dell'Equilibrio energetico fra ogni stato locale e lo stato successivo che lo contiene — ai livelli superiori della complessità aggregativa degli stati che seguono, fino all'emergere della mente umana, possiamo individuare nell'etica "naturale" che ne governa i processi attuativi, il modello per la definizione di una nuova etica sociale universale che non consenta più l'allestimento di etiche contingenti che inevitabilmente si traducono in sopraffazioni giustificate "eticamente" dagli uni e subite dagli altri. In più, tutto questo coinciderebbe anche con la necessità di attribuire il massimo valore estetico all'etica, poiché, nessun prodotto derivante dal raggiungimento dell'equilibrio tra i suoi componenti può essere "brutto" e quindi, "ingiusto".
In questo nuovo quadro, se abbandoniamo definitivamente la miope pretesa antropocentrica di applicare le nostre categorie al mondo, e proviamo a partire dalle leggi che regolano i suoi processi attuativi per procedere verso l'uomo, e se, quando usiamo parole come, responsabilità, moralità, razionalità, coscienza, valori… cominciamo a chiederci a quali reali esigenze "attuative" individuali corrispondono, forse scopriremo che l'accettazione della naturale "competizione" costruttiva è la premessa indispensabile per smascherare l'insensatezza della "contrapposizione" che non può che sfociare nella "sopraffazione" distruttiva che ancora regola i nostri rapporti con l'ambiente e con tutti gli altri esseri viventi.
Un'ultima cosa però, ritengo indispensabile per delineare la nuova etica universale che auspico, ed è la necessità di superare il concetto della spiritualità, sia come dono fatto all'uomo da un qualche dio, che come già posseduta dall'intero universo. Questo perché le due visioni, negando la possibilità che sia il nostro stesso corpo a "costruire" la nostra spiritualità, ci impediscono quella visione olistico-sistemica della realtà che è la sola che, rendendoci partecipi della costruzione di quella universale, possa responsabilizzarci "eticamente" nei confronti dell'intero sistema.

 

— Per la spiritualità, in questo universo i lavori sono in corso, e noi possiamo dare una mano…

 

   Francesco Pelillo

 

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