La Riflessione Indice
Quale amore? Quale felicità?
di Domenico Pimpinella – luglio 2007
- Capitolo 4 - Ipotesi per una corretta individualità
Paragrafo 5 - Come far ritorno all’individualità ideale
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Detto ciò, il nostro compito dovrebbe ora consistere in un rimodellamento di questa individualità tanto strana che l’intelligenza razionale ha finito per costruire, riconducendola a quella individualità ideale, con quattro spicchi omogenei che abbiamo considerato all’inizio di questo capitolo.
Una struttura che, come spero si sia notato, ha raggiunto una tale astrusa complessità che non ci permette di renderci conto di quello che effettivamente siamo diventati.
Con l’apporto di due razionalizzazioni ad hoc, una falsa socialità e una religiosità volta verso una divinità che diventa garante di una continuità lineare, si è tentato di riempire un “vuoto conoscitivo”, che non solo è miseramente fallito ma ha complicato a tal punto le cose che ora è veramente difficile uscirne. In seguito ad un’interpretazione della razionalità perlomeno inadeguata, per non dire falsa, si è avviato un processo culturale che dura oramai da millenni e che probabilmente per essere ricondotto nel suo alveo naturale richiederà tempi altrettanto lunghi.
La speranza che tutto ritorni rapidamente a posto, come una molla compressa in un lungo periodo che in un attimo torna alla sua posizione di equilibrio, è che si crei un effetto domino. Il grado di intelligenza razionale raggiunto dall’uomo potrebbe, dopotutto, catalizzare fortemente il processo di riconversione se la nostra condizione errata dovesse apparirci, come spero, così chiara da spingerci immediatamente all’operatività.
Con questa viva speranza nel cuore, mettiamo ora uno vicino all’altro gli schemi dell’individualità ideale e di quella reale, consapevoli che quest’ultima potrebbe presentare minime variazioni da una cultura all’altra.
Con questa operazione siamo in grado di afferrare immediatamente la differenza, anche se, in effetti, non siamo in grado di apprezzarla fino in fondo perché, non abbiamo nessuna dimestichezza con quell’aspetto che abbiamo definito “socialità razionale” autentica, poiché non fa certo parte delle nostre consuetudini, del nostri costumi ritrovarci insieme a discutere, a dialogare, di come si può riuscire a costruire una società definibile come essere autopoietico di terzo ordine. La nostra esperienza finora si è limitata a discutere e a ragionare di come va tutelato l’essere autopoietico di grado inferiore, convinti come i cavalieri medievali, che la cosa migliore sia quella di chiuderli in una corazza inattaccabile.
Se ogni uomo riuscisse ad avere un’idea corretta, anche se abbozzata, di cosa dovrebbe essere la “socialità razionale” ideale, in maniera da cominciare a distinguerla con la socialità, pure razionale, che si incontra nella quotidianità, e, poi ancora, in cosa si dovrebbe distinguere dalla “socialità emotiva” che agisce nelle nostre profondità, credo che non ci sarebbero grossi problemi nel capire cosa dovrebbe essere fatto per ritornare alla situazione ideale. Ad una situazione che è la sola che possa consentirci di amare e realizzare, quindi, la felicità.
La situazione ideale richiede che ognuno cessi di essere un Io, limitato circoscritto, e diventi un Noi realizzato attraverso la sintesi Io-Tu o Io-Voi, in grado di “fonderci” con l’intero universo, in grado di farci diventare di nuovo immensità, come dice la poesia dell’introduzione.
Ovviamente, il primo passo da compiere è quello di spazzare viene tutte le sovrastrutture realizzate in malo modo della razionalità. Occorre eliminare sia la socialità ipocrita che le tante religioni che non ci consentono di realizzare la Socialità Razionale in maniera corretta.
Un ciarpame che però non è assolutamente facile gettare via!
Per riuscirci deve subentrare la convinzione generalizzata che nostro compito non è preservare l’individuo facendolo rimanere un elemento isolato, circoscritto, ma inserendolo in una nuova realizzazione unitaria di cui si senta partecipe. Riuscirci significa dover mettere d’accordo molte menti su dei punti comuni; significa che ognuno si concentri sulla possibilità di migliorare il dialogo; significa, innanzi tutto, che la “svolta” sia vissuta in modo piacevole e gioioso e non certo con timore e dolore. Una nuova piacevolezza che non dovrebbe però consistere in una cosa affatto diversa dalla vecchia piacevolezza, che era ottenuta potenziando l’aspetto soggettivo.
Il potenziamento dell’aspetto soggettivo dell’individuo pluricellulare potremmo assimilarlo al potenziamento da parte degli elementi che ci costituiscono (della cellula sostanzialmente) del loro aspetto sociale. La “nostra” soggettività è in effetti l’equivalente della grande socialità che ogni cellula del nostro corpo riesce a realizzare. Un aumento di soggettività, anche se sposta l’equilibrio verso l’egoismo, può recare, quindi, un piacere “pieno”, appagante, perché la conoscenza emotiva non prevedeva, all’inizio, la realizzazione di un aspetto sociale per l’individuo. Solo da un certo punto in poi, dopo che l’individuo sostanzialmente si è realizzato, che è cominciata ad accumularsi nuova conoscenza per centrare l’obiettivo di una comunione di individui nella società, che può essere raggiunta solo se gli viene dedicato un aspetto interno.
Se prima quindi la condizione poteva essere individuata con una sola coordinata, poiché poteva essere solo la soggettività a crescere, ora le coordinate necessarie sono diventate due, come quando si deve individuare la posizione di un punto sul piano.
Per questo è subentrato un nuovo strumento emotivo capace di tenere collegati i due aspetti interiori che ci occorrono, sensibile alle variazioni tanto della soggettività quando della socialità, capace di rispondere con un aumento o un calo della gioia. La gioia è diventata così un indicatore estremamente importante per misurare l’equilibrio all’interno dell’individualità, tra l’aspetto soggettivo e quello sociale. La realizzazione di un piacere a cui non corrisponde anche la realizzazione di una giocosità significa che è diminuito l’equilibrio interno e che, quindi, probabilmente era il suo aspetto complementare che andava ampliato.
L’uso combinato del perseguimento del piacere e della gioia possono dar luogo ad una tecnica valida per orientare le nostre azioni. La realizzazione di un aspetto sociale autentico dovuto alla razionalità può, quindi, disporre di questa tecnica per capire come ci conviene evolverci. Bisogna solo diventare estremamente consapevoli che qualunque realizzazione sociale non può essere perseguita da soli, con uno svolgimento unilaterale dell’azione, ma deve essere “combinata” tra due o più individui. L’unica difficoltà apparente è questa. E si traduce in una difficoltà reale solo per la mancanza di un efficace addestramento.
Visualizzando lo schema della nostra situazione reale si possono fare due ragionamenti: eliminare la socialità ipocrita e la religione facendo subentrare al loro posto di nuovo un vuoto conoscitivo razionale, che però sarebbe solo un’utopia poiché un tale vuoto non può reggere; oppure, eliminare la socialità ipocrita e la religione facendo avanzare lentamente una conoscenza razionale sociale in grado di apportare un effettivo cambiamento positivo e coprendo così in modo adeguato lo spazio a loro oggi dedicato.
“Coprire” con una socialità autentica, sia pure con l’utilizzo delle dovute precauzioni, la socialità ipocrita è senz’altro una possibilità alla nostra portata, perché abbiamo la possibilità di recepire i giovamenti che ne deriverebbero, valutando l’accrescimento del marcatore combinato piacere-gioia che andrebbe a sostituire la combinata piacere-tristezza, che oggi è quasi sempre presente nella realizzazione dei piaceri, quasi tutti destabilizzanti. Togliere di mezzo la religione, che poi significherebbe in pratica sbaragliare il campo dalla continuità lineare per sostituirla con quella ciclica, costituisce, allo stato attuale, un’impresa molto più difficile: quasi impossibile.
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