Il servo dell'arbitrio libero
di Riccardo Piazza - indice articoli
Ricordarsi di non essere è un bene
Dicembre 2022
Viviamo un’epoca di sostanziale scontro.
Scontro morale, scontro etico, scontro politico, economico, energetico. Le masse individuali pensano invero soltanto a loro stesse definendo, in maniera sequenziale, i loro bisogni primari.
Una guerra non definisce più soltanto gli interessi di una parte, piuttosto i fini di una parte sull’altra. La perdurante guerra in Ucraina confonde le responsabilità individuali che, seppur ben definite in una contrapposizione tra aggressore ed aggredito, con il lento incedere dei mesi, si diluiscono in una unica quanto odiosa amalgama di violenza.
Altro esempio: le cooperazioni internazionali e gli sforzi per la transizione ecologica non sembrano sortire, escludendo logiche apparenti di opportunità, soluzioni globali durature. Questi sono soltanto due esercizi di realtà macroscopici.
Tuttavia, anche guardando attraverso le pieghe del livello delle singolarità individuali tale incapacità di riflettere quale totalità omogenea e stratificata sembra essersi perduta. È, evidentemente, questa, l’era della spersonalizzazione digitale. Siamo stati talmente risucchiati in un Metaverso di proiezioni esterne al nostro mondo reale, che il qui e l’ora, allo stato dell’arte, appaiono oggi difficili da acciuffare, concetti astratti, addirittura astrali. Ricordate l’uomo-massa di José Ortega y Gasset? Questo non riconosce il proprio sé e, in assenza primitiva di responsabilità, non valuta o giudica le sue azioni. Nel bene o nel male, egli si uniforma al resto dell’amalgama sentendosi totalmente a suo agio.
Ciò che stiamo mettendo a repentaglio è sostanziale: la deriva ontologica verso cui la spersonalizzazione imperante potrebbe, seguendo questo filo rosso, condurci, è l’oblio, la dimenticanza di noi stessi. Per converso, è buon cimento ginnico e mentale, ricordarsi di non essere soltanto monadi implose e sforzarsi di volgere il nostro sentire verso l’esterno, addirittura, oserei, anche verso l’estremo, verso il limite di noi stessi. Parlare pensando duplice, agire sentendo molteplice, vivere sempre come se ci si guardasse dall’esterno. Non facile, sicuro, ma necessario. Una estrinsecazione esogena quindi. Seguendo i dettami dell’astrofisica, diremmo non più soltanto buchi neri assorbenti, ma altresì buchi bianchi.
Il nostro impegno per non finire come pesci nella rete espansa, per non cedere al paradosso della tempesta semiologica, dell’eccessiva mole di significati immessi in un gorgo in cui tutto diventa niente e viceversa, deve ricondurci al non essere di parmenidea memoria, con un piccolo aggiornamento del software. Non essere sé, ma imparare ad essere per altro.
Riccardo Piazza
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