Le Finestre dell'Anima
di Guido Brunetti indice articoli
L'importanza della ricerca animale nella comprensione del cervello umano.
Condividiamo con i primati importanti valori sociali e morali
Giugno 2015
Recenti esperimenti neuroscientifici mostrano che il cervello è dotato di meccanismi neuronali capaci di “controllare” il mondo intorno a noi, utilizzando ogni forma di conoscenza. Un fenomeno accertato per la prima volta negli animali e poi confermato nel cervello umano è che anche al buio, mentre riposiamo e non pensiamo a nulla, il cervello “produce” attività neuronale in continuo mutamento (Raichle). Questi sistemi del cervello consentono agli animali di “valutare” in maniera rapida le diverse circostanze in cui vengono a trovarsi ai fini della loro sopravvivenza. Restare o fuggire? Avvicinarmi oppure rinunciare?
Le neuroscienze contemporanee sono impegnate a comprendere la struttura e il funzionamento del cervello e della mente nonché i modi in cui le attività del cervello dei mammiferi “generano” sia l’ attività cognitiva che i sentimenti emotivi cui diamo il nome di “affetto”.
Le ricerche rilevano che gli affetti (sensazioni, emozioni, sentimenti, affettività) hanno un carattere primigenio, sono cioè espressione dell’evoluzione e delle strutture più antiche del cervello, e sono presenti in tutti gli animali. Questi antichi territori formano - precisa Panksepp - la nostra “mente ancestrale (la nostra mente affettiva), struttura che condividiamo “con molti altri animali”.
Invero, la ricerca sugli animali è stata “cruciale” per lo sviluppo delle neuroscienze. Soltanto attraverso lo studio dei cervelli animali è stato possibile avviare il tentativo di comprendere l’origine dei nostri sentimenti, delle nostre emozioni e dei complessi sistemi cognitivi ed affettivi del cervello umano. Senza modelli animali non sarebbe stata realizzabile alcuna seria comprensione neuroscientifica delle funzioni del nostro cervello.
Collegare la mente umana al cervello animale è stato possibile a seguito della scoperta che le funzioni cerebrali sono “più facilmente studiate negli animali”. I dati sperimentali dimostrano che i processi affettivi primari costruiti nel “CervelloMente” (senza trattino) degli animali “non sono così differenti da quelli che accompagnano le tendenze affettive del cervello umano”, pur ovviamente non raggiungendo gli stessi raffinati sentimenti cognitivo-affettivi degli esseri umani.
Il grande errore di Cartesio - afferma Damasio - è stato quello di ritenere che gli animali siano privi di coscienza e di esperienza soggettiva. C’è la credenza che essi non percepiscano le loro reazioni emotive. Sta di fatto che tutti i mammiferi per sopravvivere devono utilizzare comportamenti emotivi. Lo studio delle “menti animali” sono alla base della comprensione delle fondamenta antiche delle nostre menti e ci dicono “più di quello che ci ha detto qualsiasi altro approccio finora sia stato tentato” (Panksepp).
La ricerca sul cervello animale ci permette di andare “al cuore” dei processi affettivi, fatto che è “quasi impossibile - precisano i neuroscienziati - nella ricerca sugli esseri umani, persino con i metodi di brain imaging, più adatti a studiare le aree cognitive superiori”.
I neuroscienziati si sono concentrati sul cervello animale perché “le omologie neuro anatomiche e neurochimiche “sono - precisa Bernroider - “assolutamente impressionanti”.
La ricerca animale finora ha fornito dati sicuri sul fatto che tutti i mammiferi “sono creature intensamente affettive”.
La questione fondamentale è “come nasce la mente? Come nascono le emozioni nel cervello?”. Oggi, si comincia ad accettare il principio che i sentimenti umani (la coscienza, la mente) hanno basi biologiche (Barret). Tutti gli aspetti della coscienza - rileva Panksepp - emergono nel cervello degli animali e in quello degli esseri umani come espressione delle “interazioni” dei sistemi neuronali connessi sia alle funzioni cerebrali superiori (pensiero) sia a quelle inferiori (stati affettivi primitivi).
Alcuni neuroscienziati sostengono che i fenomeni soggettivi non possono essere “osservati in modo oggettivo”, per cui il comportamento degli animali e persino quello degli esseri umani non possono mai fornire solide prove.
Questi pregiudizi sono fuori luogo. Abbiamo infatti tutta una serie di esperimenti - afferma Tinbergen - che dimostrano l’esistenza di sentimenti emotivi, cioè di qualità soggettive della mente, negli altri animali. Ci sono “prove schiaccianti”- aggiunge Panksepp - che mostrano come “tutti i mammiferi hanno esperienze e reazioni affettive intense”.
Le scoperte tratte dalla ricerca animale hanno scandito la storia e i progressi della medicina, fatto che avrà notevoli ripercussioni per la comprensione della natura dei disturbi psichiatrici, basata finora su concezioni obsolete e sulle intuizioni, e della condizione umana. Nel secolo scorso, senza la ricerca animale sull’insulina, decine di milioni di bambini sarebbero morti prematuramente.
Non siamo dunque gli unici fra le creature ad essere dotati di coscienza. Vi sono “bolle di coscienza ovunque i nostri cugini animali si aggirino sulla Terra” (Panksepp). I dati indicano che i mammiferi reagiscono in maniera negativa ad attivazioni del cervello, come paura, collera, panico, sofferenza, e reagiscono in maniera positiva ad altre, come desiderio sessuale, ricerca, gioco e cura.
Il campo di ricerca comprende un ampio spettro di questioni:
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la comprensione del cervello e della mente non può essere raggiunta senza lo studio del cervello animale;
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gli affetti positivi e negativi sono straordinariamente “simili” in tutto il regno dei mammiferi (Brudzynski);
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gli stati soggettivi (la coscienza) non sono tipici degli esseri umani, ma appartengono a tutti i mammiferi e persino al topo, agli uccelli e ai pesci (Granon, Gahr);
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recenti ricerche hanno dimostrato “l’esistenza dell’autoriflessione animale”, la capacità (rudimentale) cioè di sapere di sapere (metacognizione) che è stata riscontrata nelle scimmie, nei delfini, nei ratti e nei piccioni;
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le prime prove sulla plasticità del cervello, sull’apprendimento e sulla memoria provengono dalle ricerche di Kandel sulla lumaca marina Aplysia;
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ci sono prove dell’esistenza negli animali di sentimenti, come altruismo (de Waal), simpatia (Darwin), empatia, cooperazione, comportamenti morali;
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alcuni neuroscienziati hanno sostenuto che la moralità è frutto dell’evoluzione e che si è sviluppata a partire dagli istinti sociali animali;
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noi condividiamo con gli scimpanzé il 98,8 per cento del nostro DNA.
Anche gli animali dunque hanno emozioni. Queste fanno parte dell’evoluzione ed hanno una natura biologica nella quale sono coinvolte le aree più antiche del cervello e alcuni sistemi neurali, come i “neuroni specchio”. L’empatia, ad esempio, ha una storia lunga 200 milioni di anni e nasce dalle cure della madre per i propri cuccioli.
Nel suo affascinante libro “L’età dell’empatia”, Frans de Waal, un famoso scienziato olandese, che dal 1991 lavora negli Stati Uniti, traccia un parallelo tra il comportamento degli animali e quello degli esseri umani, illustrando le sue teorie attraverso numerosi esempi e ingegnosi esperimenti scientifici tratti dal regno animale.
“Noi - scrive l’autorevole scienziato nella sua opera “Il bonobo e l’ateo” (Raffaello Cortina Editore) - riconosciamo nel comportamento dei primati gli stessi valori che perseguiamo noi stessi”. Tra i tanti episodi, citiamo il caso di femmine di scimpanzé trascinare maschi riluttanti l’uno verso l’altro “per indurli a riappacificarsi dopo uno scontro violento”. Un altro esempio riguarda i maschi di rango elevato che fungono da “arbitri imparziali” per comporre dispute nella comunità.
Una importante scoperta riguarda poi i piccoli delle scimmie, i quali rimangono “impuniti” per i primi quattro anni di vita. Le punizioni riguardano i giovani maschi che si avvicinano troppo a femmine sessualmente attraenti. In questi casi, rivela de Waal, interviene uno dei maschi che si scaglia con grande impeto contro l’ignaro Don Giovanni, che non si aspettava tanta violenza. Da questo momento, basterà un’occhiata o un passo avanti di un adulto per fare allontanare il piccolo dalla femmina. In questo modo, i maschi più giovani imparano a “controllare” i loro impulsi sessuali. I bambini umani - commenta de Waal - imparano le regole sociali nello stesso modo.
Il processo di apprendimento risulta dunque “molto simile” a quello che si riscontra in altri primati, e consiste nel fatto che da un “permissivismo totale” si passa a “una varietà di comportamenti accettabili”.
Queste meravigliose scoperte mostrano che gli elementi per la costruzione di comportamenti sociali e morali sono “anteriori all’umanità”. La legge morale quindi “non è imposta dall’alto” o derivata da principi, bensì “deriva” da valori radicati, che sono esistiti fin dall’inizio dei tempi.
Valori fondamentali nei primati concernono quelli della “sopravvivenza” della vita di gruppo, il desiderio di “appartenenza”, di andare d’accordo, di amare e di essere amati. Gli esempi di maschi di scimpanzé che soffocano una rissa per una femmina o di maschi di babbuino che si comportano come se non avessero notato una nocciolina indicano la capacità di questi animali di agire secondo regole sociali e morali.
Formiche ed api, per esempio, hanno doti di “meravigliosi cooperatori” e lo studio del loro comportamento ha dato notevole impulso alla comprensione dell’altruismo.
I mammiferi sono molto sensibili alla sofferenza di altri (empatia).
Noi “condividiamo” con altri primati “un passato come animali di gruppo. I valori del bonobo, per de Waal, non sono del tutto “diversi” da quelli dell’uomo. E la nostra morale è “riconoscibile” nel comportamento di altri animali.
Gli uomini – afferma - non sono solo i primati più aggressivi, ma anche quelli più empatici. Bisogna lavorare perché prevalga l’empatia, che è la capacità di comprendere le preoccupazioni altrui.
In conclusione, possiamo dire che i dati della ricerca confermano l’esistenza di una “nostra parentela” con le scimmie antropomorfe. Abbiamo desideri e necessità basilari che sono presenti nei nostri parenti più stretti. Come noi, le scimmie si sforzano di conquistare posizioni di potere, di procurarsi il piacere del sesso, di assicurarsi affetto e sicurezza, di uccidere, attribuendo grande valore al sentimento di fiducia, compassione e solidarietà.
Infine, un’ampia e prolungata serie di osservazioni ed esperimenti compiuti sul meraviglioso cucciolo di cane Kimi (foto), ottimamente accudito da mio figlio Valentino, mostra la sua capacità di manifestare emozioni e sentimenti, come ansia, paura, affetto, sofferenza, empatia, esultanza, gioia, gioco, ricerca. Sono stati soggettivi e quindi aspetti essenziali della coscienza.
Come Apollo, cane affettuosissimo vissuto con noi in famiglia molti anni fa, anche Kimi ha il pregio di non possedere alcune “virtù” umane, come malvagità, invidia e il crudele sentimento della schadenfreude, termine tedesco che significa “provare piacere per le sofferenze altrui”. L’individuo che assapora la schaenfreude – ha scritto Schopenhauer - è “diabolico”.
Al cervello degli animali, con particolare riferimento al cane e al cucciolo Kimi, ho dedicato molte pagine, che si possono leggere nei miei libri Le misteriose finestre dell’anima e Quel fascino ambiguo del cervello, sulla Rivista di psichiatria e sulle riviste (online) Neuroscienze.net e Riflessioni.it.
Guido Brunetti
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