Le Finestre dell'Anima
di Guido Brunetti indice articoli
Giornata mondiale del malato
“Un buon medico è la prima medicina”
di Anna Gabriele
Febbraio 2023
L'11 febbraio 2023 si celebra la “Giornata mondiale del Malato” istituita da papa Giovanni Paolo II il 13 maggio 1992 allo scopo di sensibilizzare la società e le istituzioni sanitarie all’attenzione verso i malati. Il malato, il medico e la medicina: sono temi complessi, delicati e difficili che affrontiamo con il professor Guido Brunetti, un autore che ha pubblicato saggi in materia.
Professor Brunetti, può darci una sua prima considerazione?
Abbiamo un concetto nobile del medico e della medicina, un ideale di uomo adatto a colui che la esercita, uno stile esistenziale improntato a una perenne idealità di saggezza, disponibilità e calore umano ed etico. Riteniamo che il destino del medico potrà realizzarsi riappropriandosi di questa triplice identità.
Qual è l’immagine che oggi propone la medicina?
A partire dalla seconda metà del Novecento, si è verificata una rivoluzione medico-scientifica con l’avvento di farmaci, vaccini, macchine diagnostiche, nuove bioimmagini corporee e nuova genetica. Questo spettacolare trionfo della medicina ha imposto un progressivo cambiamento di rotta del ruolo del medico. È stato un mutamento traumatico. Il medico ha iniziato, come già notò a suo tempo il maggior clinico italiano, Cesare Frugoni, a porre in secondo piano gli aspetti emotivi, relazionali con il paziente e fatalmente i contatti fra curanti e malati sono destinati a diminuire. Il crescente impiego di tecnologie conduce, secondo lo studioso americano, M.G. Field, alla ‘incapacità’ del medico di soddisfare i bisogni tradizionalmente attesi di conforto, sostegno, affetto, rassicurazione, affabilità, bonomia che il sofferente, lacerato da paure, ansia, angoscia e insicurezza, esige nel corso della malattia.
Formato da una pedagogia che privilegia la tecnica, il medico di fatto viene ‘esautorato’ nel suo ruolo ed è ridotto a ‘burocrate’ a ‘somatologo’, erodendo e impoverendo la qualità umana del rapporto di cura. È una barriera che cala tra medico e malato. Il malato diventa una ‘macchina’ e il medico un ‘meccanico’, il tecnico di un corpo scisso. In questo modo, la medicina moderna acquista in tecnologia quello che perde in umanità.
Con quali conseguenze?
Ha determinato una svolta antropologico-medica propria di una professione che gradualmente sembra rinunciare alla propria vocazione umanologica. Il rischio è quello di una progressiva de-professionalizzazione del medico e di una reificazione dell’altro. Nasce da qui, una ideologia scientifica (Canguilhem) basata sul tecnicismo e sullo specialismo, oscurando in tal modo l’ippocratica téchne iatrike o arte medica fondata su una visione dell’uomo e del mondo antropologica e cosmologica.
I farmaci, la tecnica - spiega Brunetti - sono necessari, ma non bastano. Sono un mezzo del quale il malato è il fine ultimo, o primo. Non c’è cura, cura del corpo e cura dell’anima, se non è realizzata da una profonda coscienza affettiva, umana e morale.
La figura del medico entra quindi in crisi?
Nel tempo, dunque, la meritoria figura del ‘mio dottore’, come si usava dire, è ‘entrata- ha scritto Giorgio Cosmacini, medico e autorevole storico della medicina- via via in dissolvenza, si è consumata, svuotata, lasciando soltanto un ricordo permeato di rimpianto’. L’illustre studioso ha formulato una diagnosi severa, ha parlato della ‘scomparsa del dottore’, di ‘estinzione’ dovuta al fatto che l’antico rapporto medico-malato è stato sostituito dall’ ideologia scientifica e dalla rivoluzione tecnologica e farmacoterapica che escludono la dimensione antropologica del malato e che hanno poco da spartire con l’originaria visione di Ippocrate e con la maieutica socratica.
Vuole dire che il rapporto medico-malato è fondamentale?
La persona del medico, le sue parole, i suoi silenzi, il suo sguardo, il suo volto, il tono della voce, il ritmo, il timbro, il volume, le espressioni facciali, la postura, la prossemica sono determinanti nel definire la dimensione curativa o anticurativa. Occorre scegliere - ha scritto un grande psichiatra, Borgna - le parole capaci di fare del bene e di essere portatrici di cura. Le parole possono ‘salvare’ o perdere’ una persona. Possono portare la speranza o soglie pietrificate che inaridiscono. Le parole ‘infelici’, difetti di comunicazione possono causare ferite invisibili che ‘sanguinano’ e che non si cicatrizzano più.
Un buon medico è la prima medicina, base di ogni terapia. Il tempo del dialogo diventa ‘tempo di cura’.
C’è la necessità di una medicina più umana…
La ripetuta esigenza di umanità e di umanizzazione della medicina contiene un ‘paradosso’: rendere umano ciò che per definizione e vocazione dovrebbe essere umano. E che invece si ammette essere scaduto a “disumano” qual è la cura stravolta in ‘incuria’.
In questa complessa e delicata congiuntura anche il medico può subire contraccolpi e andare incontro a insicurezza, frustrazione, scontrosità. Sintomi, che esprimono, in senso psicoanalitico, meccanismi di difesa volti a proteggere inconsciamente il proprio equilibrio psico-emotivo da conflitti o situazioni ansiogene.
Quali sono le difficoltà incontrate dal medico?
Oggi, il medico vive una difficile condizione di disagio e di malessere esistenziale. È sottoposto a un continuo stress soprattutto a causa di turni negli ospedali che ricerche scientifiche hanno definito ‘massacranti’. I quali si ripercuotono sia sulla sua salute fisica e mentale che sulla sua vita professionale, personale e familiare, generando non solo stress, ma anche disturbi del sonno e psicologici, stati d’ansia, inquietudine. Molti medici non ce la fanno più e preferiscono trasferirsi in strutture private o lavorare all’estero. È un ulteriore sintomo del peggioramento delle condizioni di lavoro, fatto che desta allarmare e che dovrebbe immediatamente essere risolto.
Anche la medicina vive una condizione di disagio?
La crisi della medicina, iniziata a partire dagli anni ’70 del secolo scorso, è indubitabile ed è nei fatti. Severo il giudizio di eminenti clinici sulla crisi della professione definita la ‘grande malata’, ‘sempre più lontana dall’uomo’ e attraversata da tre crisi, della formazione- largamente carente sia sul piano didattico che su quello della ricerca, della professione e della cultura medica. Secondo autorevoli studiosi, gli ambienti medici e ospedalieri sembrano parte di un mondo che non ha nulla di ‘familiare’, di ‘domestico’, di ‘riconoscibile’. Devono essere invece - precisano - luoghi di ‘umanità’ e ‘umanizzazione’, governati da calore umano, rispetto, disponibilità, gentilezza, educazione, e lontani da forme di arroganza, insofferenza, sgarbatezza o nervosismo.
Gli errori di politica sanitaria compiuti in questi anni sono poi la causa di un fenomeno che se non risolto rischia di ‘paralizzare’ il sistema sanitario: la mancanza di specialisti e la diffusione dei medici a gettone. Una situazione che ha superato la ‘soglia d’allarme’. Sembra incredibile, ma la legge di Bilancio non prevede investimenti. La grande politica italiana ha preferito più discutere dell’abbattimento dei cinghiali che interessarsi alla salute, un bene inviolabile ed universale, ai medici sfiancati dai turni sfibranti e dalla pandemia, e a realizzare una visione strategica alta della politica sanitaria.
Importante a questo punto è l’idea di etica medica. Può definirla?
L’etica medica si basa su un principio fondamentale, il malato è titolare di una indiscutibile dignità umana, una dignità ontologica dell’uomo come tale. Egli ha diritto pertanto a un ‘rispetto assoluto e incondizionato’. Il prendersi cura configura un ethos medico che produce valori e comportamenti morali. La presa in carico del dolore dell’altro è un atto fondamentalmente etico capace di realizzare quel processo di umanizzazione sostenuto non soltanto da studiosi e gente comune, ma anche dagli stessi medici.
Professor Brunetti, quale terapia propone?
La dimensione morale dell’educazione medica esige l’acquisizione di un insieme di qualità e valori al centro dei quali ci sono i bisogni del malato, cioè della persona umana.
Il rapporto medico-malato deve essere fondato su una relazione empatica. Infatti, come dimostrano ricerche di neuroscienze, l’empatia e i neuroni specchio attivano le medesime aree del cervello sia in chi ‘patisce’ (il malato) sia in chi ‘compatisce’ (il medico). Per uscire dalla crisi e superare quella che è stata definita da docenti universitari di medicina la ‘disumanizzazione’ della medicina c’è bisogno di una svolta antropologica e culturale: scienza, tecnica, ma anche ‘saper essere’.
Un nuovo umanesimo capace di esprimere quei valori già manifestati duemila anni fa da Galeno, medico e filosofo greco, una medicina caratterizzata da un triplice modello di medico: medicus amicus, medicus gratiosus e medicus philosophus.
La medicina per noi è basicamente una scienza dell’uomo, dell’esistenza umana.
Anna Gabriele
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