Le Finestre dell'Anima
di Guido Brunetti indice articoli
Emergenza educativa come emergenza umana
Maggio 2018
L’impressionante sequenza di insegnanti intimiditi, maltrattati e aggrediti da “branchi” di studenti che si filmano e si rilanciano sui social mette in evidenza non solo la loro incapacità di usare strumenti di critica e di giudizio, ovvero distinguere il bene dal male, il giusto dall’ingiusto, adottando modelli congruenti di comportamento. Ma anche la presenza in Italia di una forte emergenza educativa che non ha precedenti, la quale dovrebbe finalmente chiamare tutti al senso di responsabilità attraverso azioni concertate, al fine di assicurare un clima di serenità e di funzionalità pedagogica, sociale e morale nelle aule scolastiche.
Si tratta di una situazione che rispecchia ciò che avviene in famiglia e nella società, dove si è verificato un progressivo passaggio da un sistema fondato sul rispetto, l’educazione e l’autorevolezza a un’idea di libertà che è licenza, arbitrio, abuso, dissolutezza. È una china votata alla caduta e alla rovina.
L’educazione riflette le dinamiche culturali, sociali, politiche e morali della società e della stessa civiltà. Dovunque, vige il primato del laissez faire edel permissivismo, forme di tolleranza verso comportamenti arroganti, diseducativi, moralmente censurabili e socialmente condannabili, comportamenti da sempre ritenuti riprovevoli. Se in famiglia e nella società non viene ricostituito un principio di libertà che non sia licenza e di autorità che non sia imperio, la scuola è destinata a vivere in un lento e irreversibile processo di regressione. Non si permette ai fanciulli di “essere liberi” - scrive Platone - finché “non abbiamo organizzato dentro di essi una costituzione e coltivando la loro parte migliore abbiamo insediato” nella loro personalità “un custode e governatore. Allora soltanto possiamo lasciarli liberi”.
In verità si fa fatica a parlare di questi problemi e delle condizioni esistenziali attuali. Viviamo - afferma Andrea Zanzotto - una condizione che “coincide con la psicosi”. Un tempo si parlava di eternità e di preminenza umana. Oggi, c’è “un’emergenza umana”, un fenomeno che ha poi creato via via una grave emergenza educativa.
Il nostro Paese è malato di inquinamento. È una metafora di ciò che non si sta facendo per contrastare lo smog umano, sociale e etico. Arroganza, volgarità, maleducazione, ignoranza sono i nuovi valori, le nuove categorie. I segni antropologici di un Io ipertrofico, patologicamente infantile, disadattato. Al quale tutto è permesso. L’educazione in famiglia, a scuola e nella società? Grigia come lo smog.
Si sono interrotti tutti i canali di trasmissione dei valori, gli adulti sono incapaci di essere punti di riferimento per i ragazzi. Famiglia, scuola, associazioni, enti sono incapaci di comprendere pienamente quale sia veramente il compito loro affidato. Una condizione caratterizzata da anomia, assenza di principi, norme o regole condivise.
Alla base di tutto c’è da considerare il seguente principio: “Per educare, bisogna educarsi”. Non si tratta di una situazione imprevista di crisi o di pericolo. È un fenomeno di lungo periodo, connesso con le tendenze di fondo della civiltà in cui viviamo. Emergenza è dunque un termine che indica la gravità el’acutezza di una crisi. La quale richiede risposte non più rinviabili e capaci di andare alle radici profonde della questione.
La nostra civiltà mostra sempre più evidenti sintomi di decadenza e malattia che sono generatrici di “barbarie”. La perdita di valori umanistici, come concordano altri autori, non è solo intellettuale, ma implica gravi conseguenze morali, educative, politiche ed economiche. Stiamo passando dall’idea di una cultura tesa alla formazione armoniosa e completa dell’uomo, la dignitas hominis, fondata sulle cose che danno “vita alla vita, amore, solidarietà, altruismo, empatia, amicizia, verità, a una società attraversata da contraddizioni e conflitti che spaziano tra spirito e natura, ragione ed inconscio, vita e morale, arte e sentimento, civiltà e barbarie. Una situazione che sta lacerando l’intera cultura umanistica.
L’eclissi dei valori, con la crisi educativa, è soprattutto crisi morale, in cui non si sa più cosa sia la grandezza umana e si vive in una cultura kitsch. Si è dissolto tutto un mondo, un mondo protettivo, organico, solidale. C’è una mutazione antropologica. Una dismissione dell’etica. Una desertificazione culturale e spirituale. Il sonno della coscienza. Al suo posto, oggi abbiamo una società “narcisista” (Lasch), “liquida” (Bauman), “dionisiaca” (Maffesoli), in continuo degrado. Una società frantumata, schizofrenica, dove vige un sapere che ha la logica della falsificazione e dell’anarchismo epistemologico (Popper, Feyerabend).
E’ una incertezza culturale e pedagogica che porta a dubitare del valore della persona umana, del significato stesso della verità, del bene e del male. In ultima istanza, a dubitare della bontà della vita. La mutazione antropologica, uno stile di vita definito “adultistico”, una sessualità precoce, la vasta funzione assunta dal gruppo dei coetanei, la disordinata moltiplicazione delle esperienze sono tutti segni che portano a ritenere che lo sviluppo del bambino e dell’adolescente possa assumere direzioni incontrollate, irrazionali e preoccupanti. Come i fatti stanno dimostrando. Che confermano una pervasiva mentalità individualistica e forme di relativismo etico e di nichilismo. L’individuo riceve una molteplicità di messaggi contraddittori ed è incapace di elaborare una visione unitaria della vita e dell’educazione, una paideia significativa, moltiplicando così proposte differenti ed illogiche. Le quali inducono gli adulti e gli stessi adolescenti a cadere entro la cultura del disorientamento, dell’indifferenza e del laissez faire, cosa che genera un profondo stato di ansia e di angoscia.
In questa condizione di insicurezza esistenziale può accadere che a 15 anni, l’adolescente si ribelli e scelga di andarsene; che il docente sia maltrattato dai suoi alunni, sempre più aggressivi e arroganti; che la coppia svanisca; che i genitori siano in crisi, demotivati e stressati.
Non si tratta allora di contrapporre alla trasformazione che ci invade con ritmo incredibile un “umanesimo vecchio stampo”, ma di elaborare un percorso fondato sulla centralità dell’individuo e sui valori universali. Un processo che esalti lo spirito, una parola scomparsa dalla scienza, dalla famiglia e dalla scuola, ma che è capacità di dare senso all’essere umano e all’intera realtà, stabilendo sicure “frontiere morali”.
Senza l’umanesimo, pure l’Europa, per Thomas Mann, è votata a morire e la nostra società a dissolversi in guerre tribali. Parliamo di quell’umanesimo che non è una torre d’avorio per intellettuali che leggono Platone, bensì il riconoscimento di principi che dicono ciò che dovremmo essere, che insegnano ad acquistare dignità e a respingere ignoranza, fantasmi e oscurantismo.
Che la società dell’Occidente lasci perdere l’umanesimo, privandosi così del futuro, per Riemen, è un “crimine”. Se non si crede più a valori universali che trascendono il tempo, anziché un popolo libero si ha una massa che teme la libertà. Al posto dei valori, subentrano comportamenti irrazionali, aggressivi e risentimenti.
Per questa via, vengono messe in discussione la “nobiltà dello spirito” che, per Mann, è amore per ciò che dà vita alla vita; la concezione classica di essere razionale corroborata dall’idea cristiana dell’uomo come immagine di Dio; la dimensione ontologica dell’essere umano rispetto a tutto il resto della natura; il principio di autorità per cui i desideri tendono a diventare diritti e che non esistono norme o regole certe e valide per tutti in ogni luogo e sempre.
Il richiamo poi al consumismo e all’edonismo con una scuola sempre più lassista e permissiva seducono l’adolescente, riducendone l’autonomia di giudizio e di critica, nonché la capacità di distinguere il bene dal male, il giusto dall’ingiusto. Il risultato sono una grande solitudine, un vuoto esistenziale, una forte incomunicabilità e un grave disagio mentale. I ragazzi crescono quindi insicuri, ansiosi e privi di autonomia. Hanno molte conoscenze, ma sono più immaturi degli adolescenti di ieri.
Così crescono sempre più adulti frustrati, insoddisfatti ed egoisti, ed emotivamente fragili, lontani dai veri bisogni dei figli. I quali giorno per giorno finiscono con l’assorbire la pedagogia dell’orrore attraverso l’uso compulsivo di internet, televisione, droga, violenza, aggressività, arroganza. Un deserto di insensatezza.
Con quale risultato? Una ricerca condotta su un campione di albergatori europei mostra un giudizio severo sui ragazzi italiani, definiti più “cafoni” dei loro coetanei di altri Paesi. Essi vengono chiamati “incivili, molesti, irrispettosi, volgari, indisciplinati, odiosi, arroganti”. I ragazzi più educati sono svedesi, danesi e svizzeri. Quando gli adulti - genitori e insegnanti - non sono in grado di offrire forme di stabilità emotiva, sistemi di identità e di senso crescono disturbi psichiatrici, disagio, malessere e insicurezza.
L’esito prodotto da questa condizione è l’immagine di una “adolescenza interminabile”. I genitori possono allevare soltanto eterni adolescenti perché essi per primi “non sono adulti”. È abdicare alla propria funzione genitoriale ed educativa, abbandonando il ragazzo a un “grande padre collettivo”: il gruppo, il leader, il branco; o a una “grande madre”, come la televisione, i social, ecc.
Anche la scuola è condizionata dal mito della “neutralità educativa” a causa di certa pessima cultura pedagogica. Deve solo insegnare, cioè informare, un sapere senz’anima e senza coscienza. È l’esaltazione delle illusioni, dell’ideologia dei luoghi comuni e delle “subdole mistificazioni”.
Tutto ciò mostra come le teorie pedagogiche ed educative siano caratterizzate da una molteplice, frammentata, astratta e disorganica congerie di idee. Non esiste alcuna teoria ampiamente riconosciuta di pedagogia, così come non esiste alcun concetto di educazione. Questo è il motivo principale della crescente fragilità scientifica della pedagogia e dei sistemi educativi, che presentano incertezze epistemologiche, formule astratte, idee vacue, inconsistenti e senza alcuna base scientifica.
Pur nella proliferazione di tanti soggetti che si atteggiano a “maestri”, essi vivono una stagione di “orfanità”, soffrono la mancanza di padri e madri sicuri e autorevoli.
Riteniamo tuttavia che né la riduzione dell’uomo alla natura né un totale relativismo o una prospettiva nichilista possano affermarsi pienamente e diventare egemoni finché la centralità della persona umana è viva e riesce a generare cultura.
In questa concezione, l’emergenza educativa riguarda non soltanto contenuti e metodi, ma il senso autentico di “fare educazione”. Un processo intellettivo, emotivo, sociale e morale globale e unitario, sorretto da un principio antropologico: abbiamo bisogno di educazione non tanto per essere buoni cittadini, ma semplicemente per essere uomini.
La nostra diagnosi mostra dunque un complesso, delicato e aggrovigliato insieme di sintomi, come l’ideologia del permissivismo; l’irrilevanza e l’annullamento della figura e del ruolo del docente, il quale ha perduto l’autorità, il senso di sé e della sua missione; il suo disconoscimento da parte della società e delle famiglie; il dilagare del bullismo dentro e fuori le aule; il crescente sentimento di ostilità tra scuola e famiglia, le quali invece sono alla base del processo educativo, sociale, mentale e morale del bambino; la inadeguata azione delle istituzioni e della politica.
Non prendere coscienza di questa drammatica realtà significa perpetuare all’infinito una condizione destinata ad incancrenirsi.
Guido Brunetti
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