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Le finestre dell'anima di Guido Brunetti

Le Finestre dell'Anima

di Guido Brunetti   indice articoli

 

Alla conquista della felicità nel cervello

Febbraio 2015

 

Negli ultimi anni, le neuroscienze hanno accumulato una grande quantità di conoscenze, empiricamente fondate, sul cervello ed hanno svelato meccanismi sconosciuti, i quali ci aiutano a comprendere i meandri della nostra mente, a spiegare il comportamento umano e a migliorare la nostra vita.

Gli studi mostrano tra l’ altro che il cervello è un organo prodigioso, che agisce in base a schemi adattativi complessi e che predilige una condizione di equilibrio stabile, di chiarezza e di coerenza. Il comportamento umano - ci ricorda Di Salvo -, è imprevedibile e fatto di mille sfumature.

Una delle idee fondamentali emerse dalla ricerca neuro scientifica è che il nostro cervello segue più “automatismi” di quanto crediamo ed è influenzato da “centinaia di preconcetti irrazionali”. Il risultato di numerose ricerche portano alla stessa conclusione, ovvero che la mente umana risente in modo negativo dell’ azione di questi preconcetti. La sua capacità è quella di prevedere i rischi, e difendersi dai preconcetti, dall’ imprevedibilità e dall’ instabilità. Tutti fattori che sono vissuti dal cervello come minaccia alla sua sopravvivenza. Ha la tendenza all’ omeostasi, cioè a mantenere un equilibrio interno, stabile e costante (Cannon): insomma uno stato di sedazione neuromotoria e di tranquillità interiore, come già teorizzava Seneca, il più grande filosofo latino, secondo una concezione psicoanalitica ante litteram.  Il cervello ha poi come dote innata, per molti neuro scienziati, la capacità di comprendere il mondo. Un mondo che noi riteniamo “abitato da forze ed essenze invisibili, che trascendono la dimensione terrena e si situano nel soprannaturale. Di qui, la disposizione dell’ essere umano a distinguere le credenze secondo il loro valore: credere in Dio, ad esempio, diventa per molti “più importante che credere a 2 più 2 eguale a 4”.

C’è poi nel cervello un “centro della ricompensa”, che ha la funzione di “rinforzare” i comportamenti più vantaggiosi per l’ individuo. Il neurotrasmettitore della ricompensa è la dopamina, una sostanza importante, ma anche un potente nemico di gratificazioni inappropriate, che danno luogo a comportamenti compulsivi e a forme di dipendenza patologica, come ad esempio nel caso delle droghe, del sesso, della rete o del gioco.

Viviamo in un mondo dove le situazioni di tipo ossessivo-compulsivo sono sempre più numerose. Nei prossimi anni, il fenomeno è destinato a intensificarsi. L’ ansia, la solitudine interiore, che prescinde dalle persone che abbiamo intorno, l’ isolamento sociale, i videogiochi, sono tra i principali fattori che alimentano l’ uso compulsivo del web (Caplan), i cui protagonisti fanno da “surrogati” nell’ appagamento dei bisogni psicologici e nelle situazioni cariche di frustrazioni.

 

In realtà, sono ancora limitate le nostre conoscenze sul cervello e la mente. Negli ultimi decenni tuttavia importanti scoperte ci hanno fornito nozioni fondamentali. Le nostre attuali conoscenze sul cervello mostrano che il dualismo corpo-mente è una dottrina ormai superata. Siamo lontani dal “dualismo anima-corpo”, dal concetto cioè che il cervello (entità materiale) e la mente (entità immateriale) siano due sostanze separate, secondo l’ impostazione di Cartesio.

Per i neuro scienziati, è il cervello a “produrre” quella cosa cui abbiamo dato il nome di “mente”. La mente è qualcosa che il cervello “fa”. Il cervello “è” la nostra anima, la nostra mente. Una conclusione che mette in profonda crisi le nostre millenarie concezioni filosofiche e teologiche, a partire dal pensiero di Platone, il padre della filosofia occidentale e “l’inventore” dell’ anima, indipendente dal corpo, e dunque immortale. La mente dunque “non è altro che il cervello” (S. Le Vay), “ridotta” perciò a un processo biologico, non più sostanza immateriale, ma sostanza materiale.

E’ possibile che l’ essere umano, creatura che si ritiene eccezionale e di natura superiore, debba restare “attaccato” a una cosa materiale? E’ questa la sfida che ci viene affidata dalle nuove neuroscienze.

 

Il cervello acquisisce una condizione di felicità se riesce a vivere in uno stato di certezza e di stabilità emotiva. Ciò fa emergere la sua tendenza  a cercare prove che confermino le proprie idee e a ignorare quelle che le contraddicano. E’ una disposizione battezzata dai neuro scienziati “bias di conferma”, una caratteristica quanto lo sono “il sonno, il sesso o le grigliate all’ aperto”. Cercare prove o giustificazioni nel  convalidare la nostra posizione e contrastare quelle che la confutano è un meccanismo cerebrale chiamato “chiusura cognitiva”.

 

Ma perché impegnarsi tanto per dimostrare l’ autenticità di una cosa che invece si è dimostrata essere falsa? Cercare anche in maniera compulsivo- ossessiva di aver ragione pur di fronte ad evidenti falsità è una condizione emotiva che produce nel cervello una scarica neurochimica di gratificazione. Avere l’ ultima parola anche in questioni banali o meschine è una cosa che al nostro cervello “piace tanto”. Perché ogni comportamento di “chiusura”, di “resistenza mentale” rappresenta una “ricompensa” una soddisfazione, un premio psicologico. Una scossa di certezza: “contrasto, nego, rifiuto: dunque sono, esisto”.

A guidare il nostro cervello in sostanza sono gli “schemi prestabiliti”. Ogni nuova situazione mette in discussione uno schema mentale consolidato. Il cervello reagisce come se si trattasse di una minaccia, attivando l’ amigdala, una struttura sensibile ai pericoli e alle nostre reazioni di ansia o paura. Lo ribadiamo, il cervello ha la tendenza all’ omeostasi, ha un bisogno disperato di stabilità, di certezza: ogni nuova informazione costituisce una minaccia, un pericolo.

Il libro: David Di Salvo, Cosa rende felice il tuo cervello, Bollati Boringhieri Editore, Torino 2013.

     Guido Brunetti

 

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