Le Finestre dell'Anima
di Guido Brunetti indice articoli
Concetto ed evoluzione delle neuroscienze
Luglio 2019
Il cervello, la mente e la coscienza da sempre hanno stimolato l’interesse di filosofi e scienziati. Per secoli, abbiamo creduto che il cervello umano fosse un’entità statica e invariabile. Sono state le nuove neuroscienze a scoprire invece che il cervello è in perenne cambiamento. Si modella e rimodella continuamente, in virtù delle esperienze personali e dell’ambiente socio-familiare e culturale. Oggi, il cervello è ritenuto la struttura più complessa e straordinaria dell’universo conosciuto.
Le neuroscienze s’impongono negli anni Settanta del secolo scorso, registrando un progresso spettacolare attraverso l’acquisizione di sempre nuove conoscenze e di numerose scoperte sul cervello, la mente e la coscienza. Tre parole che nascondono ancora abissi di ignoranza e tanti misteri. Rimane, ad esempio, un grande mistero di come un pensiero emerga dall’inconscio e diventa cosciente.
Le nuove conoscenze riguardano i principi fondamentali della nuova disciplina, le relazioni tra mente e cervello, i metodi e le tecniche per lo studio delle funzioni neurali, in che modo le funzioni cerebrali influenzano il comportamento e come il cervello dia origine alla mente. Comprendere i meccanismi del cervello e le sue prodigiose proprietà significa spiegare l’enorme enigma dell’attività mentale, permettere agli esseri umani di percepire il mondo intorno a sé, di ricordare e di agire. Problemi complessi, delicati e difficili.
In realtà, l’avvento delle neuroscienze ha segnato una feconda svolta nel nostro modo di concepire il cervello e la mente. È in atto infatti una rivoluzione scientifica destinata a sconvolgere non soltanto i metodi di diagnosi e cura in medicina e psichiatria, ma la nostra stessa visione del mondo e le nostre concezioni millenarie a partire dai sistemi filosofici.
Come nasce il termine “neuroscienze cognitive”? Lo abbiamo scoperto, leggendo l’interessante, preciso e chiaro volume scritto da Michael S. Gazzaniga, Richard B. Ivry, George R. Mangun “Neuroscienze cognitive” (Zanichelli, pagine 685, euro 72,50). La locuzione viene coniata “sul sedile posteriore di un taxi di New York” verso la fine degli anni ’70 del Novecento, quando Gazzaniga si stava recando insieme con George Miller alla cena sociale di un simposio organizzato con altri scienziati per capire come dal funzionamento del cervello “potesse derivare la mente”.
Fino alla nascita delle neuroscienze, il campo di studio della mente, della natura della conoscenza e sul modo in cui l’uomo perviene a conoscere le cose era stato appannaggio della filosofia, soprattutto attraverso l’empirismo e il razionalismo. Per il razionalismo, la conoscenza ha una proprietà razionale, non sensoriale, mentre per l’empirismo, ogni conoscenza nasce dall’esperienza sensoriale. Il cervello dunque è una tabula rasa.
La questione fondamentale in sostanza riguarda lo studio del comportamento e delle capacità cognitive.
Nella prima metà del Novecento impera il comportamentismo (o behaviorismo), il quale propone l’esclusione di ogni riferimento alla mente, ritenuta una “scatola nera” nella quale non vale la pena di mettere il naso. Ciò che occorre è analizzare il comportamento manifesto e osservabile, ovvero lo stimolo che ha dato luogo a un’azione e quindi la risposta corrispondente (S-R).
Il tramonto del comportamentismo giunge alla fine degli anni ’50, quando si afferma da parte di molti autori l’idea che le basi teoriche di questa teoria è sbagliata poiché la ricerca non può occuparsi solo del comportamento. Secondo questi autori, la mente esiste, e il primo obiettivo della scienza è quello di sviscerare l’insieme dei suoi elementi. Negli anni ’80, i neuroscienziati cominciano a collaborare attivamente a questa impresa, dando origine a quella corrente di pensiero e di ricerca che è stata chiamata cognitivismo. Che apre una nuova fase nella ricerca sul cervello e la mente. Di qui, la nascita delle neuroscienze cognitive con lo scopo per l’appunto di studiare e riflettere sulla realtà e sulle funzioni della mente, considerata come entità da esaminare in maniera autonoma.
È una linea di pensiero che ha ormai attraversato diversi campi, come la linguistica, la psicoterapia, la filosofia, la psicologia, l’antropologia, la biochimica, l’anatomia, la farmacologia. L’invenzione dei meravigliosi metodi di brain imaging hanno fornito ai neuroscienziati straordinari mezzi per identificare le aree cerebrali coinvolte nello svolgimento di compiti cognitivi, analizzare le relazioni tra attività mentali e funzioni cerebrali e in che modo il cervello dia origine all’attività mentale.
L’ipotesi sostenuta dai neuroscienziati è che gli eventi mentali sono “identici” agli eventi neurali, nel senso che ad ogni possibile stato mentale corrisponde un possibile stato neurale. In base a questo presupposto, ogni spiegazione di natura mentale è “ridotta” in termini di proprietà biologiche di certe regioni del cervello. Il problema fondamentale è allora quello di comprendere il rapporto esistente fra nervoso e mentale, fra neurostati e psicostati, essendoci un’influenza del nervoso sul mentale e del mentale sul nervoso. Ricerche condotte mediante metodiche di neuroimaging hanno mostrato, tra l’altro, che un singolo neurone è capace di compiere un’operazione molto astratta e complessa. Il termine neurone viene coniato da W. Waldeyer-Artz nel 1891 per indicare le cellule presenti nel sistema nervoso.
A nostro parere, la vera rivoluzione che ha consentito l’affermazione delle neuroscienze è in gran parte legata all’avvento di tecniche di brain imaging (PET, fMRI, ecc.), le quali consentono di visualizzare in vivo l’attività del cervello durante l’esecuzione di compiti cognitivi, sensoriali e motori. Numerosi esperimenti in proposito hanno indagato le relazioni esistenti tra lobo frontale e funzioni superiori, come ragionamento, presa di decisioni, pianificazione e soluzioni di problemi, comportamento morale e così via.
Da quando esiste il cervello umano? Anche se la Terra si è formata circa 4,5 miliardi, il cervello umano, per Gazzaniga, Ivry e Mangun, esiste soltanto da circa 100.000 anni, mentre il cervello dei primati è apparso tra 34 e 23 milioni di anni fa. Secondo la teoria dell’evoluzione, la discendenza umana si è “distaccata” da quella dell’ultimo progenitore comune con lo scimpanzé all’incirca tra 5-7 milioni di anni fa, portando poi nel percorso evolutivo allo sviluppo delle prodigiose proprietà del cervello umano.
Oggi, schiere di ricercatori e scienziati in varie parti del mondo lavorano al progresso delle neuroscienze. Nelle fasi iniziali di questa grande avventura umana hanno fornito notevoli contributi, tra gli altri, Paul Broca con la scoperta di una regione del cervello denominata “area di Broca”, Karl Wernicke, Camillo Golgi, Santiaco Ramòn y Cajal, considerato il padre delle moderne neuroscienze, il primo a scoprire la natura unitaria dei neuroni, stabilendo che il sistema nervoso è costituito da singole cellule, Sir Charles Sherrington, che coniò il termine “sinapsi” per descrivere la giunzione di due neuroni.
Concludiamo, dicendo che la ricerca sul cervello, la mente e l’anima (termine ormai scomparso in letteratura scientifica) suscitano sempre in noi un senso di meraviglia, soggezione e sgomento. Molti neuroscienziati considerano il cervello un “abisso insondabile”, il grande profundum di sant’Agostino, un “mistero grande, per Popper, quanto l’origine della vita stessa. Il problema mente-cervello contiene “grandi enigmi che forse non saranno mai risolvibili”. Altri scienziati invece sostengono che un domani si possa arrivare a comprendere la genesi della mente e della coscienza. Sta di fatto che i più autorevoli neuroscienziati, da Wilder Penfield ai premi Nobel Eccles e Sperry, che dopo aver dedicato le loro vite allo studio del cervello si sono “inchinati”, come concorda Raffaello Vizioli, di fronte al mistero della mente, di come cioè una struttura materiale possa produrre un’attività immateriale. Sono queste le grandi sfide che attendono le neuroscienze.
Guido Brunetti
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