Le Finestre dell'Anima
di Guido Brunetti indice articoli
Alla scoperta dei segreti del cervello e della mente
Marzo 2022
L'avvento delle nuove neuroscienze ha prodotto in questi ultimi anni una vasta messe di dati e conoscenze sulla struttura e sul funzionamento del cervello e della mente. Studiare il cervello significa approfondire come pensiamo, come ricordiamo, come riusciamo a usare il linguaggio.
Osservazioni cliniche e lo sviluppo della ricerca neuro scientifica hanno fornito una considerevole raccolta di conoscenze che stanno a sottolineare il fondamentale ruolo che il cervello riveste nel nostro essere. Le ricerche ci hanno consentito non solo di esaminare la struttura del cervello, ma anche il cervello in funzione. Disponiamo di molti dati poi sui sistemi neurali coinvolti nello svolgimento delle funzioni cognitive. Siamo, dicono i neuro scienziati, il nostro cervello. Oggi, è possibile trapiantare il cuore, il fegato, il polmone. Sappiamo che il cervello ha una natura plastica.
Siamo pervenuti agli splendidi risultati odierni anche in virtù dei metodi di brain imaging. L’evoluzione del cervello è legata a numerosi fattori, come la percezione, il linguaggio, le emozioni, la memoria. Le informazioni entrano nel cervello attraverso i sistemi sensoriali, i quali possono subire alterazioni attraverso malattie, traumi, interventi chirurgici. L’osservazione e la cura di questi malati neurologici insieme con i risultati delle scienze hanno portato a una maggiore comprensione del funzionamento del cervello, come dimostra l’interessante libro di Paolo Nichelli che s’intitola “Il cervello e la mente” (il Mulino, 2020). Attraverso l’analisi di molti casi clinici, l’autore ci accompagna nel mondo ancora misterioso delle neuroscienze per farci scoprire i segreti del cervello e della mente.
La maggior parte del nostro cervello è in relazione alla percezione visiva, ossia all’analisi delle informazioni che provengono dagli occhi. È nel cervello, nel susseguirsi delle immagini che noi possiamo comprendere “la straordinaria rapidità e accuratezza” con cui conosciamo gli oggetti. Tutti i dati dell’osservazione clinica e della ricerca ci dicono che c’è un predominio delle informazioni visive su quelle che ci provengono dagli altri sensi, come ad esempio l’udito e il tatto.
Molti anni fa, si riteneva che un’area del cervello percepiva il mondo esterno e un’altra area regolava le azioni. La scoperta avvenuta negli anni Novanta dei “neuroni specchio” ha modificato questa ipotesi. I neuroni specchio sono un gruppo di cellule che si attivano sia quando un soggetto compie un’azione che quando vede che la stessa azione la compie un altro. La loro presenza è stata provata nelle scimmie. Ulteriori studi effettuati con le tecniche di brain imaging hanno dimostrato che la stessa operazione avviene anche nell’uomo. È stato notato che quando si osserva soffrire una persona cara, si “attivano” zone del cervello coinvolte nel dolore provato personalmente (Singer). Altri esperimenti hanno mostrato che le stesse aree cerebrali si attivano in presenza sia di “stimoli disgustosi” sia di “un volto che esprime disgusto”.
In realtà, capire le intenzioni degli altri è ciò che rende la nostra specie - precisa Nichelli - “più sociale” di tutte le altre. La capacità di comprendere le intenzioni e di attribuire stati mentali agli altri è stata definita “teoria della mente” (Premarck, Woodruff). Si ammette che la persona “si costruisce” una concezione di come funzionano i processi mentali in relazione ad eventi esterni e a stati psicologici. Noi comprendiamo il comportamento degli altri, secondo la “teoria della simulazione”, perché “sperimentiamo” il loro stesso stato mentale, attraverso i “neuroni specchio”. È attraverso questi sistemi neurali che l’empatia concorre a rinforzare le dinamiche interpersonali.
In particolare, sono le espressioni del volto e degli occhi a favorire l’interpretazione delle emozioni e le interazioni con gli altri. Per la conoscenza di questi stati mentali concorrono alcune regioni cerebrali quali la “corteccia prefrontale mediale e la giunzione temporo-parietale”.
Finora, una grande quantità di dati forniti dalle tecniche di neuro immagine ci consente di comprendere anche alcune patologie neuropsichiatriche. I soggetti con autismo, ad esempio, presentano difficoltà a “immaginare” pensieri, desideri e intenzioni, nonché a “sincronizzare” con gli altri espressioni facciali, posture e movimenti.
L’autismo è un disturbo dello sviluppo cerebrale caratterizzato da una grave alterazione delle interazioni sociali e da un insieme ridotto di attività e di interessi. La causa principale di questa patologia, i cui sintomi si manifestano intorno al terzo anno di età, è di natura genetica. I soggetti autistici hanno difficoltà a provare emozioni ed empatia. Spesso all’autismo si accompagna anche l’epilessia.
L’empatia svolge un ruolo importante nella comprensione delle emozioni degli altri, in quanto esprime una risposta emotiva, una risonanza affettiva. Attraverso il “contagio emozionale”, noi conosciamo e condividiamo ciò che un’altra persona sta provando, intuendo i suoi pensieri e i suoi sentimenti e stabilendo così forti legami sociali.
Secondo alcuni autori, l’empatia significa “qualcosa di più” che provare la stessa cosa che prova un altro (Hauser). Implica l’essere consapevoli di quello che rappresenta essere qualcun altro. Si verifica una situazione simile a quella dei neuroni specchio nell’acquisizione della capacità di lettura della mente.
Gli animali possiedono la capacità di provare empatia? Esperimenti condotti in materia rivelano che i topi possono controllare il proprio desiderio immediato di cibo, allo scopo di non causare dolore a un altro individuo (Knobe). Vedere un topo che soffre o che è in pericolo genera un comportamento empatico.
Sul piano dell’evoluzione, si ritiene che l’empatia “riduca” il rischio di danneggiare i membri del gruppo, esprimendo comportamenti altruistici che producono benefici alla comunità. Diversamente, l’assenza di empatia si associa a disturbi psichiatrici. L’empatia poi assume un posto centrale nella creazione del legame madre-bambino.
Nell’evoluzione della specie, l’empatia ha una lunga storia di “duecento milioni di anni” (Swaab). Nasce dalle cure materne ed è comune in generale a tutti. Alla sua base ci sono i neuroni specchio.
A favorire i legami sociali e di fiducia concorre l’ossitocina, un ormone prodotto dall’ipotalamo. Oltre ad essere di notevole importanza nella gravidanza, nel parto e nell’allattamento, questo ormone svolge notevoli funzioni cerebrali. È considerato “regolatore” delle emozioni, è implicato nell’attaccamento madre-figlio, nel “grooming”, nell’attività sessuale, nello stress e in tutti quei comportamenti che promuovono armonia e coesione negli individui. Nei rapporti di coppia, l’ossitocina favorisce i rapporti sessuali, riduce i conflitti e promuove la fedeltà.
Circa le malattie neurodegenerative, i tremori cerebrali, l’ictus disponiamo - chiarisce Nichetti - di farmaci e di terapie che si sono rivelati “efficaci”. Per la malattia di Alzheimer, ci sono farmaci in grado di “alleviare” il decorso e “aggredire” i meccanismi biologici della malattia. Per il morbo di Parkinson, oltre i farmaci c’è la stimolazione cerebrale. Anche il campo delle neuro protesi ha avuto un importante sviluppo: visive, uditive, per il controllo del dolore e motorie.
Nel corso dell’evoluzione, le dimensioni del cervello sono “enormemente aumentate” (Swaab). Ciò che caratterizza l’essere umano è un cervello fenomenale di circa un chilo e mezzo costituito da cento miliardi di neuroni. Ogni neurone ha un contatto con circa diecimila cellule nervose. La rete di connessioni neurali è lunga centomila chilometri.
Guido Brunetti
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