Filosofia della Medicina
di Federico E. Perozziello
Ludwig Wittgenstein, la logica e la medicina
Settembre 2011
“… Noi sentiamo che, persino nell’ipotesi che tutte le possibili domande scientifiche abbiano avuto risposta, i nostri problemi vitali non sono ancora neppure sfiorati. Certo, allora non resta più domanda alcuna; e appunto questa è la risposta …”
Ludwig Wittgenstein, Tractatus, 6. 52
Secondo un celebre verso di Thomas Stearns Eliot, Aprile è il più crudele dei mesi. Aprile fu il mese che segnò la nascita e la morte di Ludwig Wittgenstein (Vienna 1889 – Cambridge 1951), uno dei più importanti, frequentemente citati e meno conosciuti pensatori della Storia della Filosofia.
Pare che le sue ultime parole, prima di morire nella cittadina inglese di Cambridge, dove aveva trascorso molti anni della sua tormentata esistenza da professore universitario di logica, siano state: «ho avuto una vita meravigliosa». Meravigliosa non possiamo affermarlo con certezza, ma straordinaria e fuori dal comune, senza alcun dubbio. Di certo la vita di Wittgenstein fu molto diversa da quella di un filosofo come Immanuel Kant, così metodico e abitudinario che i bottegai di Könisberg, la città sul Mar Baltico dove Kant viveva, regolavano gli orologi in base all’apparire mattutino del professore, nel suo dirigersi immancabilmente verso l’edificio della locale università.
L’esistenza del tormentato e geniale filosofo austriaco trovò per qualche tempo un riferimento spaziale e temporale anche nel nostro paese. Figlio di una delle famiglie più ricche e prestigiose della Vienna di fine secolo, si arruolò come soldato semplice nella Grande Guerra, forse per incontrare la morte e annullare la propria esistenza in una specie di cupio dissolvi. Wittgenstein fu invece promosso sul campo ufficiale di artiglieria mentre combatteva sul fronte austro-russo. Era, tra l’altro, laureato in ingegneria meccanica e matematica e si guadagnò meritatamente alcune decorazioni al valore. Combatté anche sull’altopiano di Asiago, un luogo dagli inverni rigidi come la tundra russa. Fatto prigioniero dagli Italiani, trascorse alcuni mesi nel campo di prigionia di Cassino. Portava con sé da tempo un piccolo quaderno, che conteneva il manoscritto di uno dei libri più importanti del Novecento. Pagine meditate e scritte durante i lunghi anni di guerra: il mitico Tractatus logico-philosophicus. Il libro definitivo, che secondo l’autore avrebbe dovuto chiarire, una volta per tutte, i problemi controversi della logica filosofica.
Dopo la liberazione di Wittgenstein e il suo ricongiungersi all’amico inglese Bertrand Russell (1872-1970), uno dei più brillanti e arroganti pensatori e matematici del tempo, la pubblicazione del Tractatus segnò uno spartiacque nella cultura europea del primo Novecento. Tuttavia a Wittgenstein fama e onori accademici non importavano più di tanto, anche se ricoprì per anni un prestigioso ruolo di docente universitario.
Il suo percorso terreno rimase segnato da una serie di aneddoti sconcertanti e comportamenti più o meno stravaganti, il più scandaloso dei quali, per il senso comune, fu senza dubbio costituito dal totale disinteresse per il denaro e la ricchezza in genere. Maestro di scuola elementare per alcuni anni in diversi paesini austriaci della Bassa Austria, eremita in un fiordo norvegese, giardiniere, architetto e infine, negli intervalli, anche geniale, a volte irritabile e scontroso, professore di logica presso l’Università di Cambridge.
Nella cittadina inglese e negli Anni Trenta, dopo un lungo periodo trascorso senza scrivere nulla di sistematico, dopo lo sforzo immane del Tractatus, videro la luce due quaderni di appunti. Due dispense che Wittgenstein scrisse per i suoi studenti in occasione dei corsi universitari da lui tenuti: il Libro Blu e il Libro Marrone. Il linguista svizzero Ferdinand de Saussure (1857-1913) aveva a quel tempo già elaborato la propria distinzione epocale tra la lingua, intesa come un prodotto sociale e il linguaggio, facoltà della specie umana in grado di generarla, quando Wittgenstein nel Libro Blu prese ad esaminare con acume il ruolo delle parole. Parole che nei suoi libri assumevano un ruolo di conoscenza e di significatività logica che non potrà più essere ignorato, sia nell’indagine biologica che nella ricerca medica e delle altre scienze.
Parole a volta indefinibili, perché il loro valore poteva mutare nell’analisi del termine in modo sfuggente, quasi liquido, a seconda del loro accordo o posizione nel contesto dei termini della frase. Al punto che, affidandosi completamente al significato apparente del vocabolo, estrapolato dal contesto, termini che apparivano come sicuri spalancavano invece sotto i piedi di chi li stava usando dei trabocchetti profondi. Percorsi apparentemente facili e conosciuti si scontravano improvvisamente contro muri posti a chiusura di vicoli ciechi per l’intuizione e la ragione del ricercatore.
Espressioni di uso comune, come ad esempio A ha un dente d'oro e A ha un mal di denti, potevano sembrare analoghe nella loro funzione descrittiva di parti dell’apparato masticatorio appartenenti a un individuo della specie umana, visto che gli animali non portano di solito protesi dentarie. Risultavano invece di natura profondamente differente, perché potevamo affermare di vedere il dente d’oro del soggetto “A”, ma non potevamo confessare di provare contemporaneamente lo stesso mal di denti dello sfortunato individuo. Nell’analisi di Wittgenstein la costruzione di analogie fuorvianti veniva indicata come una presenza sempre in agguato nel linguaggio. Un errore che poteva annidarsi in ogni costruzione teorica che si basasse, anche in modo trionfante e sicuro, sull’esperienza. Utilizzando il termine di Giochi Linguistici, Wittgenstein dimostrò come il linguaggio si riferisca sempre a una rappresentazione dell’attività reale, ma compia questa interazione con le cose come un bambino che giochi compiaciuto e tragga da quest’esperienza la fonte di una costruzione verbale.
Anche la medicina, come tutte le altre parti della conoscenza dell’uomo, non dovrebbe dimenticare questa lezione, quando dopo il momento della sperimentazione e dell’esperienza formula delle teorie generali. Il rischio potrebbe essere quello di dimenticare il punto di interazione con la realtà da cui si è partiti e di non avere poi nessuna meta sicura da raggiungere. Questo potrebbe avvenire in alcune parti dell’attività del medico, come il campo bioetico, in cui ogni singola parola acquista drammaticamente delle valenze diverse in base al contesto in cui venga inserita. Tuttavia nemmeno altri territori di ricerca più tradizionali e rassicuranti ne sarebbero immuni.
Nel Libro marrone Wittgenstein approfondì l'analisi dei giochi linguistici, attraverso una critica al concetto di verosimiglianza, una modalità espressiva del linguaggio umano che divenne per lui un vero e proprio indicatore antropologico. L’uomo sarebbe stato portato a identificare e a confrontare esperienze simili, tanto da creare delle categorie descrittive attraverso famiglie di entità apparentate concettualmente. Tuttavia il confronto tra esperienze e oggetti di conoscenza che egli aveva intrapreso non avrebbe mai potuto costituire una prova definitiva della verità di un’esperienza. Si sarebbe limitato ad unire solo un insieme di verosimiglianze, le quali si sarebbero sovrapposte le une alle altre, rafforzandosi a vicenda. Un po’ come avviene con una grossa fune, che trae la propria forza dall’essere costituita da tanti fili intrecciati tra di loro, i quali singolarmente non sarebbero dotati di una resistenza affidabile e di un’utilità pratica. Secondo Wittgenstein, il confronto tra i dati che poniamo alla base della moderna ricerca scientifica non rivestirebbe mai il ruolo di una prova univoca, ma attesterebbe solo una serie di somiglianze che si sovrappongono. Quindi aggettivi come identico ed eguale sarebbero da sostituire con termini come simile, somigliante e via dicendo.
In una visione filosofica che considerava il linguaggio come un addestramento continuo di un bambino ipotetico e di un ricercatore scientifico basato sull’esperienza e che dichiarava come questa attività pratica potesse basarsi solo su fatti simili e mai identici, veniva a cadere la pretesa dell’assoluta certezza del metodo sperimentale. In tal modo, almeno parzialmente, si sarebbero potute spiegare l’unicità spesso incomprensibile di certe reazioni dei pazienti alla dichiarata prevedibilità di molte terapie.
L’originalità di ogni essere vivente non avrebbe dovuto essere ricercata nelle caratteristiche e qualità materiali che venivano descritte per connotarlo, quanto nel linguaggio che si era adoperato per rappresentarlo e nella sua attendibilità formale e logica.
Federico E. Perozziello
Bibliografia essenziale di riferimento
-
Monk R., Ludwig Wittgenstein. Il dovere del genio, Milano, 1991.
-
Gargani A., Introduzione a Wittgenstein, Bari, 2000.
-
De Saussure F., Corso di linguistica generale, Roma-Bari, 2009.
-
Wittgenstein L., Tractatus Logico-Philosophicus, trad. italiana a cura di A.G. Conte, Torino, 1989.
-
Wittgenstein L., Libro blu e Libro marrone, trad. italiana a cura di A.G. Conte, Torino, 1983.
-
Perissinotto L., Wittgenstein, Milano, 1997.
-
Perozziello F. E., Storia del Pensiero Medico, IV volume. Dalla Psicoanalisi al Codice Genetico. Le risposte senza domande, Fidenza, Parma, 2010.
-
Soldini M., Wittgenstein. Il Libro Blu, Fidenza, Parma, 2009.
-
Hadot P., Wittgenstein e i limiti del linguaggio, Torino, 2007.
Libri pubblicati da Riflessioni.it
RIFLESSIONI SUL SENSO DELLA VITA 365 MOTIVI PER VIVERE |
|