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Sul sentiero - Parte seconda

Anonimo - maggio 2009
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IL COMPITO

Capitolo 11 - Il Sacri-ficio, il Dono e la Gioia

 

L’aspirante che inizia il Sentiero tende, generalmente, ad appagarsi delle conoscenze teoriche delle verità spirituali, adattando i requisiti richiesti alla sua convenienza, invece che vivere secondo quanto va via comprendendo. Ciò perché, mentre è piuttosto facile compiere studi intellettuali relativi al “sentiero spirituale”, è più difficile vivere con coraggio, determinazione, abnegazione, sacrificio.
L’aspirante più avanzato sul Sentiero sente una imperiosa forza interiore, che non gli dà tregua; intuisce che il senso della vita è al di là del contingente quotidiano e lo cerca al di là del limite consueto; sa che la sua vita non può svolgersi in tranquille pianure, e si sente destinato a scalare le vette.  
Comprende l’importanza del Retto Sforzo, uno dei punti del nobile Ottuplice Sentiero del Buddha, e dell’uso Volontà:

 

…Questo soffio divino giunge alla porta di tutte le anime, ma non può entrarvi fino a che la volontà dell’uomo non l’abbia spalancata. (Il Vangelo acquariano)

 

Egli si impegna a “testimoniare” nel quotidiano l’astratto e l’eterno, il piano intuitivo e quello delle idee, il Bello e il Vero; a “sacralizzare” esperienze e situazioni, poiché sa che in tal modo le cose del mondo possono svelare il loro aspetto “esemplare” e “di benedizione”.
La “sacralizzazione dell’esistente” produce l’assenza del giudizio e del senso di separatezza e avvia il processo di auto-osservazione imparziale, in cui il “testimone silenzioso” interiore, placando l’emotività e acquisendo obiettività nei confronti del reale, riesce a:

  • superare condizionamenti mentali;

  • com-prendere parti più ampie di sé e dell’esistente;

  • cogliere, almeno in parte, “il Senso” e il “messaggio” di esperienze e situazioni;

  • accettare fiduciosamente realtà complesse, come il dolore proprio ed altrui.

La natura dello sforzo per percorrere il Sentiero del Sacrificio non richiede, almeno nelle prime fasi, che abbandoniamo la nostra vita consueta; richiede che selezioniamo nel quotidiano i pensieri e le motivazioni; che liberiamo la mente di contenuti vecchi e sterili; che svolgiamo le nostre occupazioni con consapevolezza e perfezione, migliorando il senso della disciplina e del servizio; che sviluppiamo l’“empatia universale”, verso tutti gli Esseri del Pianeta:

 

…quando le persone avranno imparato a pensare e a provare sentimenti come dovrebbero pensare e provare sentimenti i veri esseri umani, agiranno umanamente e da tutti verranno compiute spontaneamente opere di carità, giustizia e generosità. (H. P. Blavatsky, da una lettera del 1898)

 

 “Sacrificare” è su di un piano più alto di “beneficare”, attività che riguarda il piano mondano; è ancora sul piano umano che il sacrificio viene associato ad una rinuncia che genera senso di perdita: si tratta di un errore di comprensione, che nasce dal fatto che l’io funziona, fino al momento del risveglio, nella modalità dell’acquisizione.
Sul Sentiero, il “Sacri-ficio” non è più inteso nel senso “mondano” di una rinuncia frustrante e rassegnata, accompagnata da atteggiamenti rancorosi o vittimistici né è più riferito solo all’ “offrire un dono” o all’ “offrire se stessi”;  esso recupera il senso, indicato dall’etimologia, di “compiere un atto sacro” (sacrum facere).
Il termine allora si illumina dall’interno, svelando la sua essenza di mezzo di elevazione per eccellenza: il Sacri-ficio conduce l’“essere umano animale” all’ “uomo umano” - secondo la terminologia della Blavatsky - e poi all’unione dell’umano con il divino. Lentamente, l’individuo in via di risveglio si apre al senso dell’unità della Vita, ove perde di senso la distinzione tra il “me” e il “non me”, poiché tutte le forme manifeste gli appaiono cellule di un unico Corpo evolvente. Conduce una vita di moderazione e di vigilanza in ogni cosa e diventa, con l’attivazione costante del “testimone silenzioso interiore”, padrone dei propri pensieri.
Parallelamente allo sviluppo delle qualità superiori, il “Sacrificio” appare sempre più chiaramente atteggiamento “ovvio” e naturale per l’anima matura, che aspira all’evoluzione del Tutto; si fa visibile nell’agire sollecito e benevolo nei riguardi dell’umanità, poiché nasce dalla visione che “la Vita è una” e che il reciproco Servizio, operante come legge dell’Universo, permette all’esistente di manifestarsi in una grande rete di interazione.
In tale visione, comprendiamo che va inteso alla lettera il noto detto  “Chi danneggia gli altri, danneggia se stesso”:

 

Realizzate in voi stessi che siete il veicolo di tutta l’umanità, considerate il genere umano come una parte di voi stessi e agite di conseguenza. (H. P. Blavatsky)

 

In questo lavoro, ci sostiene la consapevolezza che ogni nostro progresso si riverbererà nell’umanità intera; tutto ciò che si pensa, si sente, si fa - e si diventa - “è uno, e comune proprietà di tutta l’umanità”, afferma H. P. Blavatsky.
Immaginando l’umanità come un contenitore pieno d’acqua trasparente e gli individui come liquidi colorati, è come se ogni nostro atto o pensiero, piccola goccia di liquido colorato, mescolandosi all’acqua dell’intero contenitore, la colori, stilla dopo stilla, mutandone lentamente la colorazione complessiva. Al termine del processo, l’intera massa d’acqua avrà cambiato completamente il suo colore originario, che sarà diventato ora il risultato di tutti i piccoli contributi  dei diversi liquidi colorati.
Quando l’uomo, piccola goccia d’acqua nell’oceano della vita, si sveglia alla propria responsabilità, si apre alla Compassione e all’altruismo, cominciando a immettere colori splendenti e luminosi nell’intera Manifestazione.
Egli agisce nella consapevolezza che nulla ci appartiene: ogni pensiero, atto, aspirazione, intento, appartiene alla Grande Vita che ci sostiene, e ogni nostro contributo, che nella nostra piccola visione consideriamo singolo e separato, si immette in realtà nel Tutto, modificandolo.  
Siamo noi i co-creatori di questo Uni-verso.
Da tale più ampia Visione, nasce di conseguenza la necessità, e la gioia, del Sacri-ficio:

 

…il sacrificio di sé non è una questione di una qualche virtù che dovremmo sviluppare, perché la Legge esiste, è la legge dell’esternamento, e, presto o tardi, dovremo conformarcisi. (Jinarajadasa, ex presidente della Società Teosofica)

 

Di fronte all’idea del Sacrificio osserviamo, in noi e intorno a noi, reazioni di paura, di rifiuto, di resistenza, di scoraggiamento, di fuga. Arjuna, l’eroe della Bhagavad-gita, sente il suo cuore riempirsi di tristezza all’idea di combattere i sui cari, i suoi amici, coloro che ama, coloro per cui ha attaccamento…
Sul piano divino, il Sacrificio è pura Gioia che nasce dal dono di sé per una Causa superiore al piccolo sé.
 E’ abbandono alla preghiera dell’anima matura: “Sia fatta la Tua Volontà e non la mia”. E’ solo quando si progredisce nella sottomissione al divino che si sperimenta la “Letizia”, di cui parla Francesco, poiché nella scelta dell’umiltà e del dono totale si libera la forza spirituale, che si irradia nel Tutto.
Nella medesima consapevolezza, Piccarda Donati, anima beata, afferma “..'n la sua volontade è nostra pace” (Paradiso, canto III)
Se intendiamo partecipare a questo universale Dono a beneficio dell’Umanità, operiamo affinché la nostra aspirazione e la nostra forza spirituale si sviluppino nella Gioia. Abbiamo sperimentato che si è felici quando si dà a chi si ama; se sapremo amare l’umanità come le persone a noi care, questa sensazione di Gioia si amplierà, dilatandosi nel nostro dono al mondo.
E’ con il dono di sé che si dissolverà l’ego, con il suo corteo di vanità, superficialità, falsità, avidità, arroganza, materialismo, crudeltà, limitatezza di visione; saremo allora sempre più sensibili al grido di dolore dell’umanità, e sapremo rispondere ad esso con sollecitudine e con ardore, evitando risposte emozionali ed effimere che spesso non portano aiuto ma confusione.

Allora:

  1. sapremo di essere esseri evolventi in un Pianeta anch’Esso evolvente;

  2. avendo contemplato l’unità del Tutto intenderemo “svolgere la nostra parte”;

  3. tutto ciò a cui siamo attaccati, per abitudine o debolezza, perderà il primo posto;

  4. sentiremo che non spetta più al piccolo io decidere il programma della nostra vita;

  5. i bisogni dell’umanità diventeranno i nostri maestri;

  6. sentiremo che la nostra piccola vita ha senso solo se messa al servizio della Grande Vita in cui “viviamo e siamo”.

In questa più ampia visione, Sacri-ficio e Dono acquisteranno significati più alti e più sottili:

 

Occorre un dono di sé totale e sincero, un'apertura di sé rivolta esclusivamente verso il potere divino, un'ammissione costante ed integrale della verità che discende, un costante ed integrale rifiuto della menzogna, dei poteri e delle apparenze della mente, del vitale e del fisico che governano ancora la natura terrestre.
Il dono di sé deve essere totale ed estendersi a tutte le parti dell'essere.
(Aurobindo, 1 agosto 1927)


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