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Fuggire…

di Francesco Scoditti

- Gennaio 2025


Fuggire…andar via…
Accadde molti anni fa, se ne parlò tanto nella mia scuola, un Istituto retto dai Gesuiti e destinato alla formazione dei figli dei professionisti della città. Il ragazzo, se non ricordo male, era qualche anno più grande di me, forse frequentava la I o II Media: sparì di casa, fuggì. Si penso al peggio, la famiglia era disperata, e ricordo che se ne parlò anche tra i condomini del mio palazzo; ci si chiedeva cosa fosse successo, con quella sorta di celata sensazione di sollievo, quando le cose tristi accadono agli altri e non toccano i tuoi affetti.
Lo ritrovarono due giorni dopo, sulla marina di Ostuni. Era saltato su un treno e poi, non so come, aveva raggiunto il mare. Ai carabinieri disse soltanto che voleva rimanere lì, accanto alla spiaggia e chiese di poter essere messo in un Istituto di quella zona. Soprattutto pregò i militari di tenerlo lontano da suo padre…dalle mani di suo padre.
Si scappa, chi dalla famiglia, chi dalla moglie o dal marito, chi da un lavoro alienante. Talvolta è l’odio che ti spinge, talvolta è l’amore, come quando si fugge con il proprio compagno mal sopportato dai genitori, spesso perché non in possesso di adeguate e blasonate referenze, e ci si rifugia magari a casa della nonna, la zia e chissà chi altro. Talvolta si fugge sognando di poter rivivere estasi d’amore, magari fittizie, in paesi esotici oltreoceano. Ricordo un amico, ricco commerciante, che frequentava con cadenza annuale L’Avana, atteso a suo dire da una bella e dolce mulatta dagli occhi verdi, un falso amore, ma gli bastava. “Devo andare una volta l’anno” diceva alla moglie “altrimenti impazzisco, prendila come vuoi…fa come vuoi” e la moglie accettava.
La voglia di fuga non è quindi una particolarità inusuale e non c’è giorno che non se ne registri qualcuna adolescenziale, magari solo per provare il brivido del viaggio e del distacco. In fondo è un desiderio non così negativo: scriveva Pavese che uno dei più grandi piaceri umani è la capacità di cambiare, trasformarsi per poi rinascere, anche se poi non gli è andata proprio così, visto il suo tragico destino.
Cambiamo la prospettiva: e se l’atto di fuggire non fosse un gesto di debolezza ma una sorta di autodifesa? La nostra è una società sempre più ferma, dove mancano gli ideali, le passioni, le emozioni, dove si evitano responsabilità, soprattutto negli adolescenti.
Allora, se c’è qualcuno che ha il coraggio di rifiutare la mediocrità in cui vive, che considera una qualsiasi forma di ignoto più appetibile della ripetitività in cui è immerso, forse il fuggire è necessario per assaporare ancora il gusto della parola più bella, più usata ma spesso negata, la libertà.


Francesco Scoditti


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