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Riflessioni sull'Esoterismo

di Daniele Mansuino   indice articoli

 

Melchisedec e Aronne

Gennaio 2019

 

Il mio terzo articolo sull’ideologia del Sabbataismo (o Sabbatianesimo) contemporaneo prende le mosse dalla principale polemica che divide i suoi seguaci: il confronto tra quanti possiamo definire i filoesoterici ed i filoebraisti.

Per quanto, come spesso avviene nel mondo dell’esoterismo, si tratti di un confronto fondato su posizioni apparentemente molto astratte, non sarà male ricordare che stiamo parlando di una delle più potenti associazioni magiche di tutti i tempi, la cui influenza sul corso della storia umana è stata (ed è) colossale: quindi la cosa da fare, mentre esaminiamo le loro posizioni, è domandarci quali obbiettivi ci siano dietro (possibilmente senza indulgere a puerili spiegazioni di stampo complottista, ma facendolo con intelligenza).

Le due posizioni a confronto possono essere sintetizzate così:

Dalla parte dei filoesoterici, che sono la maggioranza, troviamo innanzitutto i Sabbataisti che si identificano più fortemente nei legami del loro movimento con l’organizzazione esoterica che domina il mondo, coinvolti nella preparazione del Quinto Rituale Maggiore ed appassionati studiosi e ripetitori degli altri quattro.

Ad un livello di coinvolgimento inferiore, sono ovviamente filoesoterici tutti coloro che si interessano alle dottrine sabbataiste nel campo della magia, e questi sono soprattutto neofrankisti (ancora oggi grandi specialisti di magia sessuale e di varie forme di neosciamanesimo), che in termini di pratica religiosa sono perlopiù cristiani o agnostici.

Un terzo gruppo filoesoterico di rilievo è costituito da quella parte di Donmeh che si sente ancora legata all’esperienza politica progressista portata avanti dalla loro associazione nel Novecento.

Contro questa maggioranza si sono schierati i filoebraisti: ovvero una parte dei Sabbataisti che professano la religione ebraica, i quali con sfumature diverse propugnano un maggiore avvicinamento del movimento all’odierno Ebraismo.

La loro presenza non rappresenta una novità assoluta: come ho accennato in 666, ai tempi di Sabbathai erano già presenti. Persero poi d’importanza nel corso del diciottesimo secolo, finché l’esplosione del Frankismo non li estinse quasi completamente. Da allora in poi, se nel Sabbataismo (o Sabbatianesimo) conflitti legati alle religioni ci furono ancora, riguardavano soprattutto il rapporto tra la Via di Edom di Frank, il Cristianesimo e l’Islam, mentre la qabbalah e l’Ebraismo ne restavano fuori.

Potrebbe quindi apparire sorprendente che i filoebraisti siano riapparsi nel ventunesimo secolo, oltretutto schierandosi su posizioni molto più radicali dei loro predecessori. Per esempio i filoebraisti del tardo Seicento non avrebbero mai affermato che la missione di propagandare il loro movimento in seno all’Ebraismo fosse incompatibile con il lavoro per l’organizzazione, mentre oggi alcuni di loro negano addirittura che Sabbathai e Sara abbiano mai celebrato il Quarto Rituale Maggiore; ed anche coloro che non arrivano a tanto, riguardo all’influenza esercitata dal  Sabbataismo sulla genesi della modernità esprimono posizioni diverse, ma sempre molto critiche (c’è chi la nega c’è chi la ammette, considerandola però solo un aspetto marginale).

Ancora, nell’articolo La Via del Peccato ho spiegato come l’approccio storico dei Sabbataisti alle religioni tradizionali sia quello di entrarci per violarne le regole; ma per i filoebraisti odierni le leggi della tradizione ebraica vanno rispettate, e rigettano come falsità o fraintendimenti quelle parti del proprio credo che si incentrano sulla loro violazione da parte di Sabbathai.

Comune a tutti gli esponenti di questa minoranza è una forte specializzazione negli aspetti qabbalisti del Sabbataismo (dei quali peraltro, bisogna dire, non hanno affatto l’esclusiva); anzi, uno dei principali compiti che si sono autoassegnati consiste nel rielaborare la dottrina sabbataista nella prospettiva di una riconciliazione con la qabbalah classica, allo scopo evidente di affermare che la distanza tra le posizioni del Sabbataismo e quelle dell’Ebraismo è inferiore a quanto si creda.

Inutile sottolineare come invece, secondo i filoesoterici, questo approccio sarebbe in contraddizione con l’insegnamento di Sabbathai e di quei suoi successori, come Jacob Frank, che si premurarono di attenuare i tratti più spiccatamente ebraici del movimento per garantirgli una migliore penetrazione nella civiltà occidentale.

Prima che la polemica esplodesse, i filoesoterici (i quali, di norma, sono più esperti di Ermetismo che non di qabbalah) avevano sempre vissuto concetti come la Radunanza degli Esuli - ed anche lo stesso concetto di Israele - alla stregua di simboli importanti, anzi in un certo senso di dignità superiore, ma non diversi dagli altri nell’uso cui erano destinati: leggere ed interpretare la storia, e all’occorrenza estrarne le correnti energetiche da impiegare a livello magico nei rituali minori.

Diverso è invece il discorso per i filoebraisti, nei quali già il fatto stesso di privilegiare l’aspetto qabbalista rispetto a quello ermetico denota un’indole più devozionale che operativa; il che li condanna a vivere tanto la separazione tra Ebraismo e Sabbataismo quanto quella tra qabbalah classica e qabbalah eretica alla stregua di laceranti contraddizioni.

Nel mondo dell’esoterismo, i Sabbataisti sono sempre stati una minoranza che si mantiene segreta, la quale partecipa ai lavori di altre associazioni iniziatiche portando avanti il suo progetto in forma mascherata ed imponendolo in virtù della propria superiorità intellettuale; ma quando è divisa nel suo seno comincia a girare a vuoto, e questo conflitto le sta creando gravi danni.

Non si tratta infatti un dissidio che possa essere risolto con un po’ di buon senso intorno a un tavolino: tanto i forti coinvolgimenti emozionali quanto il fatto che alle due posizioni corrispondano scelte operative diverse congiurano per alzare lo scontro fino ad un livello molto vicino all’odio.

Se finora non si sono verificate scissioni, è solo perché il modello associativo sabbataista non ne prevede la possibilità: infatti le varie linee che lo compongono non sono collegate tra loro da una struttura formale, mentre il fatto che le scelte di una linea si ripercuotono sempre - a livello di eggregore - anche sulle altre, obbliga tutte le parti in causa a mantenere sempre aperto il confronto.

Lo scontro più acceso verte oggi soprattutto su un punto: il rapporto tra il Sacerdozio secondo Melchisedec e quello secondo Aronne.

Come è noto, la figura di Melchisedec compare nella Bibbia in Genesi, 14: 17-20: Quando Abramo fu di ritorno, dopo la sconfitta di Chedorlaomer e dei Re che erano con lui, il Re di Sodoma gli uscì incontro nella Valle di Save, cioè la Valle del Re.

Intanto Melchisedec, Re di Salem, offrì pane e vino; egli era Sacerdote del Dio Altissimo, e benedisse Abramo con queste parole: Sia benedetto Abramo dal Dio Altissimo, Creatore del cielo e della terra, e benedetto sia il Dio Altissimo che ti ha messo in mano i tuoi nemici. E Abramo gli diede la decima di tutto.

Nel mondo dell’esoterismo (soprattutto presso gli esoteristi tradizionali, ma non solo), questo episodio viene comunemente interpretato come l’attestazione della discendenza della tradizione ebraica dalla tradizione primordiale (ovvero dall’organizzazione). Sarebbero stati poi Mosè ed Aronne, discendenti di Abramo, a completare l’adattamento della ritualità primordiale alle specifiche esigenze del popolo ebraico; il Sacerdozio secondo Aronne, quindi, discende da quello secondo Melchisedec, e da esso deriva.

Ora, i Sabbataisti filoesoterici hanno sempre accettato senza problemi questa impostazione, che per loro è importantissima soprattutto in quanto attesta la discendenza della tradizione sabbataista dall’organizzazione: senza di essa non sarebbe più possibile affermare che il Quarto Rituale Maggiore sia stato attuato da Sabbathai a nome dell’umanità, e tutta la sua esperienza messianica risulterebbe ridimensionata ad una mera vicenda intestina del popolo ebraico.

Ma è proprio quest’ultima la tesi che i filoebraisti vorrebbero far trionfare; e la affermano sostenendo che attribuire al passo della Genesi l’istituzione di un Sacerdozio secondo Melchisedec sia un’interpretazione distorta, anzi blasfema, in quanto implicherebbe che gli Ebrei non siano stati gli iniziatori della loro tradizione, ma l’abbiano ereditata dai Gentili.
Non fa fede in favore dei filoesoterici Salmi, 109: 4 (laddove il Signore giura a Davide: Tu sei sacerdote per sempre al modo di Melchidesec), poiché entrambe le parti concordano che debba trattarsi di un’espressione poetica e/o figurata: infatti, il sostegno all’idea che una qualsiasi forma di sacerdozio possa essere stata trasmessa dal Signore ad un Re porterebbe ai filoesoterici complicazioni che, in questo momento ideologicamente avvelenato, non hanno voglia di affrontare.

Rimane quindi a loro soltanto l’ammettere che, in effetti, l’idea del Sacerdozio secondo Melchisedec non è ebraica ma cristiana - San Paolo, Lettera agli Ebrei:

Melchisedec Re di Salem, Sacerdote del Dio Altissimo, andò incontro ad Abramo mentre ritornava dalla sconfitta dei re e lo benedisse. A lui Abramo diede la decima di ogni cosa. Il suo nome tradotto significa Re di Giustizia; è inoltre anche Re di Salem, cioè re di pace. Egli è senza padre, senza madre, senza genealogia, senza principio di giorni né fine di vita, fatto simile al Figlio di Dio, e rimane Sacerdote in eterno.

Considerate pertanto quanto sia grande costui, al quale Abramo, il patriarca, diede la decima del suo bottino.  In verità, anche quelli dei figli di Levi, che assumono il sacerdozio hanno il mandato di riscuotere, secondo la legge, la decima dal popolo, cioè dai loro fratelli, essi pure discendenti da Abramo. Egli invece, che non era della loro stirpe, prese la decima da Abramo e benedisse colui che era depositario della promessa.

Ora, senza dubbio, è l’inferiore che è benedetto dal superiore. Inoltre, qui riscuotono le decime uomini mortali; là invece le riscuote uno di cui si attesta che vive. Anzi si può dire che lo stesso Levi, che pur riceve le decime, ha versato la sua decima in Abramo: egli si trovava infatti ancora nei lombi del suo antenato quando gli venne incontro Melchisedec.

Or dunque, se la perfezione fosse stata possibile per mezzo del sacerdozio levitico - sotto di esso il popolo ha ricevuto la legge - che bisogno c'era che sorgesse un altro sacerdote alla maniera di Melchisedec e non invece alla maniera di Aronne? Infatti, mutato il sacerdozio, avviene necessariamente anche un mutamento della legge. Questo si dice di chi è appartenuto a un’altra tribù, della quale nessuno mai fu addetto all'altare. È noto infatti che il Signore nostro è germogliato da Giuda, e di questa tribù Mosè non disse nulla riguardo al sacerdozio.

Ciò risulta ancor più evidente dal momento che a somiglianza di Melchisedec sorge un altro sacerdote, che non è diventato tale per ragione di una prescrizione carnale, ma per la potenza di una vita indefettibile. Gli è resa infatti questa testimonianza: Tu sei sacerdote in eterno alla maniera di Melchisedec.

Si ha così l'abrogazione di un ordinamento precedente a causa della sua debolezza e inutilità. La legge, infatti, non ha portato nulla alla perfezione; e si ha invece l’introduzione di una speranza migliore, grazie alla quale ci avviciniamo a Dio (Ebr. 7: 1-18).

Risulta chiaro da questo passo come mai, per i primi Cristiani, affermare la validità del Sacerdozio secondo Melchisedec fosse importante.

In primo luogo, perché legittimava la possibilità di trasferire una tradizione da un popolo all’altro, nonché di variarla per adattarla al popolo ricevente: come proprio San Paolo stava cercando di fare, tirando fuori il Cristianesimo dall’Ebraismo e proponendolo ai Gentili.

In secondo luogo, perché la possibilità di appoggiarsi ad un’autorità anteriore alla tradizione ebraica consentiva loro di bypassare l’irregolarità più vistosa della trasmissione cristiana: il fatto che Gesù non era un Sacerdote.

Fu certamente traendo ispirazione dalla Lettera agli Ebrei che Joseph Smith e Oliver Cowdery svilupparono, nel 1829, la loro perorazione a sostegno della legittimità del Sacerdozio mormone (The messenger who visited usand conferred this Priesthood upon us, saidthat he acted under the direction of Peter, James and John, who held the keys of the Priesthood of Melchizedek).

Tutto questo, come si vede, fornisce ai filoebraisti ottimi argomenti per rigettare la legittimità del Sacerdozio secondo Melchisedec, e con esso anche la teoria della filiazione del Sabbataismo dall’organizzazione; e non ci sono molte speranze per i filoesoterici di ridurli alla ragione abbordando il discorso da questa parte (come neanche possono dirgli apertamente quello che pensano di loro, ovvero che la pretesa di essere tanto Sabbataisti quanto Ebrei osservanti sia una pura assurdità).

La loro linea d’attacco principale è quindi un’altra: essi negano che Melchisedec non fosse Ebreo.

O per essere più precisi: è chiaro che non si può parlare di Ebrei se non da Giacobbe (Israele) in poi, quindi a rigor di termini Melchisedec proprio Ebreo non poteva esserlo; però poteva essere un semita - anzi, volendo strafare, poteva anche essere Sem.

Volendo strafare neanche tanto - infatti la corrispondenza della figura di Melchisedec con quella di Sem è affermata nel Talmud quattro volte (per la precisione, l’albero genealogico della stirpe semita sarebbe il seguente: Noè - Sem/Melchisedec - Arpacsad - Sela - Eber - Phaleg - Reu - Serug - Nahor - Tare - Abramo - Isacco - Giacobbe - Giuseppe - Levi - Keat - Amram - Mosè e Aronne).

Tutto quello che occorreva era che i filoebraisti se ne ricordassero; ed a questo i filoesoterici provvidero sponsorizzando studi sull’argomento, finché (all’incirca nel 2007) anche i loro più accesi avversari furono costretti ad ammettere che questa ipotesi era fondata.

Naturalmente, il fatto che Melchisedec sia un antenato degli Ebrei e non dei Gentili cancella l’ipotesi di blasfemia; però è anche un’arma a doppio taglio, in quanto i filoebraisti ne stanno traendo le conclusioni più imprevedibili.

Per esempio, se il Sacerdozio secondo Melchisedec è in realtà secondo Sem, quale migliore prova che il sacerdozio tradizionale è una faccenda tra Semiti, con la quale gli Occidentali non c’entrano niente? Infatti non a caso Sabbathai si fece Mussulmano e non Cristiano… e non risulta che abbia mai scritto da nessuna parte di voler estendere il Sabbataismo anche agli Europei: l’idea che volesse farlo fu solo uno sbaglio di Jacob Frank, che fraintese la famosa frase pronunciata da Sabbathai a Smirne (Che cosa ha fatto Gesù perché lo trattaste così male? Io farò in modo che Egli sia annoverato tra i Profeti), senza far caso che aveva parlato soltanto di Gesù, non dei Cristiani…

Con questo, aggiungono, non vogliamo dire che la grazia del Sabbataismo debba restare limitata agli Ebrei; però, se gli Occidentali vogliono avvicinarsi a noi, che partano dall’accantonare le speculazioni sull’organizzazione e simili fantasie, ed incomincino seriamente e umilmente a studiare la qabbalah (glie la spiegheremo noi…).

Inoltre, dal loro punto di vista, il fatto che Melchisedec fosse ebreo non implica il riconoscimento che il suo incontro con Abramo abbia davvero costituito - come vorrebbero i filoesoterici - il link dell’Ebraismo con la tradizione primordiale.

È infatti proprio il concetto stesso di tradizione primordiale che i filoebraisti rigettano con forza; però di solito non lo attaccano direttamente (cosa che parrebbe la più facile: sostenendo, per esempio, che le conclusioni tratte in ambito esoterico da questa concezione paolina sono discutibili, e perlopiù di origine moderna).

Non lo fanno innanzitutto perché ciò equivarrebbe a scendere sul terreno dei filoesoterici, riconoscendo implicitamente al loro punto di vista una parziale validità; e non lo fanno soprattutto perché hanno imparato, da tre secoli e mezzo di storia del Sabbataismo, che le battaglie si vincono meglio con le armi dell’avversario.

Per questo hanno scelto non di confutare il concetto di tradizione primordiale a livello dialettico, ma di eroderne le radici: fondando il loro contrattacco sull’ipotesi - formulata anche da vari storici del Cristianesimo - secondo cui la Lettera agli Ebrei sarebbe un falso (bella idea anche perché tende a portare dalla loro parte la cospicua schiera dei filoesoterici non cristiani).

L’argomento è: voi dite che Melchisedec era Sem? Bene, se l’autore della Lettera fosse stato San Paolo, che era Ebreo, lo avrebbe saputo anche lui, ed avrebbe evitato di far poggiare la dottrina dell’universalità del Cristianesimo sulla sua figura (Melchisedec ebreo per Aronne ebreo, tanto valeva tenersi Aronne); ed il fatto che non lo sapesse è dimostrato in modo lampante dal passo in cui scrive che Melchisedec è senza padre, senza madre, senza genealogia, senza principio di giorni né fine di vita.

Quindi la Lettera è un falso; anzi (per usare le parole dei filoebraisti) un grossolano tentativo di sostituire il sacerdozio ebraico di Aronne e Mosè con un presunto sacerdozio gentile di Melchisedec, cosicché la religione del Signore, attraverso Gesù Cristo, potesse essere estesa ai Gentili e da essi praticata.

Con questo argomento i filoebraisti prendono due piccioni con una fava: non soltanto di cancellare il link Sabbataismo/tradizione primordiale/organizzazione, ma anche di collocare il concetto di tradizione primordiale nell’ambito di un… complotto cristiano ai danni degli Ebrei.

Controrisposta dei filoesoterici: ok, via San Paolo, ed atteniamoci alla Genesi: da questa risulta chiaro che l’Abramo che versò le decime a Melchisedec e ne ricevette la benedizione non aveva ancora ricevuto le Promesse del Signore (ovvero, non aveva ancora stipulato la sua Alleanza ad personam con Dio); in altre parole, parrebbe proprio che i due patti, quello con Melchisedec e quello con Dio, siano del tutto indipendenti l’uno dall’altro.

Ve l’ha forse ordinato il medico di credere che invece siano collegati? No, non ve l’ha detto, e non sta scritto da nessuna parte; quindi, a meno che non abbiate le prove che Melchisedec e Abramo si incontrarono per giocare a boccette, noi abbiamo il diritto di affermare che esiste un Sacerdozio secondo Melchisedec indipendente da quello secondo Aronne, e non ad esso vincolato.

Va comunque precisato che la maggior parte dei Sabbataisti di oggi, pur seguendo questa polemica con interesse, cerca di restarne fuori: soprattutto sono riluttanti a mettere in discussione la discendenza della tradizione ebraica dalla tradizione primordiale, rendendosi ben conto delle gravi conseguenze che ne potrebbero sortire.

È opinione diffusa tra loro che i filoesoterici più estremi dovrebbero concedere di più all’idea di un rapporto privilegiato fra tradizione primordiale ed Ebraismo, magari intensificando gli studi su quei collegamenti tra il progetto dell’organizzazione e la prospettiva qabbalista che i Sabbataisti, a livello storico, non si sono mai sognati di negare; e nei confronti dei filoebraisti, si può riscontrare una certa tolleranza verso la loro affermazione che la Via del Peccato non debba essere applicata alla religione ebraica.

La tolleranza su quest’ultimo punto può suonare piuttosto sorprendente, se pensiamo che qualunque apposizione di limiti alla Via del Peccato equivale a minare le interpretazioni più amate e condivise dell’opera di Sabbathai; ma si spiega col fatto che i Sabbataisti contemporanei si sono fatti una ragione di quanto il rapporto dell’Uomo con le religioni stia oggi cambiando, e stimano che per restare fedeli alla proverbiale elasticità ideologica della loro tradizione un minimo di adeguamento all’irrazionalità degli integralismi odierni sia necessario.

Invece non transigono riguardo alla pretesa dei filoebraisti di restringere il campo d’azione del Sabbataismo al solo mondo ebraico: questo sarebbe per il movimento un danno tangibile ed immediato che anche i meno inclini alle speculazioni teologiche possono misurare, e le reazioni ad ogni tentativo in questo senso sono sempre violente.

Qualcuno inoltre suppone che la polemica tra filoesoterici e filoebraisti, per quanto rumorosa, sia fumo negli occhi, facendo notare come fino ad oggi la sua unica conseguenza di un certo rilievo sia stata l’accoglimento, da parte di entrambi gli schieramenti, dell’equivalenza Melchisedec/Sem: ovvero di un concetto che, qualora dovesse transitare dall’esoterismo alla politica (processo lento, ma che con le idee portate avanti dai Sabbataisti si verifica sempre), potrebbe servire da base ad una reintroduzione in grande stile del Sabbataismo nell’area mediorientale.

Ancora, il riavvicinamento tra Sabbataismo ed Ebraismo sembra stia avvenendo in simultanea con un allentamento dei legami di segretezza da parte delle scuole qabbaliste ortodosse (una delle più rilevanti novità avvenute nell’universo esoterico in questi ultimi anni, che già mi è stata segnalata anche da vari lettori).

Quindi, per il futuro, c’è da attendersi un aumento dell’oscillazione (vedi il mio libro Signori di Volontà e Potere, cap. 10) in seguito all’accrescersi del confronto tra i paladini della qabbalah eretica e della qabbalah classica; e c’è senz’altro da aspettarsi che le correnti sottili da esso generate (come già quelle dell’esoterismo tradizionale - vedi 666, cap. 5 della terza parte) verranno convogliate nella preparazione del Quinto Rituale Maggiore.

 

  Daniele Mansuino

 

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