Riflessioni sull'Esoterismo
di Daniele Mansuino
Massoneria e fascismo
Novembre 2010
Fin dai giorni del Gran Maestro Giuseppe Garibaldi, nelle file dei partiti di sinistra i Massoni erano sempre stati numerosi: radicali, liberaldemocratici, repubblicani e socialisti erano usi ritrovarsi nelle Logge per appianare i conflitti e elaborare linee d’azione comuni.
Ma nel primo scorcio del ventesimo secolo, l’aggravarsi delle condizioni economiche e la brutale repressione delle proteste dei lavoratori determinò una radicalizzazione della lotta di classe. In seno al partito socialista, l’ala massimalista (rivoluzionaria) crebbe rapidamente, infiammata dagli articoli di un promettente direttore dell’Avanti ! non ancora trentenne, il cui nome era Mussolini; poteva anche annoverare tra le sue file giovani intellettuali rivoluzionari di eccezionale levatura, come ad esempio il napoletano Amadeo Bordiga.
La loro analisi della funzione della Massoneria in Italia prendeva le mosse dalla lettura marxista dei rapporti tra struttura e sovrastruttura: le forme associative riflettono i rapporti di produzione, la natura del contenitore è determinata dal contenuto. Considerando l’influenza esercitata dalla Massoneria sulla politica risorgimentale e postunitaria, erano giunti alla conclusione che le sue attività fossero funzionali alla conservazione del potere borghese.
Secondo la mia personale opinione, l’aspetto più discutibile di questa analisi non consiste tanto nel fatto che prende in considerazione la Massoneria solo ed esclusivamente nel suo aspetto di forza sociale (sarebbe lecito attendersi qualche ulteriore distinguo dai marxisti di oggi, ma non di certo a quei tempi e in quel contesto politico), quanto nel fatto che disconosce un aspetto basilare della Massoneria : quello di essere non un fenomeno storico a se stante, bensì un’espressione transitoria del fenomeno esoterismo (che è a sua volta soltanto un aspetto del plurimillenario processo storico da me descritto nell’articolo Esoterismo e comunismo).
Dal punto di vista della dialettica hegeliana, c’è molto da eccepire riguardo alla correttezza del procedimento di limitare l’analisi storica solo a quel tratto di essa che ci fa più comodo : Lukàcs sicuramente lo avrebbe rigettato senza esitazione, e così pure la scuola di Francoforte. Per questo io ho fede che un giorno o l’altro, nel marxismo di domani, l’irragionevole condanna nei confronti della Massoneria sarà corretta ; ma un secolo fa non se ne parlava neanche lontanamente, anche perché – bisogna ammettere – nel Partito Socialista di allora la coincidenza tra militanza massonica e posizioni riformiste era quasi totale.
I riformisti, che tradizionalmente erano la maggioranza, controllavano tutte le posizioni del potere nel partito, negando sistematicamente tanto il ricorso alla violenza quanto l’avallo ad ogni forma di rivendicazione estrema. Questa politica non pagava : l’emorragia degli iscritti era costante, di pari passo con il rimpianto dei massimalisti di non poter sfruttare quelle che essi consideravano ghiotte occasioni rivoluzionarie.
I primi tentativi di dichiarare l’incompatibolazione tra appartenenza al partito e Massoneria non ebbero successo, ma crebbero di intensità con l’avanzata della corrente massimalista, fino al fatidico Congresso del 1914.
Il dibattito che si tenne, il 27 aprile di quell’anno, nel teatro Vittorio Emanuele II di Ancona fu aspro e tumultuoso fin quasi ai limiti dello scontro fisico. Contro l’incompatibilità si pronunciarono valenti oratori quali Giacomo Matteotti e l’avvocato sanremese Orazio Raimondo ; ma i giochi in pratica erano già fatti, perché Mussolini – oltre al sostegno dei massimalisti – poteva contare anche su “franchi tiratori” dell’ala riformista, molti dei quali motivati da scrupoli religiosi.
Alla fine, l’incompatibolazione prevalse con 27.378 voti su 34.152 : i socialisti che volevano restare Massoni furono espulsi dal Partito. “Soltanto, noi avremmo voluto” commentò salacemente L’Asino di Galantara e Podrecca “che avesse fatto seguito una dichiarazione di incompatibilità per le pratiche religiose…”
I primi effetti negativi di questa svolta si videro presto, quando l’uscita in massa dei socialisti dalla Massoneria si rivelò determinante nel rimuovere ogni ostacolo alla presa di posizione del GOI in senso interventista ; ancora oggi c’è chi afferma che, se si fosse pronunciato contro, difficilmente l’Italia sarebbe entrata nella Grande Guerra.
Dopo la fine delle ostilità, i Massoni interventisti si sentivano nella posizione ideale per mettere a frutto il capitale politico della loro scelta. Nella famosa riunione di Piazza San Sepolcro del 9 marzo 1919 a Milano, nella quale furono fondati i Fasci di Combattimento, se ne ritrovano almeno una trentina, ed è tuttora dibattuto il ruolo che essi ebbero nell’esperimento – del tutto nuovo in Italia e nel mondo, fatta eccezione per alcune “rivoluzioni” latinoamericane – di coniugare un programma sociale di taglio proletario con il nazionalismo più spinto.
Un tratto che né la destra né la sinistra hanno avuto mai interesse a sottolineare (ma che risulta abbastanza chiaro dalla lettura dei documenti dell’epoca) è che quei socialisti che avevano aderito al fascismo antemarcia non supponevano affatto di tradire la causa del proletariato. Solo quei pochi che conoscevano bene il marxismo furono in grado di distinguere l’errore fin dall’inizio (dovunque tu andrai porterai rovina, aveva gridato Matteotti a Mussolini nella riunione del 27 aprile) ; chi invece aveva scelto di andare coi fascisti si illuse ancora a lungo che l’aggiunta dell’ingrediente nazionalista al calderone delle agitazioni sociali non fosse altro che un plusvalore destinato ad accelerare l’avvento della rivoluzione.
La maggior parte dei Massoni “sansepolcristi” si sarebbe staccata assai presto dal Fascismo, e solo uno - Roberto Farinacci – sarebbe col tempo divenuto un gerarca di rilievo. Questo non toglie che ben trenta Massoni presenti a una riunione a cui, secondo le testimonianze più attendibili, non presero parte più di una quarantina di persone sia un numero stranamente elevato, e purtroppo non mancano gli indizi che la loro partecipazione non fu il frutto di iniziative individuali ; tesi confermata a più riprese anche dal futuro Gran Maestro Domizio Torrigiani, secondo il quale il patrocinio di autorevoli esponenti del GOI sarebbe stato fondamentale nella genesi del Fascismo.
Probabilmente il disegno dei Massoni che diedero l’avvio a questa sciagurata avventura era quello di connotare la nascente “destra sociale” in senso anticlericale. Le rapide mutazioni del panorama politico innescate dalla guerra avevano messo in crisi il preesistente fronte laico di origine risorgimentale, e la riapparizione dei cattolici organizzati sulla scena politica avevano innescato in seno alla Massoneria notevole allarme.
I “popolari” di Don Sturzo, per quanto vicini ai Massoni sul piano delle rivendicazioni sociali, non potevano rivestire agli occhi del Grande Oriente altri panni se non quelli di un pericoloso nemico : la scomunica della Massoneria e un secolo abbondante di conflitti tra liberali e cattolici rendevano impossibile ogni dialogo. Ancora per alcuni anni, quando ormai il Fascismo si era già affermato, molti Massoni avrebbero commesso l’errore imperdonabile di chiudere gli occhi sulle violenze ai danni dei cattolici, nella speranza che il loro tacito sostegno inducesse Mussolini a non abbandonare le premesse anticlericali del Fascismo.
Malgrado ciò, era fatale che l’attrazione tra Fascismo e Massoneria finisse presto. Il passo del programma sansepolcrista che chiedeva il sequestro di tutti i beni della congregazioni religiose e l’abolizione di tutte le mense vescovili attirò nei primi tempi migliaia di Massoni, ma la fase delle violenze contro le organizzazioni dei lavoratori – che seguì ben presto – avrebbe fatto sì che il loro numero si riducesse, nei primi anni venti, a poche centinaia.
Un’appendice dell’idillio fu propiziata senza dubbio dall’Impresa di Fiume, che vide tra i suoi protagonisti – a fianco del martinista Gabriele D’Annunzio – il massone Alceste De Ambris : significative a questo proposito le connotazioni ideologiche dell’Impresa, proclamanti l’illusione della possibilità di un potere politico sgorgante non dal denaro, ma dalle risorse del valore individuale. Il sogno andò avanti quanto bastava per garantire a Mussolini una nuova ondata di “nazionalismo proletario” da arruolare nelle sue file.
Il 19 ottobre del 1922, una settimana prima della Marcia su Roma, il Gran Maestro Torrigiani diramò una circolare in cui il Fascismo era giustificato come rivolta necessaria e approvato quale liberazione dalla confusione in cui versava il Paese.
Torrigiani, in realtà, era già stato confidenzialmente avvertito che tra gli obbiettivi del nascituro regime era compreso anche lo smantellamento delle Logge. La tattica che si proponeva di seguire era di ostentare verso il Fascismo un consenso chiassoso e superficiale, nella speranza di togliere all’avversario ogni pretesto.
La circolare, tuttavia si concludeva con un fiero avvertimento ai fascisti : se si sopraffacesse la libertà, o se si menomassero le libertà singole, tutte essenziali, se si imponesse una dittatura, un’oligarchia, tutti i Liberi Muratori sanno quale sarebbe il loro dovere : sanno che queste sono cose sacre per le quali la nostra tradizione gloriosa insegna che si può vivere e si può morire.
Il 15 febbraio 1923, il Gran Consiglio del Fascismo decretò l’incompatibilità tra iscrizione al PNF e appartenenza massonica. In quella occasione, si astennero dal voto quattro ex-massoni : Alessandro Durdan, Giacomo Acerbo, Italo Balbo e Cesare Rossi – non Farinacci, che aveva ormai identificato la sua futura base politica negli squadristi insoddisfatti della “normalizzazione”, e nemmeno gli altri sette ex-massoni membri del Consiglio.
Parecchi Massoni fascisti si ribellarono apertamente a questo diktat ingiusto. Il Generale Luigi Capello, già comandante del fronte sull’Isonzo, dichiarò con fierezza che avrebbe continuato a frequentare il Tempio, sfidando Mussolini a venire a ritirargli la tessera ; per il momento, nessuno osò toccarlo.
Nella primavera del 1924 cominciarono a registrarsi le prime bastonature e i primi attacchi alle Logge. Soprattutto i Massoni toscani apparvero fin da allora nel mirino del regime, ma analoghi episodi si verificarono in ogni parte d’Italia : Milano, Bologna, Venezia, Perugia, Foligno, Spoleto, Forlì, Bari, Taranto, Andria, Narni, Termoli, Monteleone, San Severo.
Ormai privi di illusioni riguardo alla possibilità di controllare il mostro alla cui insorgenza avevano involontariamente contribuito, i parlamentari massoni ascesero sull’Aventino e contribuirono alla creazione delle prime strutture della resistenza antifascista ; Mussolini rispose liberando da ogni freno le sue squadre, e il sangue dei Massoni prese a scorrere copiosamente. Il Generale Capello organizzò squadre armate di vigilanza aventi il compito di montare la guardia ai Templi di notte.
Il 16 maggio 1925 fu presentata dai fascisti alla Camera una “legge sulla regolarizzazione delle società segrete”. Sebbene i giornali l’avessero subito ribattezzata “legge contro la Massoneria”, i suoi fini erano più ampi : mirava a costringere tutte le associazioni private a porsi sotto l’egida e il controllo del regime. Pur non essendo neanche nominata nel testo, la Massoneria non aveva di fatto alcuna possibilità di potersi conformare alle sue rigide restrizioni.
Assai maldestramente, l’ala destra del movimento fascista aveva tentato di introdurre nel testo della legge prescrizioni retroattive che avrebbero consentito di castigare i Massoni più duramente ; ma non c’erano riusciti, né avrebbero mai potuto riuscirci se si considera che tra i fascisti ex-massoni c’erano – oltre ai già citati Farinacci, Balbo e Rossi – gerarchi del calibro di Arpinati, Giuriati, Starace e Barbiellini Amidei.
Il più illustre tra quanti levarono la loro voce contro la “legge sulla regolarizzazione delle società segrete” fu Antonio Gramsci, che ad essa dedicò il suo unico intervento parlamentare. Già in quel tempo si trovava in cattive condizioni di salute, e il suo discorso venne disturbato dal principio alla fine (veramente notevoli per spessore drammatico e culturale sono un paio di suoi brevi battibecchi con Mussolini, diligentemente trascritti nel verbale della riunione) ; eppure con indomita volontà riuscì a portarlo a termine, strappando applausi anche a numerosi avversari.
Purtroppo, in linea con la tradizione leninista del suo tempo, l’intervento di Gramsci palesa l’incomprensione più totale nei confronti del fenomeno Massoneria. Nella sua visione, la corrispondenza tra Massoneria e borghesia era assoluta (la Massoneria è stata l’unico partito reale e efficiente che la classe borghese ha avuto per lungo tempo), e su di essa un po’ ingenuamente fece leva per cercar di attirare sulla legge il dissenso della coalizione moderata che sosteneva Mussolini : poiché la Massoneria in Italia ha rappresentato l’ideologia e l’organizzazione reale della classe borghese capitalistica, chi è contro la Massoneria è contro il liberalismo, è contro la tradizione politica della borghesia italiana.
Proseguì affermando che la “legge sulle associazioni” costituiva una tappa della faida tra borghesia rurale, sostenuta in quel momento dal Fascismo, e borghesia progressista urbana (la prima istintiva e spontanea parola d’ordine del fascismo , dopo l’occupazione delle fabbriche, è stata perciò questa : i rurali controlleranno la borghesia urbana, che non sa essere forte contro gli operai) e previde in sostanza che, al termine di questo transitorio regolamento di conti, la Massoneria sarebbe diventata un’ala del fascismo. Anche su questo sbagliava.
Tra la sorpresa generale, il giorno della prima presentazione la legge non potè essere votata per mancanza del numero legale ; perfino Farinacci, l’ispiratore delle sanguinose scorrerie ai danni dei Massoni, dopo essere stato presente in aula tutto il giorno trovò modo di allontanarsi al momento del voto. Ci vollero ben tre giorni per mettere insieme la quantità necessaria di recalcitranti onorevoli, e le gravi difficoltà incontrate dai fascisti convinsero molti che la legge non sarebbe mai passata al Senato, dove i Massoni erano ancora più numerosi.
L’anno massonico 1924-25 si concluse regolarmente, anzi in un clima di grande partecipazione e fervore. Fu tuttavia stabilito che la riapertura autunnale dei lavori sarebbe stata dilazionata a dopo il dibattito in Senato, previsto per novembre.
Purtroppo, i fascisti erano ben decisi a creare le condizioni perché la brutta figura rimediata alla Camera non si ripetesse. Lasciarono trascorrere l’estate, poi decisero di mettersi in azione.
La tarda sera del 25 settembre 1925, tutte le squadre di Firenze si coordinarono in quello che fu un vero e proprio pogrom antimassonico. Secondo Manlio Cancogni, si trattò della più atroce di tutte le imprese criminose compiute dagli squadristi in quell’anno, lasciando uccise forse il doppio delle quattro persone che risultarono ufficialmente.
L’obbiettivo primario delle squadre era la casa dell’anziano Maestro Venerabile Napoleone Bandinelli, che in qualità di Presidente del Consiglio Circoscrizionale della Toscana custodiva in casa sua l’elenco di tutti i Massoni.
Con lui si trovava quella sera un altro Fratello : l’impiegato Luigi Becciolini, già volontario di guerra. Era uno dei fondatori della prima organizzazione antifascista, Italia Libera.
Quando i fascisti arrivarono, sorpresero i due intenti alla stesura di un Verbale di Loggia. Becciolini, più giovane, affrontò gli assalitori impugnando una pistola, consentendo al suo Venerabile di porsi in salvo sul tetto. Strappatagli di mano l’arma, fu trascinato nella sede del Fascio fiorentino e sottoposto a sevizie indicibili per tutta la notte.
Il mattino seguente, il suo cadavere orribilmente straziato venne esposto - come monito alla folla - ai Mercati Centrali.
Aveva 26 anni. Tre giorni prima della sua tragica fine, aveva scritto al Fratello Menotti Baldini: "Qui le cose non vanno troppo bene, come saprai. Ci vuol pazienza, fino a che questa non scappa una volta per sempre e allora non sarà cambiato sistema. Tutto ha un limite, nelle cose umane. E tutto passa. L'idea sola rimane a tutto ed a tutti sopravvivendo, perché elevata a generatrice di bontà e di generosità".
Osserva il sito del Rito Simbolico Italiano : “Vi è purtroppo, tra gli storici contemporanei della Massoneria italiana, una sorta di pudore autocensorio nel ricordare che le squadre fasciste di Firenze (…) erano agli ordini dell'ex Massone e Scozzese del GOI Tullio Tamburini, come se la leggenda di Hiram e dei malvagi compagni non fosse un monito e un mito che si rinnova continuamente (…).
Anche per la dolente rievocazione letteraria fattane da Vasco Pratolini nel romanzo “Cronache di poveri amanti” (Vallecchi, Firenze, 1947) sono ben note le pagine più macabre di quel pogrom. Vi rimasero uccisi, oltre a Becciolini, i Massoni Gaetano Pilati, ex deputato socialista e mutilato di guerra, e l'avvocato Gustavo Consolo, mentre nella stessa notte veniva data alle fiamme, nella vicina San Baronto, la villa del Gran Maestro del GOI Domizio Torrigiani.”
Gaetano Pilati, Medaglia d’argento al Valor Militare, fu sorpreso mentre dormiva e crivellato di revolverate nel letto. Prima di chiudere gli occhi per sempre, sorrise alla moglie e mormorò : “gli Austriaci mi hanno mutilato, gli Italiani mi hanno ucciso”.
Nella notte tra il 3 e il 4 ottobre, dopo giorni di violenze, il ministro degli interni Luigi Federzoni telegrafò ai prefetti : “...est necessario sospendere campagna antimassonica dai giornali fascisti, la quale di fronte all’atteggiamento subdolamente ostile della setta ha assunto recentemente carattere di estrema vivacità.”
In seguito ai fatti di Firenze, Domizio Torrigiani prese la decisione di scogliere tutte le Logge all’obbedienza del Grande Oriente sul territorio italiano. L’opportunità di questa decisione è tuttora oggetto di controversia, ma prevalgono i giudizi positivi : in virtù dell’autoscioglimento il GOI non ricadeva più sotto la legge sulle associazioni, quindi tutti i provvedimenti adottati in seguito contro di lui furono abusi non solo etici ma anche giuridici. Questo cavillo si sarebbe poi rivelato molto utile in numerosi processi.
All’inizio di novembre, un vero colpo di fortuna per i fascisti fu l’arresto del Generale Capello, con l’accusa (probabilmente veritiera) di complicità nell’attentato a Mussolini di Tito Zaniboni. Nei giorni successivi, la stampa diede ampio risalto alla sua qualità di Massone, riprendendo anche le vecchie e infondate accuse circa una sua responsabilità nella disfatta di Caporetto ; le due cose vennero messe insieme, per suggerire ai lettori di giornali l’esistenza di un complotto massonico volto alla rovina dell’Italia.
Sull’onda del furore così attizzato, non mancò chi propose l’istituzione della pena di morte per gli antifascisti responsabili di fatti di sangue (il Generale fu poi condannato a trent’anni).
I Senatori capirono l’antifona. Il 20 novembre la legge sulle associazioni fu approvata con 182 voti a favore e 10 contro. Caso che fece molto scalpore (a quei tempi, non lo farebbe certo oggi) : le dichiarazioni di voto contrario erano state solo quattro. Sei sconosciuti amici dei Massoni avevano fatto i “franchi tiratori”, per comprovare di fronte ai posteri l’illegalità delle pressioni subite.
La lunga notte della Massoneria era cominciata. Nei giorni successivi, tutte le case massoniche italiane vennero occupate, e il materiale che vi venne rinvenuto fu sequestrato o distrutto. Non si contarono le ruberie, con la sparizione di oggetti preziosi e cimeli storici.
Il Grande Oriente, sebbene sciolto in Italia, continuava l’attività - per mezzo di Officine alla sua obbedienza - in sei Paesi europei, in Africa e nelle Americhe. A norma di statuto queste non potevano concorrere alla nomina del Gran Maestro, e quando poco dopo l’astuto Torrigiani rassegnò le dimissioni non fu tecnicamente possibile designare il suo successore : in questo modo il GOI era tutelato contro eventuali tentativi di usurpazione da parte dei fascisti, e a livello statutario risultava letteralmente inscioglibile.
Le dimissioni da Gran Maestro non valsero tuttavia a Domizio Torrigiani l’impunità. Venne arrestato nel 1927, al ritorno da un viaggio in Francia, dove i Massoni italiani in esilio si prodigavano – con l’aiuto dei Fratelli francesi – per l’accoglienza e l’assistenza ai fuoriusciti.
Confinato dapprima a Lipari e poi a Ponza, le pesanti condizioni detentive determinarono l’insorgenza di una grave malattia. Nel 1932 gli fu concesso di andare a morire in ciò che restava della sua villa di San Baronto, all’età di 56 anni.
La “tradotta” massonica tra l’Italia e la Francia continuò a funzionare senza interruzione per tutta la durata del regime, saldandosi poi senza soluzione di continuità con la lotta partigiana.
Ho fatto in tempo a conoscere un anziano Massone che ne aveva fatto parte. Un mattino dei primi anni ottanta il Presidente Sandro Pertini, di passaggio in Liguria, fece fermare l’auto presidenziale davanti a casa sua per andarlo a riabbracciare.
Daniele Mansuino
Altri articoli di Daniele Mansuino
Daniele Mansuino offre gratuitamente il suo Ebook:
Scaricalo nel formato PDF > 666
Libri pubblicati da Riflessioni.it
RIFLESSIONI SUL SENSO DELLA VITA 365 MOTIVI PER VIVERE |
|