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Pier Paolo Pasolini
Biografia
Pier Paolo Pasolini nacque a Bologna nel 1922. Seguì il padre, che era militare di carriera, nei suoi trasferimenti. Frequentò però il liceo e l'università a Bologna, dove ebbe maestri Contini e Longhi e frequentò Leonetti e Roversi, e dove si laureò in Lettere con una tesi sul linguaggio del Pascoli, nel 1945. Trascorreva le estati a Casarsa, nel Friuli, luogo d'origine della madre; e là si era rifugiato dopo l'8 settembre 1943, per sottrarsi alla chiamata di leva. In friulano compose i suoi primi versi, Poesie a Casarsa (1942), poi editi con altri testi friulani in La meglio gioventù (1958). Nel 1945 ebbe la notizia che il fratello Guido era stato ucciso in un conflitto a fuoco fra due gruppi partigiani di diverso orientamento politico. Nel 1947 si iscrisse al Partito Comunista. Avviatosi alla carriera dell'insegnamento, vicino a Casarsa, venne allontanato dall'insegnamento e poi anche espulso dal PCI in seguito a un oscuro episodio di omosessualità che sfociò in un processo per corruzione di minori. È questo il primo di una lunga serie di processi (oltre 30) che diedero a Pasolini la coscienza della propria diversità e ne segnarono il destino (e anche il ruolo pubblico, che egli si ritagliò) di emarginato e ribelle.
In seguito allo scandalo nel 1949 dovette lasciare Casarsa, assieme alla madre (i rapporti con il padre si erano già deteriorati), e si trasferì a Roma, stabilendosi dapprima in una borgata e vivendo di lezioni private e dell'insegnamento in una scuola privata. La scoperta del mondo del sottoproletariato romano gli ispirò - oltre ad alcuni dei versi contenuti nelle Ceneri di Gramsci (1957) e nella Religione del mio tempo (1961), che seguivano quelli dell'Usignuolo della Chiesa cattolica (ma degli anni 1943-1949, e cioè anteriori alle Ceneri) - soprattutto i romanzi Ragazzi di vita (1955) e Una vita violenta (1959), che fecero scandalo, ma lo avviarono al successo letterario. Con gli antichi compagni d'università Leonetti e Roversi, fondò e diresse dal 1955 al 1959 la rivista «Officina», che vide fra i collaboratori Fortini, Volponi e altri importanti critici e letterati militanti.
Cominciava intanto la sua attività nell'ambito del mondo cinematografico: collaborò ad alcune sceneggiature (anche per Le notti di Cabiria di Fellini), quindi a partire dal 1961 diresse numerosissimi film, da Accattone a Uccellacci e uccellini, da Edipo re a Teorema, da Medea al Decameron. Molti di questi film fecero scandalo, come i romanzi, e in qualche caso costarono a Pasolini processi e condanne.
Negli anni Sessanta pubblicò ll sogno di una cosa (un romanzo scritto nel 1949), scrisse alcune tragedie, altri versi (Poesia in forma di rosa, 1964; Trasumanar e organizzar, 1971) e svolse un'intensa attività di critico militante su vari giornali e riviste (fra l'altro diresse con Moravia e Carocci «Nuovi Argomenti»), attività che, dopo la raccolta Passione e ideologia (1960), sfociò in numerosi volumi, in parte usciti postumi: da Empirismo eretico (1972) e Scritti corsari (1975) a Descrizioni di descrizioni (1979). Morì assassinato a Ostia in circostanze oscure nel 1975.
Società dei consumi e omologazione
Il progressivo affermarsi in Italia di comportamenti e valori tipici della civiltà dei consumi è stato esami 'nato da Pisolini; a metà degli anni Settanta, con appassionata attenzione in una serie di interventi giornalistici che per la radicalità di certi giudizi hanno suscitato vivaci e frequenti polemiche. Pasolini vede nella spirale dei consumi basata su bisogni artificiosamente creati, nello "sviluppo" mitizzato dalla società contemporanea, un meccanismo che stritola culture e valori differenziati da secoli e rende gli esseri umani identici e interscambiabili in un processo di omologazione.
Via via che egli le formulava sulla stampa, le tesi di Pasolini hanno suscitato accesi dibattiti, e certamente sono per molti aspetti discutibili. Noi abbiamo riportato questi testi anzitutto per testimoniare un aspetto del dibattito dei primi anni Settanta.
È certo comunque (questa la nostra opinione) che - al di là di certe volute paradossalità o delle strumentalizzazioni in senso reazionario alle quali talora si prestano - scritti di questo genere hanno avuto un merito: quello di far riflettere sulle contraddizioni della società in cui viviamo e sull'alto prezzo - in termini di valori umani - che comporta il mitizzato "sviluppo".
Tra lirismo e impegno civile
L'itinerario poetico di Pier Paolo Pasolini è complesso e anche contraddittorio, ricco di esperienze linguistiche e stilistiche diverse, di tensioni, di suggestioni accolte e di polemici rifiuti. Pasolini in quest'epoca si impose una difficile sintesi di lirismo e poesia civilmente impegnata, di cui sono testimonianza le raccolte Le ceneri di Gramsci (1957) e La religione del mio tempo (1961). Dalla prima raccolta riproduciamo la seconda parte del lungo poemetto Il pianto della scavatrice, in cui il poeta rievoca il suo primo impatto col mondo sottoproletario delle borgate romane.
Emarginazione e impegno. Pasolini, scrive questo testo sul finire degli anni Cinquanta, proprio negli anni cioè della crisi del neorealismo e del ritorno all'intimismo e al privato. Qui, come ne: Le Ceneri di Gramsci e in qualche altro testo coevo, la difficile operazione di restituire alla poesia una funzione civile, senza per questo trascurare la propria vita e storia interiore, fatta di pulsioni anche violente e confuse e di tensioni e lacerazioni profonde, dà i suoi frutti forse migliori. La rievocazione del proprio approdo alle borgate romane, dopo la drammatica separazione dal mondo friulano vagheggiato (anche nei versi dialettali de La meglio gioventù) in quanto depositario di una cultura arcaica ancora intatta, si fonde naturalmente con la rappresentazione (accusatoria) della desolazione e degradazione dell'ambiente suburbano e con l'assunzione del sottoproletariato a possibile forza traente della storia. Quello che qui si coglie in atto è un processo di mitizzazione del sottoproletariato urbano, processo analogo e opposto a quello di mitizzazione della società rurale arcaica dell'infanzia friulana. A legare i due mondi è forse proprio il dato della comune marginalità (che nella gente di borgata è vera e propria emarginazione) rispetto ai grandi movimenti innovatori della storia (il capitalismo e il neocapitalismo, ma anche il marxismo ortodosso: di questi anni è l'invasione dell'Ungheria), contro cui Pasolini assume sempre una posizione fortemente critica e provocatoria (talora confusamente, talaltra lucidamente critica e provocatoria). Ma è da notare, anche a giustificazione dell'esito artistico del poemetto, che questa comune marginalità dei due mondi si fonde con il senso di personale emarginazione, che costituisce uno dei nodi fondamentali del vissuto e della riflessione pasoliniana e che Pasolini in qualche misura coltiverà anche quando - dopo i processi e gli scandali - gli arriderà il successo, come scrittore, uomo di cultura e cineasta.
Usignolo della Chiesa cattolica (1943 - 1949, dove simbolismo, ermetismo, manierismo, barocco e vari altri modelli culturali facevano sentire il loro influsso). Pasolini aspira ora a una poesia che fonda elementi narrativi, lirici e argomentativi, una poesia che anche da questo punto di vista sia espressione della propria passione e della propria ideologia (Passione e ideologia è il titolo di una raccolta di saggi pubblicata in questi medesimi anni). È pure significativo, sul piano critico, che egli veda nel Pascoli, cui deve il modello novecentesco della terzina "dantesca", il poeta chiave del rinnovamento poetico del secolo.
Ragazzi di vita
Un quadro corale di vita plebea nei sobborghi romani.
La definizione del critico Pullini ben coglie la particolare natura di Ragazzi di vita: non romanzo in senso proprio (manca un protagonista, un vero e proprio intreccio, una struttura organica), ma serie di scene sostanzialmente autonome. Attraverso di esse, Ragazzi di vita offre una cruda testimonianza della vita nelle borgate romane tra la fine della seconda guerra mondiale e l'inizio degli anni cinquanta. Se osservato attraverso i parametri delle convenzioni romanzesche, il romanzo può effettivamente apparire privo «di spina dorsale» (Pullini); occorre però innanzitutto tener conto del fatto che l'ispirazione del libro è più saggistico-documentaria che propriamente narrativa. Inoltre è lecito pensare che Pasolini abbia conferito al libro una struttura volutamente "aperta" proprio perché rispecchiasse realisticamente il "ritmo" anarchico della vita dei suoi "eroi" (attaccando così le convenzioni romanzesche anche sul piano strutturale, oltre che, come vedremo, linguistico).
Tipologia dei personaggi
"che hanno nel gruppo di sbandati di cui fanno parte (il Lenzetta, il Piattoletta, il Riccetto), quasi a sottolineare la separatezza del mondo dei "ragazzi di vita" dal corpo sociale. Legati ad una dimensione di pura "fisicità", essi si muovono spinti sempre da esigenze elementari, addirittura biologiche (il cibo, il sesso), non hanno una coscienza, men che meno politica, sono pura energia vitale. Vivendo alla giornata, di espedienti, incorrono in continue avventure, ora comiche, ora grottesche, ora tragiche. Neppure queste ultime però lasciano il segno su di loro: sospinti da una esuberante energia, essi vengono riassorbiti dal ritmo della loro vita vagabonda, disperata e insieme allegra. Sono personaggi elementari che si esprimono esclusivamente nell'azione (in cui mettono in mostra la loro animalesca agilità) o nel dialogo assai scarno, spesso ridotto a insulto gridato, che accompagna le loro scorribande. Assai di rado l'autore ne illumina qualche tratto interiore, facendo affiorare qualche "sentimento", che riguarda per lo più l'indulgente protezione dei più piccoli e la tenerezza verso gli animali (la rondinella del cap. I, il cagnolino di Marcello). Nessuno dei "ragazzi di vita" conosce una reale evoluzione, una crescita interiore: essi restano legati per tutto il romanzo ad una fanciullesca ignoranza, a un'esistenza «aurorale» (Ferretti), preculturale e in un certo senso addirittura presociale. Infatti il loro mondo non comunica con l'"esterno" (cioè con la società e con la storia) e lo stesso gergo ristretto in cui si esprimono sottolinea questa separatezza. Quando qualcuno di essi entra a far parte del mondo degli "altri" (gli adulti, la gente che lavora) cessa di interessare l'autore. È emblematica in questo senso la sorte che Pasolini riserva al Riccetto, il personaggio più importante del romanzo. A partire dal capitolo quinto, l'autore lo sospinge dal primo piano sullo sfondo, in un certo senso lo emargina, relegandolo al ruolo di spettatore estraneo, quasi di intruso. Significativamente poi, alcuni personaggi adolescenti muoiono prima di entrare nella vita adulta (Marcello, Genesio).
L'ideologia del romanzo
La tematica cui si è fatto riferimento è indubbiamente in relazione con l'ideologia che sottende il romanzo, ed in particolare con la visione mitica, astorica che Pasolini ha del popolo: «attratto da una vita proletaria /... è per me religione / la sua allegria, non la millenaria / sua lotta: la sua natura, non la sua coscienza») (così scrive ne Le ceneri di Gramsci). Alla degenerazione della società borghese Pasolini contrappone la primitiva sanità del popolo, che, nei suoi strati più bassi (il sottoproletariato) gli appare ancora immune dagli pseudovalori e dagli snaturanti schemi di vita borghesi (o addirittura "civili": si veda la citazione di Tolstoj sul popolo come "grande selvaggio" preposta al quarto capitolo). E proprio l'adesione viscerale (e non certo politico-razionale) all'istintualità vitalistica, all'esistenza "vergine" dei suoi "ragazzi di vita" che spinge lo scrittore a rinchiuderli in una sorta di limbo immobile, da cui qualsiasi svolgimento e qualsiasi dialettica interna sono programmaticamente esclusi, tanto più che in Ragazzi di vita il mito dello stato di natura si intreccia con quello, tipicamente pasoliniano, della fanciullezza.
Tecniche narrative
Ragazzi di vita può dare al lettore l'impressione di una caleidoscopica, persino caotica, varietà di situazioni e azioni, osservando più da vicino gli otto capitoli che costituiscono il romanzo, non è difficile rintracciarvi una scaltrita strategia narrativa, che tende ad impostare l'azione su uno schema ricorrente. È infatti sempre una ricerca di denaro da parte dei ragazzi (perennemente affamati ed in bolletta) ad avviare l'azione; tale ricerca (di solito attraverso un furto) raggiunge il suo obiettivo, ma il risultato è poi sovente vanificato da una improvvisa perdita, che ripristina le condizioni di partenza. A ciò può seguire un nuovo ribaltamento che assicura un insperato risarcimento (cap. in). Questo tipo di procedimento non manca certo di illustri precedenti nella tradizione letteraria (Boccaccio, Ariosto ad esempio) ed anche lo sfondo notturno degli episodi più dinamici, è frequentemente presente nella tradizione novellistica e romanzesca. In Ragazzi di vita la rappresentazione del paesaggio ha notevole rilevanza e riveste diverse funzioni: anzitutto quella di costruire lo sfondo realistico delle vicende. il narratore insiste allora costantemente sui tratti più squallidi, degradati della periferia romana, dove domina incontrastata la «zozzeria»: «Valanghe d'immondezza, case non finite e già in rovina, grandi sterri fangosi, scarpate piene di zozzeria». L'aggettivazione, scarna e incisiva, ha un ruolo privilegiato nel definire questo tipo di realtà, come in questi esempi: scarpate «putride e bruciate», lotti «scrostati e sporchi», loggia «acciaccata e cadente», praticelli «tozzi», finestrine «luride», tram «scassati», selciati «sconnessi». Per contro è assai frequente nel romanzo la presenza di squarci paesaggistici intensamente lirici, che rallentano il ritmo narrativo in pause distese. Si veda ad esempio il luminoso paesaggio che riflette la gioia del Riccetto per essersi impadronito del malloppo del «napoletano» o la rappresentazione della notte stellata durante l'episodio dell'incontro con Amerigo. Un vero pezzo di bravura è la raffigurazione, tra lirica ed ironica, della notte nell'orto dove avverrà il furto di cavoli. L'ambigua natura del paesaggio in Ragazzi di vita cui si è fatto ora riferimento rimanda all'ambiguità stessa del narratore (per la quale si vedano le note seguenti).
Una lingua sperimentale
In un intervento di poco posteriore a Ragazzi di vita, Pasolini teorizzava la necessità, per lo scrittore che volesse lasciar "parlare le cose", di attuare una operazione regressivo-mimetica, il che vuol dire sostanzialmente abdicare alla propria identità socio-culturale e linguistica di autore colto per lasciar posto alla voce diretta del parlante (popolare). Da qui la massiccia introduzione in Ragazzi di vita del dialetto, o meglio del gergo (scelta linguistica che, nel caso di Pasolini presuppone sul piano ideologico una completa immedesimazione nel popolo). Il gergo delle borgate (ricostruito con filologica precisione) regna incontrastato nei dialoghi, ed è modulato sull'insulto gridato e sul turpiloquio con un'insistenza che rischia di creare monotonia: alla sola p. 22 ad esempio la locuzione gergale «li mortacci...» è ripetuta ben sei volte. Nella voce narrante invece (che racconta le vicende e che arricchisce via via di notazioni psicologiche gli scarni dialoghi), l'autore impiega una contaminazione dialetto-lingua che conosce diversi esiti, da un massimo ad un minimo di vicinanza-regressione alla mentalità-linguaggio dei "ragazzi di vita". In genere l'organizzazione sintattica è in lingua, con imprestiti lessicali dal dialetto-gergo, come in questo esempio: «La folla però cresceva sempre più, premeva contro i cancelli, baccajava, urlava, diceva i morti». Non sempre la contaminazione convince, mettendo a nudo la difficile convivenza di autore "regredito" e autore "colto", come qui: «Pure gli altri assentivano, ridendo, sentendo tutti i loro istinti di fiji de na mignotta che gli rinverdivano in fondo all'anima». Nelle descrizioni paesaggistiche, infine, l'autore opta sovente per un registro linguistico alto, in cui il lirismo, la densità metaforica del lessico, la stessa sintassi (in genere ipotattica), si collocano agli antipodi della mimesi gergale; si veda ad esempio un periodo come questo: «... una luce più che viola era venuta a galleggiare limpida negli spazi delle strade, tra palazzo e palazzo, riverberata fin laggiù da quella specie d'incendio lontano e invisibile, dietro i colli, mentre tra un cornicione e l'altro due o tre civette svolazzavano lanciando qualche strillo».
Fonte: http://digilander.libero.it/letteratura/Novecento/novecento.htm
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