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Marcel Duchamp
L’artista francese Marcel Duchamp (1887-1968) viene considerato uno dei maggiori rappresentanti del dadaismo, benché egli non abbia mai accettato l’appartenenza a questo gruppo. La cosa, conoscendo il personaggio, non stupisce affatto: la personalità di Duchamp è assolutamente impossibile da inquadrare in un qualsiasi schema. Egli, in realtà, è stato uno dei più grandi artisti del Novecento, proprio per il suo modo di essere. Ha, di fatto, costruito un nuovo prototipo di artista da intendersi come intellettuale sempre pronto a proporsi in maniera inaspettata, anche solo per il piacere di essere diverso dal normale. Ha elevato l’anormalità, intesa come rifiuto di qualsiasi norma, a pratica sia di arte sia di vita.
Nato in un paese della Normandia in una famiglia composta da sette figli, insieme ad alcuni fratelli ed una sorella, si avvia alla professione artistica. Sin dall’inizio mostra tuttavia una irrequietezza culturale che lo porta a sommare esperienze in maniera molto eterogenea. Dal 1904 è a Parigi e qui si occupa di cose diverse: esegue caricature per i giornali, si interessa di teatro, gioca a biliardo, lavora presso una biblioteca, viaggia in automobile. Le sue prime esperienze pittoriche mostrano una facilità di assimilazione delle principali novità stilistiche del momento: dal neoimpressionismo al fauvismo, dal simbolismo al futurismo. Ma è soprattutto nell’ambito del cubismo che egli si muove con maggior disinvoltura. Ma nel 1912, il suo quadro «Nudo che scende le scale n. 2» fu rifiutato dal Salon des Indépendants, proprio perché l’opera sembrava più futurista che cubista. Ciò provocò il definitivo distacco di Duchamp dai cubisti.
L’opera, tuttavia, l’anno successivo fu esposta a New York, e qui divenne famosa. Nella capitale statunitense Duchamp vi arriva nel 1915 già preceduto dalla notorietà procuratagli dal «Nudo che scende le scale n. 2». In America entra in contatto con il gallerista Alfred Stieglitz ma soprattutto con Man Ray e con Francis Picabia, quest’ultimo già conosciuto a Parigi.
Duchamp in questi anni diviene soprattutto un operatore artistico, impegnato più come consulente di collezionisti e gallerie che non come artista. La sua attività, pur saltuaria, non perde mai il gusto della provocazione, e l’invenzione dei «ready-made» ne è uno degli esempi più classici. Ma l’attività americana di quegli anni si concretizza soprattutto nella realizzazione del «Grande Vetro», opera alla quale smette di lavorare, lasciandola incompiuta, nel 1923. Da quest’anno egli smette sostanzialmente di fare l’artista.
Nei decenni successivi si dedica soprattutto agli scacchi, partecipando anche a tornei professionistici internazionali. Ma ad un’ultima opera egli si dedica, in assoluta segretezza, per circa venti anni, dal 1946 al 1966: «Etant donnés: 1. la chute d’eau, 2. le gaz d’éclairage». L’opera, enigmatica sin dal titolo, consiste in una porta di legno consunta, dalle cui fessure, sbirciando oltre, si coglie una visione parziale di una ragazza distesa nuda con una lampada a gas in mano. Quest’ultima opera, della cui esistenza si è appreso solo dopo la morte di Duchamp, chiude il percorso di un artista che, con la sua attività, ha continuamente stupito, contribuendo come pochi a definire un concetto totalmente nuovo di arte, la cui eredità sarà colta soprattutto dai diversi movimenti di ispirazione concettuale sorti nel secondo dopoguerra.
fonte: www.francescomorante.it
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