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Tommaso Campanella

(al secolo Giovanni Tommaso)

 

Tommaso Campanella, filosofo (Stilo di Calabria 1568 - Parigi 1639) entrato ancor giovane nell'ordine domenicano; insofferente della disciplina e delle forme stantie di pensiero trasmesse nei conventi calabresi, ben presto si urtò con le autorità ecclesiastiche locali. Di un avvicinamento a Telesio è testimonianza la sua opera Philosophia sensibus demonstrata (1591). Passato a Napoli, subì il suo primo processo per eresia, a cui ne seguirono altri tre. Nel 1599, confinato in un convento, ordì una congiura volta a liberare il Paese dagli Spagnoli e a costituire una repubblica, secondo un programma di riforme che andò via via esponendo nelle sue opere. Fallita la congiura, Campanella venne portato a Napoli e sottoposto a processo: per evitare la pena capitale fu costretto a simulare la follia, ma venne condannato al carcere a vita. Rimase in carcere per ben 27 anni e fu poi liberato dagli Spagnoli nel 1626, portato a Roma e definitivamente rilasciato nel 1629. Riuscì allora a guadagnarsi i favori di Urbano VIII e della corte pontificia, ma ben presto, per le sue simpatie verso la Francia, fu costretto a lasciare l'Urbe e a emigrare in questo Paese, dove fu benevolmente accolto da Luigi XIII e dal Richelieu e dove rimase fino alla morte. Qui egli riuscì a pubblicare alcune sue opere composte in carcere, fra le quali la Philosophia realis (1637), la Philosophia rationalis (1638) e la Metaphysica (1638); altre era già riuscito a farne pubblicare in Germania, come il De sensu rerum et magia (1620).

 

L'UTOPIA POLITICO RELIGIOSA

La chiave d'interpretazione della sua filosofia è da ravvisarsi nel programma di una riforma politico-religiosa, che vagheggia lungo le linee di un'utopia (La città del sole, 1602) e, sul piano storico-pratico, concreta nella visione di un'unità politico-religiosa dei popoli sotto la guida del pontefice romano, cui dovrebbe far da braccio secolare il re di Spagna (Monarchia di Spagna, 1601) o quello di Francia (Monarchia delle Nazioni, 1635). È questo il significato della Città del sole, opera in cui Campanella fissa le linee di uno Stato ideale caratterizzato dalla divisione comunitaria dei beni e dalla professione della religione naturale: da alcuni infatti quest'ultima è interpretata come la vera professione di fede di Campanella, ancorato a un deismo naturalistico che nelle sue restanti opere dissimulerebbe, o almeno lascerebbe coesistere in contraddizione insanabile accanto all'esplicita accettazione della rivelazione cristiana; da altri invece è considerata come l'espressione ipotetica di quel che l'uomo dovrebbe poter raggiungere in uno stato puramente naturale nella sua apertura al dato rivelato, a cui Campanella andrebbe sempre più "convertendosi" nel senso di una piena e ortodossa sua accettazione. A questo programma di riforme è indirizzata tutta la sua filosofia, che si presenta come una vasta enciclopedia del sapere. Campanella muove dal pensiero di Telesio assumendone la visione unitaria e dinamica dell'universo, ma fin da principio egli volge questa tesi a un'interpretazione religiosa dell'universo stesso. Ogni cosa ha un senso immediato di sé (notitia indita, sensus innatus) e attraverso le modificazioni che esso subisce da parte delle altre cose le conosce (notitia addita). Tali modificazioni tendono però a oscurare l'originario senso di sé che da notitia indita si fa notitia abdita (conoscenza oscura alienata) e che deve perciò essere riconquistato: nell'uomo tale senso, presente in tutto l'universo in forma aurorale, giunge a meridiana chiarezza. Il sensus sui o autocoscienza diventa così la chiave d'interpretazione di ogni realtà e punto di partenza per la giustificazione di una metafisica pampsichistica. Contro ogni dubbio esso deve essere riaffermato come certezza assoluta, in cui si dispiegano nella loro purezza i caratteri costitutivi di tutti gli enti: il posse (ossia la potenza d'essere), il nosse (ossia il saper d'essere) e il velle (ossia il voler essere, l'amore per il proprio essere). Questi tre caratteri costitutivi dell'ente in quanto tale possono essere considerati come la traduzione sul piano del finito della Trinità divina.

 

LA CONOSCENZA

Campanella afferma che a Dio ci porta immediatamente la conoscenza di noi, in quanto ci avvertiamo come principiati, e quindi in un certo senso la conoscenza di Dio può dirsi innata: essa però è confermata dalle prove che partono dalla conoscenza delle cose e del loro ordine e della loro perfezione. Le modificazioni del sensus sui debbono essere intese come sue specificazioni, capaci di tutto conoscere in quanto partecipazione dell'essenza divina, che con atto creativo produce l'universo ordinandolo a sé come al suo ultimo fine. Da questo quadro di pensiero si può vedere che il sensismo di Campanella ha un carattere del tutto particolare, perché, se è vero che egli privilegia la conoscenza sensitiva come tipo di conoscenza immediata e piena nei confronti della quale la conoscenza intellettuale teorizzata da Aristotele appare conoscenza generica e confusa, carica il senso di una capacità di penetrazione metafisica del reale che nella filosofia classica in generale non gli era stata riconosciuta. Nell'uomo giunge a chiarezza anche quell'appetizione verso Dio che anima tutto l'universo (in quanto ciascun ente, amando se stesso, ama il suo principio che è Dio): in essa Campanella vede la religione naturale (religio indita) che assume come fondamento di ogni virtù e dalla quale distingue la religione storicamente determinata o religio addita. Fra le varie religioni storiche che debbono essere commisurate alla religione naturale un posto a parte ha il cristianesimo, in quanto non solo assume in sé la religione naturale ma la potenzia alla luce del soprannaturale, al punto di diventare la stessa religione naturale potenziata sul piano della grazia, mediante i sacramenti e i miracoli.

 

IL MONDO CULTURALE DI CAMPANELLA

L'enciclopedia filosofica di Campanella, che ancora comprende scienze come l'astrologia, la medicina e la magia, culmina così in una difesa del cristianesimo e in particolare del cattolicesimo, raggiunta attraverso una sintesi di filosofia, che ha per oggetto le idee divine scritte nel libro della natura indagate col lume naturale, e di teologia, che legge le idee divine nella Bibbia alla luce della grazia e in vista della salvezza. La sua difesa del cattolicesimo d'altra parte è, come abbiamo detto, comandata dalle sue tendenze di riformatore politico-religioso volto a considerare questa religione (opportunamente riformata e liberata dagli abusi che avevano fatto sorgere il protestantesimo) come il germe e lo strumento di quella "rinnovazione del secolo" a cui egli aspira e che si esprime nel suo progetto teocratico.

 

LA POESIA

Durante la prigionia, Campanella compose molte Poesie che sono valutate dalla critica tra le più alte espressioni della lirica del Seicento. La poesia di Campanella è stata considerata funzionale rispetto al suo pensiero, e a tale matrice filosofica e alla mancanza di elaborazione formale si è attribuita la forma rozza e oscura dei versi campanelliani. In realtà, più che la teoria filosofica, traspare nella sua lirica l'anelito all'azione rinnovatrice cui egli si sente chiamato; e il contrasto stridente tra la sua condizione di prigioniero e la coscienza della propria missione determina in lui quella tensione drammatica che costituisce la suggestione maggiore del suo canto. Su tutte le altre poesie di Campanella s'innalza il celebre Inno al Sole, disperata invocazione di un carcerato verso la luce.

 

Libro consigliato di Tommaso Campanella: La città del sole
«Come modello di repubblica da imitare, la Città del Sole è un modello da non imitare» scriveva con insolenza Alberto Savinio presentando il celebre testo di Campanella. Era il 1944, e con La Città del Sole l’editore Colombo di Roma inaugurava – non a caso in un periodo di oscurità e barbarie – la Collana degli Utopisti diretta da Enrico Falqui e dallo stesso Savinio. Al progetto teocratico del «lampeggiante e roccioso» filosofo calabrese, l’umanista Savinio opponeva risolutamente l’antidoto della «grecità mentale»: « ... la libertà di pensare col proprio cervello ... si accende per la prima volta in Grecia e la illumina, e non torna a riaccendersi nel mondo se non con l’Umanesimo». Violando la consuetudine che vuole il curatore di un classico distaccato e impersonale, Savinio, che per nostra fortuna non dimentica mai di essere anzitutto uno scrittore, ha saputo trasformare strumenti di solito innocui come una introduzione e un commento in un’arma acuminata e micidiale – e l’intera edizione in un confronto, secco e ardito, fra «concetto teistico del mondo e concetto umanistico»: «La Città del Sole non è un’utopia. Le manca il primo requisito di ogni utopia: la qualità ateistica». Temi ardui, che Savinio stesso non voleva fossero oscurati dalla felice improntitudine del suo commento. E così annotava: «Lavorando in quest’aura utopica, ho finito per credere utopicamente che i miei lettori hanno tutti superato il pregiudizio della serietà, che tanto buio spande sulle cose della coltura e comunque della vita, e sanno ormai che la serietà è un ostacolo e una limitatezza, e dunque una forma di inintelligenza».
La Città del Sole fu composto da Tommaso Campanella (1568-1639) nel 1602 e successivamente (forse nel 1614) volto in latino dallo stesso autore. Alla redazione italiana Savinio fa qui seguire il trattatello Questioni sull’ottima repubblica, ossia la traduzione della quarta delle Quaestiones pubblicate a Parigi nel 1637.

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