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Bonaventura da Bagnoregio
Bonaventura da Bagnoregio, santo e dottore della Chiesa (Bagnoregio 1221-Lione 1274). Da bambino fu miracolosamente guarito da San Francesco; si recò poi a Parigi per compiervi i suoi studi e seguì le lezioni di Alessandro di Hales, di Giovanni de La Rochelle e di Eudes Rigault. In questo periodo entrò nell'ordine dei frati minori e approfondì lo studio di Sant'Agostino, non trascurando però le dottrine aristoteliche. Nel 1248 divenne baccelliere e fu espositore della Sacra Scrittura; dal 1253 al 1254 spiegò le Sentenze di Pietro Lombardo e conseguì la licenza, ma solo nel 1257, per la lotta allora in corso all'università parigina contro i regolari, ebbe il titolo di maestro. Dovette però abbandonare l'insegnamento per la sua nomina a ministro generale del suo ordine, carica che Bonaventura occupò con grande zelo e dignità fino al 1273, quando Gregorio X lo elevò alla sacra porpora. Partecipò al Concilio di Lione, dedicandosi con grande entusiasmo all'unità delle Chiese, ma qui lo colse la morte. Sisto IV lo elevò agli onori dell'altare nel 1482 e lo dichiarò dottore della Chiesa e nel 1588 Sisto V lo mise sullo stesso piano di dignità con San Tommaso, dichiarandolo Ecclesiae doctor eximius et egregius. Delle opere di Bonaventura esiste un'edizione critica a cura dei frati minori di Quaracchi: S. Bonaventurae opera omnia (1883-1902). Fra di esse, per la loro particolare importanza, si ricordano: Commentarii in quattuor libros Sententiarum Petri Lombardi, Itinerarium mentis in Deum, De reductione artium ad theologiam, De triplici via, Collationes in Hexaemeron, Breviloquium, De donis Spiritus Sancti, De scientia Christi. Bonaventura è il filosofo dell'amore. Il fine della vita dell'uomo è l'amore di Dio; il cammino che vi conduce è illustrato dalla teologia e costituisce l'itinerarium dell'anima verso Dio. Ma in questo cammino interviene inevitabilmente anche la filosofia. Essa è intesa da Bonaventura in stretta unità e al tempo stesso in chiara distinzione con la teologia. Filosofia e teologia sono in stretta relazione e si completano l'una con l'altra. Nell'uomo vi è un'invincibile tendenza al bene infinito, ma la conoscenza che l'uomo ha di questo bene è, in Terra, ancora imperfetta. La certezza di questo bene si esprime nella fede, l'incertezza della conoscenza di questo bene si manifesta nella filosofia. Tuttavia la filosofia stessa si presenta come necessaria proprio all'interno della logica dell'amore. Chi ama vuol conoscere l'oggetto che ama e le ragioni del suo amore. Nulla è più dolce di questo bisogno del cuore. E questo cammino, da un lato tutto umano, perché volto alla ricerca delle ragioni, dall'altro tutto religioso, perché sorretto e reso possibile soltanto da una divina illuminazione, è l'itinerarium mentis in Deum. In questo cammino, le cose si presentano come segni dell'amore di Dio. Il compito dell'uomo è interpretare tali segni. Ora tale interpretazione, nello spirito della tradizione francescana, si presenta come una sorta di purificazione, come un atteggiamento mistico che l'uomo deve assumere. Attraverso questa purificazione sarà possibile passare dalle creature al Creatore, sia perché in ogni cosa è presente in qualche modo Dio, sia perché qualsiasi operazione intellettuale di ricerca suppone una contemporanea illuminazione divina. Si capisce quindi il senso dell'ontologismo di Bonaventura. L'argomento ontologico di S. Anselmo viene senz'altro accettato, né potrebbe essere diversamente. Infatti per Bonaventura l'esistenza di Dio non è la conclusione a cui si perviene attraverso un atto di conoscenza, ma, al contrario, la nostra conoscenza di Dio è possibile solo in quanto Lui è già presente in noi. La nostra conoscenza presuppone la sua esistenza. Questo non significa tuttavia che noi cogliamo l'essenza di Dio, così come la visione del mondo quale espressione di Dio non implica la conoscenza delle rationes aeternae. Si potrebbe dire che noi vediamo non tanto Dio e le leggi eterne del mondo, quanto piuttosto che noi vediamo in Deo et in rationibus aeternis l'intera natura.
FILOSOFIA: GRADI DELLA VIA MISTICA
L'uomo ha un triplice occhio, l'occhio della carne, l'occhio della ragione e quello della contemplazione. Di qui scaturiscono i tre momenti dell'ascesa mistica di Bonaventura. Anzitutto si ritrova Dio nel mondo sensibile, poi nella nostra anima, infine lo si coglie direttamente nell'esperienza mistica dell'adorazione. Ma poiché ciascuno di questi momenti si divide in due fasi, la prima in cui si coglie la traccia dell'agire divino, la seconda in cui si coglie l'agire divino, i gradi dell'ascesa mistica bonaventuriana sono sei. In tale contesto si inserisce la soluzione di problemi tipici dell'epoca, come la discussione sulle facoltà dell'anima, sull'eternità del mondo e sul problema dell'individuazione. L'anima è essenzialmente unica, ma possiede diverse funzioni. Intelletto potenziale e intelletto agente sono due funzioni distinte, ma non nel senso che l'uno sia solo potenza e l'altro sia solo atto. La loro distinzione non implica opposizione, ma anzi suppone correlazione, ché altrimenti non si spiegherebbe l'unità dell'intelletto né sarebbe possibile l'astrazione che fa passare dal dato sensibile a quello intellegibile.
FILOSOFIA: CONCILIAZIONE ARISTOTELICO-AGOSTINIANA
Nella teoria dell'astrazione ci troviamo di fronte a uno dei tentativi di conciliazione, consueti in Bonaventura, tra tradizione aristotelica e pensiero agostiniano. Infatti l'astrazione è un processo necessario alla conoscenza del sensibile, e qui la sensazione è aristotelicamente una passione, ma non è necessaria per giungere alla conoscenza del soprasensibile, e qui compare la tradizione agostiniana della conoscenza come pura azione dell'anima. Quanto al mondo, esso, dal punto di vista di Bonaventura, non può assolutamente essere eterno; e ciò, diversamente che per S. Tommaso, non solo per ragioni di fede, ma anche per motivi razionali; poiché se così non fosse si cadrebbe in un'infinita serie di contraddizioni. Infatti, come sarebbe possibile pensare a un mondo infinito quanto al tempo, ma la cui durata contemporaneamente si prolunga con il trascorrere dei giorni? Oppure come si potrebbe ammettere che due infiniti tra loro identici, in quanto entrambi infiniti, come il numero delle rivoluzioni lunari e quello delle rivoluzioni solari siano in realtà diversi, e precisamente l'uno dodici volte superiore all'altro? Esistono dunque motivi di ragione che portano a concludere alla non eternità del mondo e alla sua creazione nel tempo. Infine, per quanto concerne il problema dell'individuazione, Bonaventura afferma che tale principio non consiste nella materia (che tra l'altro egli vede presente in ogni creatura, compresi gli angeli), ma nella pluralità di forme che nell'unione con la materia determinano l'individuo nella sua specificità. Proprio questa soluzione del problema dell'individuazione consente a Bonaventura di affermare recisamente la sostanzialità dell'anima e la profonda unità di anima e corpo. Di qui si intende come la libertà e l'immortalità siano proprietà specifiche dell'anima, e come si possano anche intendere i condizionamenti che possono provenire allo stesso operare spirituale da parte esterna. Nell'anima si ritrova una tendenza all'infinito che è la garanzia della sua libertà. Proprio perché nessun oggetto finito costituisce un suo oggetto adeguato, l'anima è libera. Infatti nessun bene finito può condizionare l'uomo, né alcuna condizione particolare è richiesta per indirizzarsi verso quel bene infinito che è Dio. Termini come libertà e volontà vengono così a corrispondersi. Infatti non è la conoscenza, non è cioè l'intelletto che ci indirizza a Dio, ma è una tendenza naturale, che per un atto di volontà si decide di seguire. Ed è ancora questa tendenza naturale all'infinito che testimonia dell'immortalità dell'anima. La sua tendenza alla beatitudine, che non può essere se non eterna e la semplicità del suo operare, che esclude ogni possibilità di corruzione, provano l'immortalità dell'anima. La sinderesi, la tendenza naturale al bene presente nell'uomo, si rivela così come il segno di quell'invito che Dio fa all'uomo per un cammino di amore che in Lui culmini.
FILOSOFIA: INFLUENZE ESTERNE E ORIGINALITÀ
La filosofia di Bonaventura risente di una molteplicità di tradizioni, che ricomprendono sia il pensiero di Aristotele sia quello di Avicenna, di Avicebron e di Sant'Agostino. In certi punti si potrebbe persino cogliere un certo eclettismo. Ciò che in ogni caso è profondamente originale è il modo con cui Bonaventura affronta l'insieme dei problemi. Il suo fu chiamato un misticismo teorico, proprio perché il nucleo più profondo del suo pensiero è quello che lo ricollega alla tradizione agostiniana e allo spirito autenticamente francescano. Ma egli rivive personalmente questa tradizione mistica dotandola di un impianto dottrinale e teorico. Ciò detto, occorre riconoscere che non esiste per Bonaventura alcun sistema dialettico vero se non a partire dalla fede. La radicale eteronomia della filosofia e della natura che da questi principi deriva, in quanto tutto, dal pensiero alla natura, trova origine e significato solo all'interno di Dio; non culmina tuttavia in una svalutazione della filosofia e della natura, ma anzi in un loro riconoscimento quali gradini per giungere fino a Dio. Bonaventura è il filosofo dell'amore non solo perché egli vede nell'anima umana una tendenza infinita che la spinge verso l'amore di Dio, ma anche per quell'amoroso rispetto con cui egli si volge al creato, inteso come espressione di Dio. E questa è la fedeltà ultima e più profonda allo spirito del misticismo francescano.
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