ECOriflessioni - indice articoli
La foresta: Un essere senziente
di Guido Dalla Casa - Gennaio 2012
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Generalità
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Gli esseri senzienti
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La biovarietà
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Una studiosa fra le foreste nordiche
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Il valore in sé delle Entità Naturali
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L’ecologia profonda
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Conclusioni
Generalità
Proviamo a camminare in una foresta, in un bosco delle Alpi o degli Appennini.
Cosa vediamo attorno a noi? Alberi, felci, terreno, funghi, scoiattoli, uccelli, e poi l’aria, il soffio del vento che fa stormire i rami; il sole, il cielo, le nuvole. Ci sono le relazioni fra tutti i componenti, che sono forse più significative dei singoli viventi.
Il vivente deve respirare, le piante verdi devono ripristinare l’ossigeno assorbito con la respirazione, ciascuno deve mangiare, poi lascia dei residui che sono risorse per altri esseri. Quando un vivente muore, la materia che ne costituiva il corpo è di nutrimento ad altri viventi. Come esempio, i funghi vivono sulle sostanze in decomposizione, l’erba e le altre piante vivono sulle sostanze di scarto degli animali.
Tutto il complesso resta in sostanza ciclicamente simile a sé stesso, almeno se consideriamo i tempi che qui ci interessano (milioni di anni o meno).
Tutto quello che abbiamo visto viene chiamato “ambiente”, come se si trattasse della nostra casa: i cosiddetti “ambientalisti” raccomandano di tenerla pulita, come se fosse uno spazio nostro, un’abitazione.
Ma “ambiente” di chi? dell’uomo? Oggi sappiamo che noi siamo un componente del mondo naturale, siamo come le cellule di un Organismo. La nostra costituzione, il nostro comportamento e le nostre emozioni sono dello stesso tipo di quelle degli altri Mammiferi. A livello cellulare, la Vita è la stessa in tutti i Viventi.
Le relazioni fra noi, il fungo che abbiamo appena visto, l’aria che respiriamo, gli alberi che ci circondano sono indispensabili e abbastanza note. Non solo, ma se estendiamo il discorso ed esaminiamo complessi più ampi, troveremo anche il legame che c’è fra noi e quell’albero che è stato abbattuto nella foresta del Borneo per realizzare il tavolo su cui sto scrivendo. Ci sarà un soffio di ossigeno in meno nell’atmosfera terrestre e un po’ di inquinante in più per la benzina bruciata dall’automezzo che mi ha portato la posta. La Terra, che ha la capacità di reagire alle piccole modifiche, cercherà di mantenere la situazione dei suoi componenti entro valori vitali, ma la sua capacità ha dei limiti. Infatti l’Ecosistema totale si comporta come un essere vivente: anche il mio organismo ha la possibilità di riportare la temperatura interna entro la fascia 36-38 gradi che mi consente di vivere e scrivere queste righe, ma se qualcosa forza la mia temperatura fuori da quella fascia per tempi apprezzabili, non riesco a riportarmi in situazione vitale, ed è la fine. Così avviene per la Terra, come per i complessi (ecosistemi) che ne fanno parte, come la foresta.
In sostanza, l’ecologia è soprattutto la percezione di far parte integrante di un Complesso molto più vasto, l’Ecosistema (o la Terra), ed avere come primo valore la buona salute di questo Organismo.
Gli esseri senzienti
Dagli studi sui sistemi e sugli esseri collettivi, sappiamo che, oltre un certo grado di complessità del sistema, si ha l’emergenza di fenomeni mentali. Il sistema “sceglie” la via da seguire dopo ogni biforcazione-instabilità: la via che verrà seguita è assolutamente imprevedibile, anche in linea teorica, sulla base di eventi precedenti avvenuti nel mondo energetico-materiale. Si tratta quindi di un fenomeno mentale. Gli scienziati meccanicisti-materialisti tentano disperatamente di salvare le loro premesse dicendo che il sistema prende a caso la via successiva alla biforcazione. Ma in realtà la parola caso è soltanto un’etichetta che mettiamo a tutto ciò di cui non sappiamo niente.
Poiché tutti i viventi e gli ecosistemi sono sistemi altamente complessi, ne consegue che è corretto attribuire a tali entità la denominazione di “esseri senzienti”. Così è per una foresta, che è un sistema vivo e creativo perché ha una grande varietà di viventi e di relazioni organiche/inorganiche.
L’emergenza di fenomeni mentali nei sottosistemi della foresta significa che si formano esseri collettivi mentali, e così possiamo considerare gli Elfi, o le altre entità presenti nelle tradizioni di tutti i popoli delle foreste. L’esistenza di questi esseri collettivi ha una durata di ordine di grandezza molto superiore alla durata di vita di ogni singolo componente, o di qualunque vivente in senso materiale-biologico: infatti, secondo tutte le tradizioni, gli Elfi “sono immortali”. Vivono tanto più a lungo di noi, che possiamo considerarli in pratica come immortali.
Anche le emozioni che si provano nell’immersione in una foresta intatta possono essere scambi con questi esseri senzienti. Non si tratta di “superstizioni superate del mondo immaginario magico”, come pretendono i nostri bravi scienziati meccanicisti-materialisti-riduzionisti.
Da un nativo del Nord America:
Sai che gli alberi parlano? Si, parlano l’uno con l’altro e parlano a te, se li stai ad ascoltare. Ma gli uomini bianchi non ascoltano. Non hanno mai pensato che valga la pena di ascoltare noi indiani, e temo che non ascolteranno nemmeno le altre voci della Natura. Io stesso ho imparato molto dagli alberi: talvolta qualcosa sul tempo, talvolta qualcosa sugli animali, talvolta qualcosa sul Grande Spirito. - Tatanga Mani
(Da: Recheis-Bydlinski, Sai che gli alberi parlano? Il Punto d’Incontro, 1994)
La biovarietà
La varietà è alla base della vita: varietà e vita si devono intendere anche come caratteristiche di un ecosistema, o - come esempio - di una società di termiti, che costituisce un essere collettivo; oppure di Primati, e quindi anche di umani.
Ritornando all’esempio della foresta, c’è un fluire di materia e di energia tra un vivente e l’altro e con il mondo inorganico, il terreno, l’humus, gli esseri piccolissimi. Non c’è alcun motivo per dubitare che ci siano anche scambi mentali. Il sistema foresta si mantiene in questo modo a tempo indeterminato senza variazioni apparenti, a meno che ci siano interventi drastici che lo fanno uscire dalle sue capacità di autocorreggersi ed autoripararsi. Il bosco si mantiene in modo autonomo, senza interventi esterni, a parte la necessità che venga rifornito continuamente di energia solare, che restituirà alla fine dei suoi processi: non può accumulare continuamente energia, altrimenti non sarebbe in condizione stazionaria. Il flusso energetico è indispensabile, come in tutti i viventi, che sono “strutture dissipative”, cioè si mantengono in condizioni stazionarie lontane dall’equilibrio termodinamico.
Quando abbiamo distrutto una foresta, non illudiamoci che si possa rimediare con la “riforestazione”, anche se è meglio di niente: nessuna “piantagione” di alberi potrà mai costituire una foresta.
Invece un campo coltivato con una sola coltura e senza rotazione non è in grado di mantenersi senza pesanti apporti esterni di fertilizzanti, antiparassitari, sostanze chimiche varie, energia proveniente da molto lontano (prodotti petroliferi), e così via.
Poiché non ha una sufficiente varietà interna per autosostenersi, deve essere continuamente “alimentato” da fuori. Il preteso aumento di produttività agricola per ettaro è una pia illusione: se si mettono in conto tutti gli apporti e l’energia consumata, venuta da lontano, non c’è alcun “miglioramento”.
Anche la Terra nel suo complesso si mantiene se il suo grado di biovarietà è sufficiente: ha bisogno solo dell’energia del Sole, che restituirà infine allo spazio cosmico. Gli umani sono una componente di questo sistema totale: possono vivere solo se il complesso si mantiene in vita.
La comunità di milioni di vite diverse del suolo, sia macroscopiche che microscopiche, fa parte integrante della vita del bosco, che si autosostiene. Invece, nei campi coltivati della civiltà industriale si impiegano grandi quantità di sostanze chimiche derivate da combustibili fossili: questo accade da pochi decenni, cioè un attimo nella storia dell'umanità, che ha molti milioni di anni. La tecnologia e i combustibili fossili hanno aiutato la cultura occidentale a catturare più pesce, deforestare più terreni, scavare più miniere e trasformare in denaro tutto ciò che si poteva trovare. Nessuno si interroga sulla moralità del togliere la vita dal pianeta Terra.
Ancora dai nativi amerindiani:
Quando noi indiani uccidiamo, la carne la mangiamo tutta. Quando estraiamo le radici facciamo piccoli fori: quando costruiamo case facciamo piccoli buchi nel terreno. Non abbattiamo gli alberi: usiamo solo legno già morto. Ma quest’altra razza di uomo ara il terreno, abbatte gli alberi, uccide tutti gli animali. L’albero dice: “Non farlo. Mi fai male. Non ferirmi”. Ma l’uomo bianco lo abbatte e lo taglia in pezzi. Come può lo Spirito della Terra amare quest’uomo? Dovunque egli ha toccato, la Terra ne è rimasta ferita.
(etnia Wintu – nativi americani del Nord-Ovest)
Da un articolo di Francesco Lamendola (scrittore, insegnante e filosofo di Treviso):
Esperimenti sulle proprietà bioelettriche delle piante ci hanno messi in grado di sapere, ormai da diversi decenni, che le piante interagiscono con l'ambiente circostante non solo a livello fisico e irriflesso, ma anche a livello emozionale e spirituale: che provano turbamento, ad esempio, all'avvicinarsi di una persona che abbia in precedenza strappato una foglia in un determinato ambiente; e che, viceversa, esultano alla carezza di una persona che si prenda amorevolmente cura di loro. …
È possibile che le piante, e perfino i grandi alberi, manifestino spontaneamente sentimenti ed emozioni, particolarmente la gioia e l'esultanza, agitandosi, fremendo, scuotendo i rami come per battere le mani, il tutto non come reazione ad una presenza umana, ma come movimento spontaneo della loro essenza, della loro personalità. La conseguenza inevitabile che dobbiamo trarre da tali moti spontanei della pianta è che essa costituisce una entità vivente dai confini ben più vasti di quelli che siamo soliti concederle.
Di fatto, in talune particolari circostanze è stato osservato un fenomeno del genere, tanto più convincente in quanto verificatosi in assoluta mancanza di vento: il che zittisce le facili obiezioni dei soliti increduli di professione. …..
Ma chi lo ha detto che una pianta è un essere vivente del tutto privo di autocoscienza? Non sarà questa, per caso, una delle tante arbitrarie semplificazioni del reale, uno dei tanti pregiudizi assolutamente ingiustificati, che noi umani abbiamo stabilito una volta per tutte, solo per sentirci confermati nella smisurata vanità e nell'assurda pretesa di essere le uniche creature autocoscienti del mondo naturale e, quindi, le uniche in diritto di reclamare un ruolo di centralità e di dominio sull'intero mondo della natura?
Proviamo invece, anche solo in via di ipotesi, ad ammettere che un fiore, un arbusto, un albero centenario dal tronco possente, siano in grado di percepire la propria esistenza ed il proprio posto nel mondo, sia pure per vie diverse da quelle della logica discorsiva che noi, a torto, riteniamo la sola legittima via d'accesso per la comprensione della realtà.
Ecco, allora, l'idea di una pianta, di un albero, i quali fremono di gioia e scuotono le fronde, e fremono in tutte le loro foglie non per altra ragione, che la pura e semplice gioia di esistere, di respirare, di godere della luce, della bellezza, della vita. ….
Solamente l'uomo, soprattutto occidentalizzato, deviando dal suo fine necessario ed estraniandosi, con le sue stesse mani, dalla comunità degli altri viventi, il più delle volte dimentica la bellezza e la gioia della vita universale, e trascura di rendere lode alla loro fonte, imprigionandosi in una triste gabbia, fatta di nichilismo e di pessimismo esistenziale, le cui sbarre sono costituite dall'idolatria della Ragione strumentale e calcolante. ….
Noi crediamo di sapere tutto del mondo della natura. In genere, però - almeno nella prospettiva della scienza occidentale moderna - abbiamo trascurato di considerare la presenza di una dimensione spirituale che, così come si manifesta nell'uomo, indubbiamente è presente in ogni altro ente naturale: animale, vegetale, minerale, acqua ed aria comprese.
Vi è un abete rosso tuttora vivente, in Svezia, la cui età è stata stimata in circa 8.000 anni: ciò significa che era già un grande albero millenario prima ancora che sorgesse l'Impero Romano, prima che Socrate insegnasse a filosofare e prima che Buddha indicasse agli uomini la sua strada per uscire dal dolore e dalla sofferenza. In base a quale folle presunzione potremmo escludere che un organismo vivente superiore, che ha vissuto innumerevoli inverni e primavere, estati ed autunni, abbia condotto una esistenza del tutto cieca e inconsapevole, senza neppure manifestare la felicità di vivere e di poter godere dell'impareggiabile spettacolo di un mondo vivo, rischiarato dalla luce del Sole di giorno, e impreziosito da migliaia di astri brillanti nel cielo notturno?
(Da: Alberi e piante manifestano visibilmente emozioni e sentimenti? - Arianna Editrice, 2009)
Una studiosa fra le foreste nordiche
La filosofia è generalmente considerata come antropocentrica ed i filosofi trattano di questioni legate all'uomo. Ma si tratta soltanto di un pregiudizio culturale, privo di ogni fondamento. Coloro che sono interessati alla natura e agli animali studiano solitamente biologia, veterinaria o scienze naturali. Ma il modo in cui la biologia descrive la natura può anche mettere a disagio. La foresta è un luogo per esperienze estetiche: in una foresta si può vivere la propria relazione con gli altri esseri senzienti.
Leena Vilkka è docente di filosofia all’Università di Helsinki: la sua tesi di dottorato è stata sulla filosofia ambientale. La studiosa sostiene che la natura e gli animali hanno valori intrinseci indipendenti dal valore umano e che interi ecosistemi possono avere valori non riconducibili ai singoli individui.
Come temi dei suoi studi avanzati, Leena scelse il valore intrinseco della natura e la coscienza animale, soggetti di solito evitati da tutti filosofi, compresi i finlandesi. L'idea prevalente in Finlandia, come in tutto l’Occidente, è una concezione creata dalla scienza “ufficiale”, dalla tecnologia, dalla società industriale ed economica. Secondo tale idea la natura è solamente una riserva di materiale a disposizione dell'uomo. Ovunque si sono costruite strade, mercati e case residenziali al posto delle foreste. Questo è un delitto: la foresta è un valore molto più grande di qualunque costruzione umana.
Il valore in sé delle Entità Naturali
I filosofi occidentali precedenti consideravano impossibile l'intrinseco valore della natura, perché la natura appartiene alla sfera delle scienze naturali, mentre i valori sono generati dall'attività umana. Ma i valori non esistono solo nell'uomo ma nelle piante, negli animali ed anche negli ecosistemi. Il punto di partenza più naturale per trovare i valori è di cercarli negli altri animali, dove certamente esiste la sofferenza, che ha uno scopo ben definito in natura: incrementa le possibilità di sopravvivenza. Dal lato opposto della sofferenza c'è il benessere.
Per un lupo, l'alce ha un valore strumentale, come preda che sostiene la vita ed il benessere del lupo. Lo stesso lupo può attribuire ai membri del proprio branco un valore intrinseco: non li tratta come meri strumenti. Gli animali creano valori indipendentemente da ciò che l'essere umano pensa di loro.
L'essere umano può promuovere o danneggiare le sensazioni di un altro essere, ma il suo sentire rimane indipendente dall'uomo. Che una pianta di casa cresca rigogliosa o meno può dipendere dagli umani, però il suo benessere o malessere è una qualità propria della pianta. Il problema nasce dall'affermazione della mancanza d'identità nelle piante. Se una pianta non ha identità, cos'è che soffre o che prospera? Ma non c’è proprio niente che ci possa far affermare che le piante non hanno un’identità.
Il livello più impegnativo sono i valori collettivi: i sistemi possono avere valori non riconducibili agli individui?
La tradizione filosofica lega i valori agli individui e perciò non comprende che una montagna possa avere un valore intrinseco, né che la Natura come un tutto possa essere un soggetto con una coscienza olistica. Forse una montagna od un fiume possono provare 'esperienza'. Così ci troviamo con le idee dell’ecologia profonda.
L’ecologia profonda
Anche se le schematizzazioni sono sempre riduttive, adottiamo la distinzione del filosofo norvegese Arne Naess, dividendo il pensiero ecologista in due categorie:
- l’ecologia di superficie, che ha per scopo la diminuzione degli inquinamenti e la salvezza degli ambienti naturali senza intaccare la visione del mondo della cultura occidentale;
- l’ecologia profonda, in cui vengono modificate radicalmente le concezioni filosofiche dominanti: in questa forma di pensiero si dà un’importanza metafisica alla Natura, superando il concetto restrittivo e fuorviante di “ambiente dell’uomo”. Il fondatore di questa linea di pensiero in Occidente è considerato il filosofo norvegese Arne Naess, tornato alla Terra nel gennaio 2009 all’età di 97 anni.
Non è possibile pensare di salvare il mondo dalla catastrofe ecologica senza modificare le idee di fondo e senza rendersi conto che lo sviluppo è un fenomeno impossibile ed è il prodotto di una sola cultura umana in un determinato momento della sua storia.
L’ecologia profonda - come filosofia di vita - non è nata negli anni Settanta dalle idee di Arne Naess o da qualche movimento di minoranza di oggi: da tremila anni in India, e da tempi ancora più lunghi in tante culture animiste, idee ben diverse da quelle che hanno poi foggiato la civiltà occidentale avevano avuto modo di diffondersi nella mente collettiva, come dimostrano questi pensieri, tratti da antichi testi indiani: “Ogni anima va rispettata e per anima si intende ogni ordine, ogni vitalità che la sostanza possa assumere: il vento è un’anima che si imprime nell’aria, il fiume un’anima che prende l’acqua, la fiaccola un’anima nel fuoco, tutto questo non si deve turbare”.
Ancora una citazione dai nativi amerindiani:
…Una volta che questa persona avrà acquistato familiarità con lo spirito umano, potrà cercare di entrare in contatto con lo spirito delle altre cose. Per esempio potrà entrare in contatto con lo spirito di un albero, riuscendo a parlare e comunicare con esso. Se riuscirà a parlare con un albero, allora potrà forse cominciare ad avere un’idea degli spiriti di tutti gli alberi che sono vissuti in quel luogo, poi di tutti gli uccelli e di tutti gli animali che in quello stesso luogo sono vissuti e sono morti. Ma se non si è capaci nemmeno di entrare in contatto con il proprio spirito, come si può sperare di entrare in contatto con lo spirito di un albero? - Rarihokwats
(Dal libro Wovoka, LEF, 1982)
Conclusioni
Gli altri viventi, una foresta, una palude, un termitaio, una specie sono entità dotate di mente: partendo da un altro approccio, già lo psichiatra junghiano James Hillmann (Autore, fra molti altri libri, di Politica della bellezza e Il piacere di pensare) parlava della nostra immersione nell’Anima del mondo.
Allora: L’etica richiede una sorta di empatia verso tutte le entità naturali.
E’ evidente che si può parlare di mente associata al sistema totale, ovvero a tutta la Biosfera: abbiamo così ritrovato l’idea di Gaia già teorizzata da altri scienziati (Lovelock, Margulis, Sheldrake). E’ chiaro che ci siamo portati su posizioni ben lontane dall’idea tradizionale dell’uomo che studia dall’esterno e manipola a suo piacimento un mondo fatto di materia-energia. La distinzione fra mondo energetico-materiale, al servizio della nostra specie, e mondo mentale-psichico-spirituale, che un tempo era considerato - nella cultura occidentale - come esclusiva umana, si è dissolta. Qui siamo molto lontani anche dall’idea che la mente sia soltanto “il prodotto” di un sistema nervoso centrale.
Il filone di pensiero cui abbiamo accennato ci dà la speranza di ritrovarci in un mondo che riscopre lo spirito dell’albero, della palude, del torrente.
Ma la mentalità corrente e il mondo ufficiale restano su una posizione “ottocentesca”, quella di un universo meccanico in cui solo l’essere umano, dotato di mente-anima, ha diritto a considerazione morale!
Invece del Dio-Persona distinto dal mondo e giudice delle azioni umane, troviamo il Dio-Natura immanente in tutte le cose, e quindi anche in noi stessi, che ne siamo partecipi. La Divinità osserva sé stessa anche attraverso gli occhi di una marmotta, o di una formica, o l’affascinante e misteriosa sensibilità di un albero.
Guido Dalla Casa
Guido Dalla Casa (Bologna, 1936), Ingegnere Elettrotecnico, ha svolto l'attività di dirigente dell'ENEL nelle aree tecnica e commerciale della distribuzione. E' docente presso la Scuola Superiore di Filosofia Orientale e Comparativa di Rimini, corso di Ecologia Interculturale. Tra le sue pubblicazioni: L'ultima scimmia, 1975; Ecologia Profonda, 1996; Inversione di rotta, 2008; Guida alla sopravvivenza, 2010; Ambiente: Codice Rosso, 2011; L'ecologia profonda. Lineamenti per una nuova visione del mondo, Mimesis Edizioni, 2011.
Libri pubblicati da Riflessioni.it
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