ECOriflessioni - indice articoli
Ecologia ed economia
di Guido Dalla Casa - Febbraio 2017
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Posizione dell'uomo in Natura
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Il vero problema
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Il primo valore
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L'Ecologia di superficie e l'Ecologia Profonda
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La fine dell'economia
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Un nuovo Cantico per una nuova fantascienza
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Le “quattro religioni”
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Conclusioni
Posizione dell’uomo in Natura
Come noto, dopo due secoli da quando Lamarck ha formulato per la prima volta in termini scientifici occidentali la teoria dell’evoluzione biologica, sappiamo di essere animali anche facilmente classificabili: Classe Mammiferi, Ordine Primati.
La percezione della completa appartenenza della nostra specie alla Natura doveva essere fonte di grande serenità, ci ha liberato da un peso opprimente. Ma così non è stato. Nel linguaggio corrente e nell’etica l’idea di umanità è ancora contrapposta a quella di animalità.
Nella cultura occidentale, e perciò oggi in quasi tutto il mondo, la nostra specie è vista ancora non come una parte della Biosfera, ma come un elemento esterno, cui viene riferito ogni valore. I cosiddetti “ambientalisti” dicono di “tenere pulita la nostra casa”, conservare la Terra per le future generazioni, e così via. L’uomo è sempre il riferimento ovvio. Invece oggi sappiamo che l’uomo non è nella situazione di abitante di una casa, ma è come un tipo di cellule in un Organismo, da cui dipende totalmente: questa situazione non è stata ancora recepita dalla filosofia occidentale. Anche la scienza “ufficiale”, quella che viene divulgata, mantiene di fatto una posizione antropocentrica e cartesiana-newtoniana, in contrasto con le sue stesse conoscenze.
In realtà l’uomo è un animale, anche facilmente classificabile. La differenza con uno scimpanzé bonobo è dell’ordine dell’1%. Tutti gli esseri viventi sono anche senzienti (Konrad Lorenz, Jane Goodall, Irene Pepperberg, Frans de Waal, Rupert Sheldrake, Roberto Marchesini).
Il vero problema
Il vero problema attuale non è “la crisi economica”, ma piuttosto il problema ecologico globale, da cui discendono tutti gli altri.
Il mondo di oggi è in gravissima crisi. La civiltà industriale, che ha manifestato la sua natura distruttiva da meno di un secolo (dato che procede con legge esponenziale), sta per finire perché è incompatibile con il funzionamento del sistema più grande di cui fa parte. La prossima fine di un fenomeno tanto negativo e distruttivo è una buona notizia, ma il transitorio può riservare eventi poco piacevoli. Qualunque discorso serio sul prossimo futuro dovrebbe iniziare così: “Il modello culturale umano denominato civiltà industriale, fondato sull’incremento indefinito dei beni materiali ed espressione attuale della cultura occidentale, è fallito. Dobbiamo gestire il transitorio verso modelli completamente diversi riducendo il più possibile gli eventi traumatici, che sembrano ormai inevitabili.”
Anche la definizione classica della sostenibilità (un processo sarebbe sostenibile se “i nostri discendenti” non ne hanno un danno) è fuorviante. Mi sembra invece molto migliore l’espressione seguente: “L’andamento di un sistema è sostenibile se può durare a tempo indefinito senza alterare in modo apprezzabile l’evoluzione del sistema più grande di cui fa parte”. Tale definizione è priva di riferimenti antropocentrici.
La causa principale della grave situazione in cui ci troviamo è l’idea errata che l’uomo sia al di fuori e al di sopra della Natura, vista come un complesso di “risorse” a nostra disposizione.
Il primo valore
Il primo valore dovrà essere la buona salute dell’Ecosfera, cioè dell’Ecosistema complessivo, di cui facciamo parte integralmente, assieme a tutti gli altri esseri senzienti e alle relazioni che li collegano. Forse c’è una grande difficoltà a trattare l’argomento con queste premesse, ma è soltanto perché ogni modello culturale è incapace di concepire la propria fine.
Nel Manifesto per la Terra di Mosquin e Rowe (www.ecospherics.net) (anno 2004) si legge: L’esperimento dell’umanità, vecchio di diecimila anni, di adottare un modo di vita a spese della Natura e che ha il suo culmine nella globalizzazione economica, è fallito. La ragione prima di questo fallimento è che abbiamo messo l’importanza della nostra specie al di sopra di tutto il resto. Abbiamo erroneamente considerato la Terra, i suoi ecosistemi e la miriade delle sue parti organiche/inorganiche soltanto come nostre risorse, che hanno valore solo quando servono i nostri bisogni e i nostri desideri. E’ urgente un coraggioso cambiamento di attitudini e attività. Ci sono legioni di diagnosi e prescrizioni per rimettere in salute il rapporto fra l’umanità e la Terra, e qui noi vogliamo enfatizzare quella, forse visionaria, che sembra essenziale per il successo di tutte le altre. Una nuova visione del mondo basata sull’Ecosfera planetaria ci indica la via.
Senza un sottofondo animista-panteista che dia un valore in sé (e non in funzione umana) a tutte le entità naturali, sarà ben difficile pervenire a modelli culturali veramente diversi e compatibili con i più grandi cicli naturali che persistono da centinaia di milioni di anni.
L’Ecologia di superficie e l’Ecologia Profonda
Nella vita di tutti i giorni si parla molto di ecologia, ma di solito senza alcun riferimento o inquadramento concettuale, e spesso come se si trattasse di “un contorno” di qualcosa di più importante (la crescita economica). E’ invece la percezione del modo di vivere della Terra da qualche miliardo di anni.
Anche se le schematizzazioni sono sempre riduttive, al solo scopo di intendersi più facilmente, adotteremo la distinzione di Arne Naess, dividendo il pensiero ecologista in due categorie:
- l’ecologia di superficie, che ha per scopo la diminuzione degli inquinamenti e la salvezza di alcuni ambienti naturali senza intaccare la visione del mondo della cultura occidentale. L’ecologia di superficie raccomanda di salvare isole di mondo naturale, ma “per l’uomo” o “per i nostri figli”;
- l’ecologia profonda, in cui vengono modificate radicalmente le concezioni filosofiche dominanti in Occidente: in questa forma di pensiero si dà un’importanza metafisica alla Natura, superando il concetto restrittivo di “ambiente dell’uomo”. L’Ecologia Profonda, nata convenzionalmente in Occidente con l’articolo “The Shallow and the Deep” (1972) del filosofo norvegese Arne Naess, si può ricondurre nell’ambito delle idee di Gregory Bateson e Fritjof Capra, il noto autore de “Il Tao della Fisica” (1982).
Le istanze ecologiste più diffuse, pur utilissime, restano di solito entro i confini dell’ecologia di superficie: tutte le azioni attuali vengono intraprese “per l’uomo”, visto ancora come l’unico riferimento.
L’Ecologia Profonda propone invece una visione del mondo NON antropocentrica, ma ecocentrica: il primo valore è la buona salute dell’Ecosfera (o della Terra). Tutte le entità naturali hanno un valore IN SE’ e non in funzione umana.
Il concetto di ambiente è completamente superato. Si usa chiamare “ambiente” un complesso di:
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venti-trenta milioni di specie di esseri senzienti,
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innumerevoli ecosistemi che si possono considerare pure esseri senzienti,
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sostanze in continuo scambio e movimento,
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relazioni fra tutti gli elementi interni al complesso.
Si continua a parlare di ambiente come se si trattasse di un “contorno” di qualcosa di più importante, come se fosse “un lusso”, un optional! In sostanza si usa chiamare “ambiente” un Organismo Totale vivente-senziente, come se fosse un “contorno” di alcune sue cellule (la nostra specie). Sarà meglio parlare di Ecosistema, cioè la Totalità terrestre ci cui la nostra specie fa parte. Oppure, semplicemente, diremo “la Terra”.
I fondamenti dell’Ecologia Profonda sono:
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Il valore “in sé” assegnato a tutte le entità naturali, non in funzione umana;
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La posizione dell’uomo in Natura come specie animale, parte di un Tutto, che è più della somma delle parti;
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Il diritto ad una vita degna e all’autorealizzazione di tutti gli esseri senzienti (animali – piante - esseri collettivi – ecosistemi - Gaia);
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Una visione sistemica-olistica della Terra e di tutti i suoi sottosistemi.
Dopo queste premesse, è evidente che, secondo l’Ecologia Profonda, l’Etica deve comprendere tutte le entità naturali (Etica della Terra).
La fine dell’economia
Il primato dell’economia ci sta portando verso il disastro, verso un mondo senza varietà dei viventi. Nessuna attività umana ha distrutto la Vita quanto la smania economicista che ci sta divorando.
Molti movimenti integrati nel sistema, quelli cosiddetti “ambientalisti”, continuano a parlare con il linguaggio dell’economia. Ci sono poi movimenti utilissimi e animati dalle migliori intenzioni, come la Decrescita felice o quelli “della transizione”, che propagandano idee di cambiamenti notevoli, vogliono giustamente sostituire le fonti energetiche, ma in sostanza tendono a “verniciare di verde” il mondo attuale, troppo spesso usano ancora il linguaggio dell’economia. Penso che bisognerà andare oltre, abbandonare anche nei discorsi le merci, i beni, il PIL, il mercato, forse anche il denaro e l’economia stessa.
Il primato dell’economico deve assolutamente cadere. Un grosso aiuto può venire da un pensiero appena nascente che comprende diversi movimenti, anche se numericamente non molto rilevanti: l’Ecologia Profonda (sopra citata), gli studi sulla mente animale, la mente estesa, l’Ecopsicologia, lo studio delle culture native e orientali antiche, il miglioramento dei rapporti con gli altri esseri senzienti (fino a pervenire a forme di simbiosi), la critica alla civiltà, e così via.
Le estrapolazioni in avanti di moltissimi fenomeni in corso danno risultati palesemente paradossali già attorno all’anno 2030: non vi si potrà arrivare così, tranquillamente, continuando come ora. L’innesco di “qualcosa” che farà arrestare molte tendenze attuali è da attendersi entro la fine di questo decennio.
Attualmente sulla Terra gli umani sono oltre sette miliardi e aumentano di 90 milioni all’anno, scompaiono 100.000 Kmq di foreste all’anno, l’anidride carbonica aumenta di 3 ppm all’anno, si estinguono 30-40 specie al giorno, la biodiversità si degrada a vista, il consumo di territorio fa registrare cifre vertiginose. Palesemente questi fenomeni, conseguenze inevitabili della crescita economica, non possono continuare ancora a lungo. Quindi la Natura deve cercare di guarire dal suo male, facendo terminare quella forma di pensiero che ha invaso tutto il mondo e lo sta distruggendo. Occorre partire da altre basi, occorre abbandonare completamente: la competizione economica, la globalizzazione, la crescita, il mercato e la corsa ai consumi. E’ accettabile soltanto uno sviluppo di tipo spirituale-culturale e delle informazioni.
Se si mantengono le premesse attuali, i problemi del mondo sono chiaramente insolubili.
Un modo con cui la Terra inizia a difendersi dalle distruzioni provocate dalla nostra civiltà può essere il sorgere di esaltazioni fanatiche (e contro-fanatiche), in una gran parte dell’umanità. Ne scoppierebbe una violenza diffusa a macchie di leopardo, senza fronti di guerra, ma che potrebbe essere l’innesco della fine di questa civiltà, che crede di poter arrivare a una Terra con 12-15 miliardi di individui di un Primate di 70 Kg che pretende anche di mangiare carne. Sono già in corso migrazioni di massa da un continente la cui popolazione umana raddoppia ogni trenta anni senza speranza di contenimento, un continente dove il 90% della Natura originaria è già stata distrutta nel silenzio di tutte le Autorità e delle istituzioni cosiddette “religiose”.
Un nuovo Cantico per una nuova fantascienza
All’inizio degli anni Sessanta del secolo scorso fu pubblicato un libro di fantascienza post-apocalittica intitolato Un cantico per Leibowitz (di Walter Miller). In quegli anni imperava la paura di una guerra nucleare totale, paura che è durata complessivamente per tutto il periodo della guerra fredda, circa 40 anni. “Il giorno dopo” (che è stato anche il titolo di un film degli anni Ottanta) come vi era descritto? Radioattività, morte, esseri deformi…I sopravvissuti, arrabbiati più che mai, se la pigliavano con chiunque sapesse appena qualcosa di fisica nucleare. Chi conosceva la relazione di Einstein fra energia e massa (E=mc2) veniva linciato dalla folla, il “sapere” di quel tipo era considerato di per sé stesso una causa della catastrofe…Leibowitz era un tecnico linciato da una folla inferocita. Un fraticello viaggiava su un asino per portare frammenti bruciacchiati dei suoi disegni (schemi, forse tracce di particelle nucleari in una camera a bolle) di cui nessuno capiva più nulla. Leibowitz era stato proclamato santo in quanto martire. Allora la fantascienza “post-apocalittica” viaggiava su quel binario.
Per 40 anni siamo stati sull’orlo di una guerra totale: perché non è scoppiata? Il carico di missili e testate nucleari di un solo sommergibile era in grado di far fuori quasi un intero continente, il Dottor Stranamore non era soltanto un film, la crisi di Cuba aveva portato a poche ore dall’Apocalisse. In Italia erano installati missili Jupiter con testata nucleare pronti a partire in tempo brevissimo. Poteva scattare tutto in pochi minuti, e 40 anni sono un tempo lungo per questo genere di eventi. Bastava ben poco, in tante occasioni, ma non è successo.
In realtà il disastro nucleare non poteva succedere, perché la Terra si sarebbe ridotta in pochi giorni a quella che era stata chiamata (nel libro di Jonathan Schell Il destino della Terra, uscito in quegli anni) “una repubblica di insetti e di erbe”: avrebbe impiegato decine di milioni di anni per riprendersi. Ma la Terra è molto più importante di noi umani, che ne siamo solo componenti, come le cellule di un Organismo: il Pianeta non poteva ridursi così. Ora invece, una forma di collasso è non soltanto possibile, ma necessaria per salvare il Complesso dei Viventi, in gravissimo pericolo: la civiltà industriale ha ormai invaso il pianeta e il numero di umani ha largamente superato ogni valore tollerabile. Forse ci sarà una specie di guerra a pelle di leopardo, alimentata da fanatici e contro-fanatici, ma non sarà la mente estesa che difende il Pianeta? Non importa ipotizzare che la Terra sia un essere senziente (non necessariamente cosciente) come nella teoria di Gaia: possiamo anche considerarlo un sistema complesso in evoluzione, in procinto di recuperare le sue capacità omeostatiche e riportarsi in una situazione consona con i suoi tempi di variazione, che sono diecimila volte più lunghi di quelli che caratterizzano i processi della civiltà industriale.
Se non si vuole accettare la presenza del “Grande Inconscio” o della mente di Gaia, possiamo dire che il sistema complesso “Terra” si sta preparando a riprendere un andamento accettabile con un punto di quasi-discontinuità: agli effetti pratici immediati non cambia molto. Nessuno ci pensa semplicemente perché ogni modello culturale umano è incapace di concepire la propria fine.
…. Se quel “giorno dopo” di un romanzo di fantascienza venisse scritto oggi?
Mi sembra di leggere il racconto: chi nominava il P.I.L. veniva linciato dalla folla, conoscere il significato dello spread, del tasso di sconto e dei bond era considerato un delitto. Pronunciare parole come inflazione o deflazione poteva avere conseguenze gravissime. Il termine crescita veniva accuratamente evitato: per indicare l’aumento di qualcosa si usava piuttosto un giro di parole. La Bocconi era già stata data alle fiamme. Chi nominava il Nasdaq si salvava solo se diceva che era il nome di una montagna della Groenlandia. Forse qualcuno sapeva che un tempo esisteva perfino un Ministero per lo sviluppo economico, ma non lo nominava neppure per non incorrere in gravi conseguenze.
Le “quattro religioni”
Le tre religioni abramitiche (cristianesimo, ebraismo, islam) sono fortemente antropocentriche e filosoficamente uguali: forse è proprio per questo che, di fatto, sono sempre state in forte contrasto fra loro, con fasi alterne.
Mente estesa, Anima del Mondo, Inconscio Ecologico, Animismo, esseri senzienti, Madre Terra: non sanno neanche di cosa stiamo parlando, o fanno finta di non saperlo. Forse perché se ci sono queste idee di fondo, o comunque si trova la Divinità immanente nella Natura, non c’è più bisogno di intermediari: quelle tre visioni del mondo (che in realtà sono una sola) possono andare a casa, e con esse i loro sedicenti rappresentanti.
La parte laica dell’Occidente, più che mai seguace della “crescita” e fanaticamente legata al materialismo e alla visione cartesiana-newtoniana del mondo, si comporta nei fatti come un’altra religione: ha sostituito il merito selettivo dell’evoluzione al diritto divino conservando alla nostra specie tutti i suoi privilegi e il suo distacco dal mondo naturale. La scienza “ufficiale” continua su questa via, in netto disaccordo con le sue stesse conoscenze.
Conclusioni
Senza un sottofondo animista-panteista che dia un valore in sé (e non in funzione umana) a tutte le entità naturali, sarà ben difficile pervenire a modelli culturali veramente diversi e compatibili con i più grandi cicli naturali che persistono da centinaia di milioni di anni. Tra l’altro, l’animismo-panteismo è stata la visione del mondo durata più a lungo (forse due milioni di anni).
Possiamo sempre sperare in un “meraviglioso imprevisto”, ma comunque girerò in modo ottimistico le conclusioni: L’attuale civiltà industriale sempre-crescente è il modello culturale umano più distruttivo per la Vita che sia mai comparso sulla Terra. Quindi la sua prossima fine dovrebbe rallegrarci.
Bisognerà comunque gestire la transizione, e non sarà facile. Terminerò con due citazioni:
“L’uomo è la specie più folle: venera un Dio invisibile e distrugge una Natura visibile, senza rendersi conto che la Natura che sta distruggendo è quel Dio che sta venerando” Hubert Reeves (Astrofisico canadese)
"L’ideologia industriale è alle corde. Il tragico ecologico l’ha sconfitta" Guido Ceronetti – 1992
Guido Dalla Casa
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