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a cura di Roberta Marzola
La bomba demografica e il "rientro dolce" dei radicali
di Luigi De Marchi
Esattamente 6 anni fa, nel luglio del 2000, "Diritto e Libertà", la rivista trimestrale dell'Associazione Gaetano Salvemini diretta da Mariano Giustino, pubblicava un corposo numero di 400 pagine (dicesi 400) interamente dedicato ai problemi della Fame, del Sottosviluppo e dell'Immigrazione.
Erano tutti temi ovviamente e strettamente collegati a quelli dell'esplosione demografica: la fame perchè nessun incremento della produzione agricola può soddisfare i bisogni alimentari di popolazioni che, come accade nel Terzo Mondo, raddoppiano ogni venti-trent'anni; il sottosviluppo perché i soli paesi del Terzo Mondo che sono riusciti a uscire dal sottosviluppo sono quei pochi (Corea del Sud, Cina, Formosa, India, Hong Kong, Singapore) che hanno saputo associare l'economia di mercato alla regolazione delle nascite; le migrazioni disperate e massicce che stanno investendo l'Europa e l'America perché queste sono, dalla notte dei tempi, la prima risposta delle masse umane a una pressione demografica ingestibile sui loro territori. E, del resto, molti altri drammi sociali e naturali accennati nella rivista (dalla guerra all'inquinamento, dalla disoccupazione di massa alla desertificazione) hanno una causa cruciale nella bomba demografica.
A quel numero di "Diritto e Libertà" collaborarono con articoli e interviste decine e decine di esponenti del mondo politico e culturale italiano ed internazionale: da Aldo Aiello ad Antonio Baldassarri, da Angiolo Bandinelli a Carol Bellamy, da Gianfranco Spadaccia a Giovanni Negri, da Leonardo Sciascia a Jacques Diouf, da Barbara Spinelli a Staffan de Mistura, da Emma Bonino a Walter Veltroni, da Giampaolo Calchi Novati ad Antonio Martino, da Stefano Mazzocchi a Gaetano Coletta, da Massimo Cicogna a Renzo Foa, da Dario Armini ad Alessandra Spalletta e a tanti altri. E nel volume era incluso anche il famoso Manifesto-Appello lanciato il 24 giugno 1981 da 114 (dicesi 114) Premi Nobel, contro lo sterminio per fame.
Ma in nessuno, ripeto in nessuno di quegli articoli, né di quelle dichiarazioni né di quegli appelli autorevoli si diceva una parola, una sola parola sull'esplosione demografica, cioè sulla causa centrale dei tragici temi affrontati. Se quella causa centrale poté essere ricordata nel volume, fu solo perché il direttore, Mariano Giustino, prese l'iniziativa di chiedere anche a me un contributo che, dinanzi a quel silenzio assordante, io volli intitolare "L'esplosione demografica: una tragedia rimossa".
So bene che qualcuno mi accuserà a questo punto di essere autoreferenziale ma non è di certo colpa mia se in quel florilegio di riflessioni dispensate nel 2000 da decine di studiosi e politici cattolici e marxisti, liberisti e statalisti, sulle tragedie della fame, del sottosviluppo e delle migrazioni disperate, "la madre di tutte le tragedie" (come io definisco da decenni la crescita esplosiva delle popolazioni del Terzo Mondo) veniva sistematicamente ignorata o taciuta. L'omissione era particolarmente scoraggiante nel Manifesto-Appello dei 114 Premi Nobel, sia perché si trattava di scienziati che, in quanto tali, avrebbero dovuto essere abituati a testimoniare la verità oggettiva al di fuori di ogni dogmatismo ideologico, sia perché nel Manifesto-Appello essi stessi invocavano "una nuova volontà politica decisa, con assoluta priorità, a superare le cause di queste tragedie ed a scongiurarne così gli effetti". (Del resto, il tradimento di quegli accademici era prevedibile data la selezione a rovescio che le università, come ha dimostrato la mia analisi psicopolitica, producono nel mondo intellettuale e dato che gli stessi super-esperti universitari, i demografi, hanno sempre negato o ignorato la minaccia demografica).
Quel volume mi sembra dunque una testimonianza impressionante sia della totale rimozione della questione demografica che la schiacciante maggioranza delle forze politiche e scientifiche (comprese quelle sedicenti laiche e liberali) ha consumato negli ultimi trent'anni sotto la pressione dei dogmatismi religiosi e politici sia dei fattori psicologici e sessuofobici (i tabù sessuali di quei dogmatismi) che stanno alla radice dell'incredibile congiura di silenzio in questo campo e della simmetrica impossibilità di comprendere e risolvere, senza l'analisi psicopolitica, i grandi problemi della nostra epoca.
Recentemente, per fortuna, Marco Pannella ed un piccolo gruppo di radicali hanno ripreso a parlare della questione demografica auspicando un "rientro dolce" dei tassi di natalità entro limiti compatibili con le risorse del pianeta e i tassi di sviluppo socio-economico realizzabili nel Terzo Mondo. Per parte mia, non ho mai creduto alla liceità morale dei metodi coercitivi applicati per esempio dalla dittatura denghista cinese e mi batto da oltre trent'anni per introdurre gli strumenti della psicologia motivazionale e dei mass media nell'azione denatalista: si tratta di strumenti non violenti ma efficacissimi, come hanno dimostrato, già nel '75, alcune mie sperimentazioni pionieristiche in Italia e come oggi confermano le ben più vaste ricerche del Population Media Center in vari paesi del Terzo Mondo.
Purtroppo, nel mezzo secolo perduto dopo la fine della guerra mondiale per la cecità delle maggiori religioni e la viltà delle maggiori forze politiche e scientifiche, la bomba demografica è esplosa con estrema violenza, non solo producendo le tragedie che stanno sotto i nostri occhi, ma anche portando le popolazioni del pianeta a dimensioni tali da rendere oggi il loro sviluppo economico incompatibile con le risorse energetiche e agricole dei vari continenti e gettando così tutte le premesse sia d'una terza guerra mondiale per l'accaparramento delle risorse residue sia d'una crisi energetica ed economica catastrofica per l'umanità intera. Certo il rientro dolce auspicato da Pannella e dai radicali sarebbe oggi ancora possibile con gli strumenti della psicologia motivazionale mass-mediatica, ma temo che i nostri geniali leaders religiosi, politici e accademici continueranno a snobbarli e che il ridimensionamento del genere umano finirà per realizzarsi, in un futuro molto più prossimo di quanto non si creda. con i metodi tutt'altro che dolci profetizzati più di 200 anni fa da Robert Malthus: guerre, carestie e pestilenze. Le guerre avranno però questa volta, con le loro spaventose armi nucleari, chimiche e biologiche, una potenza distruttiva che Malthus non poteva prevedere e che potrà segnare la fine non solo della nostra specie (rivelatasi incapace di metabolizzare in Eros il proprio Thanatos, cioè di sublimare in amore la propria angoscia di morte) ma della vita stessa sul pianeta Terra. Così, con buona pace di chi nega la priorità dei fattori psicologici nei grandi fenomeni storici, religiosi e politici, l'umanità sembra ormai decisa o almeno disposta ad autodistruggersi, pur di non affrontare i suoi fantasmi interiori.
(tratto dal blog di Luigi De Marchi: www.luigidemarchi.it)
Dicembre 2006
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