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Laicità, ingerenze e dittatura della maggioranza

di Andrea

 

Leggendo qua e la i vari forum e i diversi articoli in cui si tratta l'annosa questione laici versus cattolici, mi sono accorto che le obiezioni per sostenere le tesi a favore dell'ingerenza dei rappresentanti ecclesiastici nella vita pubblica italiana da parte dei clericali o affiliati sono sempre le stesse. Ho deciso dunque di rispondere in maniera, spero, efficace a queste obiezioni per mostrarne l'inconsistenza.

Prima un paio di premesse terminologiche. Quando parlo di “laici” mi riferisco a tutti coloro i quali, indipendentemente dalla loro fede, ritengono legittime le convinzioni religiose individuali in campo morale ma reputano altresì che le stesse debbano rimanere nella sfera privata senza divenire norme, cioè senza trasformare peccati e precetti di una religione in reati e leggi di uno stato. La seconda premessa riguarda il termine “laicisti”; poiché ritengo dispregiativo e del tutto inesatto questo vocabolo, peraltro coniato ad hoc al fine di far credere che certe questioni non siano realmente laiche ma laiciste cioè estremiste intransigenti e clerofobiche, mi rivolgerò a tutti coloro che utilizzeranno questa terminologia impropria, con il lemma “cristianisti” al fine di indicare, a mia volta, con un termine preciso il fanatismo cristiano proprio di chi chiama i laici laicisti.

Nell'articolo indicherò i cavalli di battaglia dei cristianisti e spiegherò perché non si tratta di cavalli ma di ronzini zoppi visto che si tratta di posizioni liberalmente insostenibili e contrarie alla definizione stessa di “stato laico e democratico”. Prima di ciò però, occorre fornire una definizione di stato laico: è da ritenersi laico uno stato le cui leggi non siano l'emanazione delle dottrine di qualsivoglia religione e dove ogni culto, le cui dottrine non violino le norme di legge, abbia pari dignità.

- Argomento 1:
Il libero stato può trovarsi d'accordo con la Chiesa e dunque può promulgare leggi che siano concordi ai precetti religiosi della Chiesa.

Occorre fare una disamina delle motivazioni per le quali lo stato si trova d'accordo con le posizioni di una confessione religiosa (a) e se, queste posizioni di accordo, siano democraticamente sostenibili tanto da farle diventare leggi dello stato (b). Riguardo al punto (a) vi è una netta differenza tra una lecita posizione di maggioranza che nasce dal sano e libero dibattito delle opinioni in campo ed una posizione, illecita, la cui pretesa sia il frutto di un'estenuante pressione mediatico-politica da parte di una confessione religiosa che, oltre a ciò, impone moralmente ai propri accoliti di sostenere idee politiche ben definite, pena l'esclusione dal gruppo religioso stesso. Quando si parla di ingerenza ci si riferisce a quest'ultimo tipo di posizione. Le reiterate minacce da parte delle gerarchie religiose ai propri seguaci sono da considerarsi pressioni psicologiche inaccettabili, a maggior ragione se l'adepto in questione è un uomo politico che dovrebbe rappresentare tutti gli italiani e che dovrebbe decidere secondo la propria libera coscienza. Quest'ultima non può quasi mai essere completamente equivalente e conforme a quella della chiesa a cui appartiene l'individuo, specie sui temi etici, altrimenti sarebbe più opportuno parlare di plagio piuttosto che di libera coscienza. Riguardo al punto (b), anche se il politico di turno fosse personalmente d'accordo con alcune posizioni ecclesiastiche, è possibile che ritenga che tali posizioni non debbano diventare leggi dello stato perché, secondo lui, violerebbero indebitamente la libertà di scelta dei singoli e dunque, proprio in nome del pluralismo religioso e della libertà di scelta individuale, reputi che lo stato non abbia il diritto di imporre scelte etiche laddove non se ne presenti la strettissima necessità dovuta ad eventuali conflitti tra diritti fondamentali degli individui. In quest'ultimo caso, nessuna organizzazione religiosa può minacciare il politico di espulsione poiché egli sta assolvendo al proprio compito istituzionale di garante della democrazia pur condividendo le norme morali religiose. Un'organizzazione statale in cui tutte le leggi siano corrispondenti ai precetti di una singola religione non sarebbe nemmeno una democrazia ma una vera e propria teocrazia.

- Argomento 2
Quello che fa la Chiesa è agire all'interno della democrazia. Non costringe nessuno a votare, semmai convince.

E' molto sottile la distinzione tra convincere ed imporre. Nel caso di specie, le alte cariche ecclesiastiche si “limitano” a dire ai politici cattolici: “se votate leggi contro la morale cattolica non potete più considerarvi cattolici”. Ora, è facile comprendere che, con imposizioni del genere, diventa molto difficile per un qualsiasi reale credente agire secondo la propria coscienza, poiché, una scelta contro la morale della sua religione significherebbe distruggere tutto ciò in cui ha creduto fino a quel momento. Tale pressione può sfociare in un condizionamento molto pesante sulla capacità di libera scelta del politico che rimane, ricordiamolo, soprattutto un uomo. Accettare di far parte di un culto non può voler dire accettarne indiscriminatamente tutte le norme morali altrimenti non si tratterebbe di libertà di culto ma di vero e proprio condizionamento mentale. Ma anche se si accettassero indiscriminatamente tutte le norme etiche, ciò non significa tout-court che colui che le accetta pensi anche che tali norme debbano essere imposte per legge. Ripeto ancora, limitare per legge la libertà di scelta personale su temi etici delicati ove non vi sia conflitto tra diritti individuali è contrario alla definizione stessa di democrazia.

- Argomento 3
I cattolici hanno il diritto di tentare di far diventare le loro idee religiose leggi, esattamente come un laico ha il diritto di far divenire le sue idee leggi. Tra i due contendenti vince chi ha la maggioranza, questo accade in democrazia. Quello che per te è inconcepibile per altri può essere una sacrosanta verità, e hanno tutto il diritto di imporlo. Se si nega questo significa che si considerano le propri idee assolute e si nega la possibilità alla maggioranza di esprimersi.

L'errore fondamentale in questo passaggio è il concetto distorto di democrazia che i cristianisti vogliono far passare. E' incredibile dover ribadire, all'alba del terzo millennio, quale sia la corretta definizione di democrazia. Democrazia non significa dittatura della maggioranza! La nostra costituzione democratica infatti recita:

La libertà personale è inviolabile

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”.

Siamo di fronte all'annoso problema dell'equilibrio tra libertà individuali e potere democratico o della maggioranza. I citati passaggi della costituzione indicano che nelle reali democrazie devono essere tutelate le minoranze e soprattutto le libertà individuali. Lo stato, se vuole definirsi democratico, può intervenire restringendo la libertà di scelta personale attraverso le proprie leggi solo nei casi limite in cui, a causa della natura delle scelte, vi sia conflitto tra diritti tutelati, ovvero quando certi comportamenti implichino conseguenze non solo sui singoli ma sulla collettività. Lo stato democratico non può imporre norme morali relative a scelte del tutto personali laddove non vi sia conflitto tra i diritti dei cittadini. La maggioranza può imporre solo quelle regole che limitano quei comportamenti che possono essere lesivi dei diritti altrui, se così non fosse una maggioranza religiosa, ad esempio musulmana, potrebbe decidere che l'unica religione ammessa nello stato sia l'islam e non consentire che si professi nessun'altra religione limitando così la libertà di culto dei cittadini. Quando questo accade in altri paesi tutti, cattolici e cristianisti in testa, solerti e tronfi dichiarano: “quello stato non è democratico!” Quindi, com'è facile comprendere, non è affatto lecito, se vogliamo rimanere nell'ambito democratico liberale, che la maggioranza imponga tutto ciò che vuole. La maggioranza che si arrogasse il diritto di legiferare senza tutelare le minoranze e i singoli, ancor più nelle scelte morali personali, si trasformerebbe in un tiranno non diverso da un dittatore che imponesse a tutti la propria visione e ideologia. A tal proposito molto bene si espresse il saggista e sociologo politico francese Alexis Clérel de Tocqueville:

"Vedo chiaramente nell'eguaglianza due tendenze: una che porta la mente umana verso nuove conquiste e l'altra che la ridurrebbe volentieri a non pensare più. Se in luogo di tutte le varie potenze che impedirono o ritardarono lo slancio della ragione umana, i popoli democratici sostituissero il potere assoluto della maggioranza, il male non avrebbe fatto che cambiare carattere.
Gli uomini non avrebbero solo scoperto, cosa invece difficile, un nuovo aspetto della servitù… Per me, quando sento la mano del potere appesantirsi sulla mia fronte, poco m'importa di sapere chi mi opprime, e non sono maggiormente disposto a infilare la testa sotto il giogo solo perché un milione di braccia me lo porge".

Alla luce di tutto ciò, qualsiasi associazione di persone, religiosa o laica che sia, che voglia imporre per legge delle limitazioni alla libertà individuale non strettamente necessarie non si comporterebbe affatto democraticamente. Un cattolico, con le attuali leggi, è libero di scegliere se divorziare o meno, se abortire o meno e la stessa cosa può fare un ateo, se il divorzio e l'aborto fossero invece proibiti per legge, la libertà di scelta dell'ateo sarebbe forzatamente e inutilmente limitata a causa dell'imposizione a tutti di una precisa ideologia religiosa. Non vi è infatti alcun motivo sociale ne giuridico ne di conflitti di diritti tra individui o tra individui e società per limitare la libertà di scelta dell'ateo nei casi sopra esposti, dunque qualora ciò succedesse saremmo perfettamente di fronte alla “dittatura della maggioranza” egregiamente descritta da Tocqueville. I religiosi che volessero imporre le proprie posizioni ai non credenti, si comporterebbero come veri e propri dittatori, anche quando rappresentassero la maggioranza assoluta dei cittadini di uno stato.

A volte i cristianisti rispondono a quanto sopra esposto, nel caso specifico dell'aborto, che, poiché secondo loro un ovulo fecondato è già una persona, l'aborto diventa un vero e proprio omicidio ed è dunque loro diritto e dovere far punire l'omicidio dallo stato rendendo illegale l'aborto al fine di tutelare il diritto alla vita di qualsiasi individuo. A costoro rispondo che, come abbiamo visto, le opinioni religiose, se anche fossero quelle della maggioranza, non possono diventare leggi senza prima una profonda riflessione razionale. Parlo di razionalità perché è solo la ragione ad essere il punto comune sul quale possono confrontarsi credenti e non credenti al fine di giungere a delle verità condivise. Dunque occorre, attraverso la ragione, cercare di capire se vi siano basi razionali e ragionevoli per ritenere un ovulo fecondato una persona. Per questo esistono i comitati di bioetica che analizzano, o dovrebbero analizzare, le questioni importanti dal punto di vista prettamente razionale senza alcuno spazio per le fedi religiose personali. Se dopo un'attenta analisi questi comitati sostenessero che un ovulo fecondato è da considerarsi una “persona umana”, allora le pretese dei cattolici potrebbero definirsi legittime. Fino ad oggi nessun comitato di bioetica ha sostenuto nulla del genere e dunque nessuno può pretendere di imporre a colpi di maggioranza una convinzione, cioè che l'ovulo fecondato sia già un una persona, basata unicamente sulla fede ovvero su una credenza personale non giustificata in alcun modo. Sarebbe infatti come dire che se la maggioranza credesse, per questioni religiose, all'esistenza delle streghe malvagie allora sarebbe lecito promulgare una legge che preveda la persecuzione delle donne in odore di stregoneria e a nulla varrebbero le ragioni razionali di chi sostenesse che la stregoneria non esiste!

 

Andrea
www.animelibere.net

 

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