Riflessioni sul Cristianesimo
di Pier Angelo Piai
Unici ed irripetibili
Settembre 2012
Rispose Gesù: né lui ha peccato né i suoi genitori, ma é così perché si manifestassero in lui le opere di Dio (Gv, 9, 1-2)
Molti “reincarnazionisti” aderiscono ad una tal visione dell'uomo perché rettifica meglio il concetto di giustizia divina. In parole povere osservano: nel mondo ci sono diverse situazioni, c'é gente che soffre terribilmente a causa di malattie, disagi, lutti, condizioni sociali diverse etc. Un Dio giusto non può permettere contemporaneamente il morente di fame accanto al sazio, il malato accanto al sano.
Tutto diventa più accettabile se ammettiamo che l'handicappato sta semplicemente purificandosi dalle erronee azioni compiute nelle vite precedenti, mentre colui che gode la vita presente ha ben vissuto in quella precedente. Queste considerazioni ci lasciano piuttosto perplessi.
E ciò alla luce della Rivelazione.
Basta meditare sull'infinità libertà di Dio che si manifesta nella creazione. In essa esplode la sua infinità creatività. Un semplice prato può contenere una grande varietà di fiori: la pratolina può coesistere accanto al narciso o al giglio... eppure nessuno disprezza il piccolo mughetto o la violetta nascosta.
Contempliamo la natura proprio perché é varia. Immensi campi di girasole potrebbero anche annoiare.
Proprio perché la "gloria di Dio é l'uomo vivente" la creatività si manifesta soprattutto nella varietà umana. Riflettiamo, ad esempio sull'esistenza di colui che riteniamo "handicappato".
Un ragazzo affetto dalla sindrome di Down o mongolismo, sta scontando, secondo alcuni reincarnazionisti, gli effetti delle errate azioni compiute nelle vite precedenti. Lui non ne ha coscienza... ma le sta scontando. Ha senso una affermazione del genere? Può scontare qualcosa di cui non ne ha coscienza? La morale cattolica ci ha sempre insegnato che il vero peccato implica piena avvertenza e deliberato consenso ed il pentimento consiste nel detestare sinceramente le cattive azioni commesse.
Si potrebbe presumere, allora, che secondo il reincarnazionista quel povero ragazzo difficilmente potrà uscire dalla sua situazione: anzi la sua trasmigrazione successiva potrà subire un processo involutivo irreversibile fino a che qualcosa interverrà a cambiare la situazione... ma cosa? Un ciclo pressoché infinito?
Questi concetti cozzano, invece, con quello della infinita misericordia di Dio,che non é disgiunto dalla sua libertà. San Paolo afferma:
"C'é forse ingiustizia da parte di Dio? No certamente! Egli infatti dice a Mosè: Userò misericordia con chi vorrò, e avrò pietà di chi vorrò averla. Quindi non dipende dalla volontà né dagli sforzi dell'uomo, ma da Dio che usa misericordia... con chi vuole e indurisce chi vuole... O uomo, tu chi sei per disputare con Dio? Oserà forse dire il vaso plasmato a colui che lo plasmò: "perché mi hai fatto così"? Forse il vasaio non é padrone dell'argilla, per fare con la medesima pasta un vaso per uso nobile e uno per uso volgare?... (Rm. 9, 14-24).
Tutto ciò che esiste, dunque, é per la manifestazione della gloria di Dio che noi non possiamo valutare o giudicare.
Ma perché il "reincarnazionista" avverte in sé un'evidente ingiustizia divina nel pluralismo di infinite situazioni esistenziali, partendo dal presupposto cristiano dell'unicità ed irripetibilità di ogni uomo?
Qui si tratta di armonizzare il cuore e la mente, il sentimento e la ragione. Colui che ha detto del cieco nato: né lui ha peccato né i suoi genitori, ma é così perché si manifestassero in lui le opere di Dio (Gv, 9, 1-2) é infinitamente più giusto di ogni uomo che da Lui é creato a "sua immagine e somiglianza".
Dovremo quindi ritenerlo ingiusto, noi poveri mortali, per la semplice coesistenza di queste infinite situazioni così diverse le une dalle altre?
Bisognerebbe accordarci sulle premesse che ci consentono di esprimere giudizi in base al nostro parametro valutativo. Ogni "handicappato" che incontriamo sul nostro cammino evolutivo spesso ci turba e accende nel nostro inconscio mille interrogativi che cercano di ridefinire in noi il concetto di giustizia di un Dio che permette situazioni esistenziali così pietose. Una mente equilibrata, che non si lascia offuscare da un eccessivo sentimentalismo, dovrebbe ampliare il suo orizzonte attraverso uno sguardo d'insieme dell'Universo. Dovrebbe ammettere che la gloria di Dio si manifesta anche negli esseri "inferiori" all'uomo appartenenti al mondo vegetale ed animale.
Essi sono ritenuti "inferiori" per il diverso grado di coscienza, se ammettiamo che anche una pianta ha una percezione "embrionale" relativa agli stimoli esterni o ambientali che riceve. Nessuno, comunque, si sogna di affermare che Dio é ingiusto per aver creato gli esseri "inferiori" all'uomo, minerali, piante o animali... Nell'ambito umano é errato ritenere un male la diversità di tutte le persone: anzi essa é una ricchezza! E' la visuale dell'uomo che opera una profonda discriminazione interiore.
Si obbietterà: "ve la sentireste di essere al posto dell'handicappato?". Una simile obiezione è insensata, in quanto ogni persona é unica ed irripetibile con le sue caratteristiche genetiche, somatiche, psicologiche e storiche. Spesso l'handicap per noi coincide con la "diversità" fisica e psicologica. Inconsciamente ci riferiamo ad un parametro "ideale" basato, però, su pregiudizi di ordine estetico od etico.
Se veramente ragionassimo a fondo e serenamente non ci scandalizzerebbe più la "diversità" che per esistere ha sempre bisogno di un motivo in più che sfugge alle nostre categorie mentali. Questi pregiudizi estetici od etici, poi, potrebbero benissimo ritorcersi sulla nostra persona: rispetto all'ingegnere, ad esempio, ci sente un portatori di "handicap", se per esso intendiamo anche il dislivello culturale relativo alle competenze e alla professionalità.
Così pure rispetto a un medico, ad uno scienziato o ad un contadino... Tutto ciò perché spesso non ci é ben chiaro il concetto di "persona" che confondiamo con il suo ruolo. I pregiudizi causano sempre sottili discriminazioni che attecchiscono subdolamente nell'inconscio di chi non si lascia purificare dall'azione divinizzante dello Spirito. In base a questi presupposti che tipo di obiettività può essere attribuita alla nostra capacità di giudizio? Posso sinceramente affermare che il "mongoloide" é più disgraziato di me? Forse il vero errore consiste nel proiettare sugli altri il nostro concetto di "autorealizzazione" che inconsciamente vorremmo standardizzare. Ogni persona ha un suo grado di autorealizzazione perché é diverso il suo modo di vedere la vita e il mondo, e diversa é la sua sensibilità.
Queste "diversità" ci turbano perché non abbiamo ancora capito che il mistero della creatività divina si cela in esse. E qui interviene ad illuminarci la Redenzione operata da Gesù Cristo la cui passione e morte turbano ancor oggi, a distanza di secoli, il nostro tranquillo sentirci cristiani. Per inciso, sarebbe interessante conoscere il pensiero di un reincarnazionista che vuol essere sinceramente cristiano: alla luce delle sue teorie come si pone il Cristo sofferente Uomo annoverato tra i malfattori e tra i più abbietti tra gli uomini a causa delle sue umiliazioni e patimenti?
La riflessione cristiana non ha sempre affermato che il Cristo si é caricato di simili sofferenze per effonderci lo Spirito del Padre e riconciliarci a Lui in un estremo atto di misericordia? Sin da fanciulli ci abituiamo a vedere la sofferenza al negativo. E in effetti, presa in sé stessa appartiene solo a questo mondo limitato e corruttibile, quindi va sconfitta.
Ma la sofferenza vista in un contesto diverso, ha un'altra prospettiva, non è mai fine a se stessa: essa ha delle finalità che ci sfuggono ed è sempre finalizzata ad una libera "autorealizzazione" che coincide con una certa pienezza che ogni persona, dal bimbo all'anziano, dal sano all'ammalato, dall'ignorante al colto, dal povero al ricco, dallo schiavo al padrone, dal brutto al bello, dovrà raggiungere.
In questa prospettiva sono convinto che anche l'handicappato colpito da insufficienza mentale raggiungerà una sua pienezza che a noi non spetta giudicare: ciò che varrà nel mondo dell'amore, cioè nel Regno dei Cieli, sarà il grado di assimilazione raggiunto in Cristo e proporzionale alle reali capacità di ciascuno che agisce nei limiti posti dal Creatore. Nella casa del Padre, infatti, ci sono "molte mansioni" e la gloria di Dio risplenderà in tutti coloro che hanno risposto al suo appello amoroso.
Scopriremo, allora, che tutte le nostre lacrime, fatiche, dolori, ingiustizie, persecuzioni, non erano altro che il pungolo dell'autorealizzazione...
Come conciliare sinceramente la visuale reincarnazionista con le beatitudini? Che beatitudine é mai quella di un sofferente che sta scontando antefatti di cui nulla ricorda?
Nel contesto cristiano l'ipotesi reincarnazionista solleva ancora più perplessità e contraddizioni della dogmatica tradizionale.
L'insegnamento della Chiesa ereditato dal Cristo pone tutto alla luce del Cristo morto e risorto. Solo così sarà possibile accettare il fatto che tutte le diverse esistenze, uniche ed irripetibili, rientrano nel misterioso piano di salvezza scaturito dalla misericordia di Dio che ha voluto le diversità per attivare l'amore reciproco che in Lui dovrà ricongiungersi nell'eternità.
Pier Angelo Piai
www.mondocrea.it
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