Riflessioni in forma di conversazioni
di Doriano Fasoli
Interviste a personaggi della cultura italiana e straniera - Indice
Reinventare la salute al tempo della paura. Perù: scambi, incontri, dis-incontri
Conversazione con Pia Maria Koller (Medico, Antropologa)
di Doriano Fasoli per Riflessioni.it - luglio 2007
Koller, partiamo dal titolo del tuo libro, pubblicato da Liguori: perché parli di “reinventare” la salute nel Perù odierno?
Ho voluto sottolineare, sin dal titolo, la dinamicità di concetti quali salute e malattia. Le popolazioni quechua delle Ande peruviane hanno dovuto rielaborare le loro strategie di cura per far fronte ai tanti urti, dis-incontri, della storia: la Conquista spagnola che ha sovrapposto una spiegazione cristiana alla cosmovisione locale; poi l’introduzione – con modalità spesso coercitive – della medicina moderna, la biomedicina, ed infine, l’impatto di venti di anni di guerra (1980-2000) che hanno inasprito gli squilibri preesistenti e indebolito le reti sociali ed affettive.
Lo stesso sistema sanitario è stato profondamente colpito da questa guerra, come d’altronde succede in tante altre situazioni di guerra. Questo significa che, le iniquità quali le difficoltà d’accesso alle strutture sanitarie – per motivi geografici, culturali e economici – si sono ulteriormente inasprite. Nella situazione attuale di post-conflitto, si tratta in effetti di ripensare non solo le concezioni riguardanti salute e malattia ma anche la proprio identità, l’essere indigeni in un mondo che, da una parte aderisce ad un modello esclusivo di modernità e che dall’altra parte rilancia sentimenti cosiddetti “etnici” in opposizione alla globalizzazione.
Ma non credi che queste popolazioni dispongono di una tradizione medica ancestrale più vicina ai loro bisogni e credenze?
Sicuramente sotto certi aspetti queste tradizioni – proprio perché sono dinamiche e non, come si tende a credere, immobili e chiuse al cambiamento – offrono soluzioni pratiche alle angosce della vita. I bisogni di oggi non sono gli stessi di una volta, basti pensare all’urbanizzazione, e di conseguenza le stesse modalità terapeutiche dei guaritori si sono profondamente modificate, adottando tecniche prese in prestito dalla biomedicina e da altri sistemi medici. D’altronde questa contaminazione riguarda pure il sistema biomedico anche se in misura più limitata.
Ecco l’aspetto dell’incontro e dello scambio. Siccome però non esistono più società isolate (dalla modernità) e le malattie sono “senza frontiere” – basta pensare alla recrudescenza della tubercolosi non solo in quest’area ma in molte sacche di povertà del mondo – non vi può essere equità senza accesso ai trattamenti moderni. Così, di fronte all’impossibilità di scelta terapeutica, la propria tradizione medica può essere percepita come dolorosamente carente. Allora non sono d’accordo con progetti di sviluppo tesi a rilanciare le medicine tradizionali senza garantire un equo accesso alle cure moderne.
Il capitolo “Tiempos de susto” (“Tempi della paura”) riveste effettivamente un ruolo di “cerniera”. Ci puoi spiegare meglio questo aspetto?
Conoscendo la realtà di questi “anni di paura” e tenendo conto dell’importante lavoro svolto dalla Comisión de la Verdad y de la Reconciliación (reso pubblico nel 2003) si può affermare che ciò che accomuna le vittime della violenza a quelle colpite da malattie e, al contempo, escluse dalla cura, è la loro identità: l’essere indigeni, di origine rurale, analfabeti o con basso livello di scolarità. Il lavoro di riconciliazione non può perciò prescindere da una concezione etica della salute quale diritto umano. Riparare i danni della guerra significa innanzitutto sovvertire quelle dinamiche di oppressione e di violenza strutturale che erano alla radice del conflitto stesso, non solo in Perù.
Quale può essere il ruolo dell’antropologia in un simile contesto?
L’antropologia attuale riveste un ruolo fondamentale in questi contesti in movimento, dove si tratta soprattutto di de-costruire concetti quali identità e tradizione e, per quanto riguarda la malattia, mettere a nudo le scelte dettate piuttosto dalla povertà e dalla disuguaglianza che da una generica “cultura”. Parliamo di un’antropologia capace di porsi al margine, di dialogare con altre scienze, la medicina innanzitutto, ma anche la storiografia, la filosofia, l’economia... onde offrire quelle risposte capaci di sanare le ferite inferte da guerre e violenze. Si tratta perciò di un saggio rivolto non tanto a specialisti, ma a tutti coloro che s’interessano di problematiche quali diritti umani e salute, guerra e violenza, popolazioni indigene e modernità.
Doriano Fasoli
Il libro: Reinventare la salute al tempo della paura. Perù: scambi, incontri, dis-incontri di Pia Maria Koller
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