Il falso Mozart

Conversazione con Enzo Funari
di Doriano Fasoli per Riflessioni.it

- settembre 2005

Sovente la parola è usata per non dire, copre con rimandi infiniti e significati, che si perdono come ponti sul nulla, modi di dire per non dire. Oppure ci si appoggia alle parole dette, a quelle scritte, ai tanti autori, alle idee, alle varie scienze o per imitazione o per analogia, per allusione o per opposizione: sono parole di altri. Ma noi usiamo mai parole nostre? Meglio: quand'è che la parola diventa nostra? La nostra unica parola è forse la sofferenza? "Lei ha sollevato un problema essenziale", risponde Enzo Funari (Professore di Psicologia dinamica all'Università degli studi di Milano-Bicocca e Membro Ordinario della Società Psicoanalitica Italiana e dell'International Psychoanalytical Association) del quale Cortina ha pubblicato il volume Il falso Mozart. Arte e patologia dell'imitazione. La parola, come la vista - prosegue Funari -, "sono potenti mezzi di comunicazione ma si prestano spesso all'occultamento: ascoltare e essere ascoltati appartiene a una delle esperienze più difficili. Esiste un mondo sommerso in ciascuno di noi, fatto di sensazioni, emozioni, fantasie che avvertiamo come inesprimibili con il linguaggio e appartenenti a storie psichiche originatesi nell'infanzia, nella fase pre-verbale, storie di dolore ma anche di gioia. A questo mondo si rivolge il Falso Mozart".

Professor Funari, può dare qualche spiegazione circa la scelta del titolo?
Si tratta di un caso clinico che conclude il libro e la cui lettura consente di rintracciare quanto è stato affrontato nel lavoro, sui vari piani, cioè la fenomenologia e il senso dell'imitazione nell'apprendimento, nella creatività e nella patologia.

Quand'è che l'imitazione assume una dimensione patologica?
Imitare l'altro - cioè sentirsi l'altro - è un movimento iniziale che svolge una funzione di apprendimento al servizio della crescita. Il bambino dal momento della nascita comincia ad imitare gli oggetti che incontra (la madre per eccellenza) allo scopo di colmare - inizialmente in forma allucinatoria - il distacco avvenuto dal corpo materno. Inizia così il cammino dell'imitazione, come processo di accostamento all'alterità. Se a causa di sofferenze precoci, più o meno gravi, si verifica un arresto del processo imitativo, insorgono forme di patologia: tutto ciò che è altro o diverso diventa fonte di angoscia e l'imitazione tende ad annullarli, facendoli sentire come una parte di noi.

In che cosa consiste la profonda originalità del pensiero dello psicoanalista Eugenio Gaddini (scomparso nel 1985 e del quale Cortina pubblicò gli "Scritti") rispetto al tema dell'imitazione?
Eugenio Gaddini ha avuto il merito di essere stato l'unico analista - prima del Falso Mozart - ad occuparsi della imitazione in modo approfondito, chiarendo la differenza tra imitazione e identificazione. Difatti se mi identifico con qualcuno conservo i miei confini, se invece imito massicciamente, li perdo.

Ha scelto di esaminare "Psyco" di Hitchcock e "Zelig" di Woody Allen perché le è sembrato che questi due film diano ben conto della patologia dell'imitazione?
Ho preso ad esempio "Psyco" e "Zelig" in quanto le due storie filmiche narrano con immagini quanto ho detto prima sulla angoscia della separazione e sui problemi connessi alla conquista della nostra soggettività.

Secondo lei la Grande Arte può sottrarsi ai processi imitativi?
Ogni artista, come ho cercato di dimostrare nel capitolo "Imitazione, creatività e arte", inizia il proprio lavoro imitando i Maestri suoi e del passato o rifacendosi a determinati stili; ma, se è veramente un buon artista riesce a travalicare l'originario e indispensabile orizzonte imitativo, creando nuove forme espressive. Tale vicenda, comunque, appartiene a tutti - artisti o no - nella nostra vita quotidiana, sempre sospesa tra l'imitazione e la ricerca di uno spazio e di un senso per noi in un mondo di fatti.

Doriano Fasoli

 

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