Roma criminale

Conversazione con Cristiano Armati e Yari Selvetella
di Doriano Fasoli per Riflessioni.it

- Dicembre 2006

“Volevamo raccontare la Storia recente di Roma attraverso i fatti, spesso drammatici, che si sono impressi nella memoria collettiva, finendo per far parte dell’identità stessa della città”, dicono Cristiano Armati e Yari Selvetella, autori di Roma criminale, un libro (edito dalla Newton Compton) il cui scopo è quello d’indagare il lato oscuro della città eterna. “Come scrittori - proseguono - abbiamo sempre privilegiato storie calate nel corpo vivo della metropoli. Raccontiamo una città forse sconosciuta a chi la osserva superficialmente, una città intera che va ben oltre i confini dei circuiti turistici e le stratificazioni iconografiche a cui è continuamente sottoposta”.

 

Quale arco di tempo abbraccia il vostro libro?
Roma Criminale racconta fattacci, delitti, intrighi, misteri avvenuti tra l’unificazione d’Italia e i giorni nostri. Dalla Roma mollemente adagiata sui sette colli, popolata di pupi e barcaroli, come in vecchi acquerelli, siamo arrivati alla metropoli dei giorni nostri, passando per gli entusiasmi della Roma Umbertina, le ipocrisie del fascismo, i dolori della guerra, le trame postbelliche. Sono storie in cui moltissimi romani – e non solo loro – non avranno difficoltà a riconoscersi. Noi per primi siamo cresciuti ascoltando queste favole nere, ma anche le storie di una città che ha spesso dimostrato il suo coraggio.

 

La vostra ricostruzione della storia criminale di Roma ha richiesto un lungo periodo di ricerca?
Potremmo dire che è tutta la vita che accumuliamo materiale su questi temi. Per noi occuparci della realtà che ci circonda, esserne affascinati, indignati o complici è un tutt’uno con lo scrivere. Il lavoro vero e proprio è cominciato circa due anni fa e, per questo, dobbiamo ringraziare la Newton Compton che ci ha sostenuto nel progetto di Roma Criminale.

 

Quali sono state, per voi, le storie criminali più eclatanti?
La storia di Gino Girolimoni: un innocente additato al pubblico ludibrio per cercare di salvare l’ordine apparente imposto dal regime fascista e per cercare di distogliere l’opinione pubblica dall’omicidio di Giacomo Matteotti. E poi la storia di Luciano Luberti, “il boia di Albenga”: un criminale che, pur colpevole di centinaia di omicidi, riuscì a farsi solo pochi mesi di galera.

 

Le odierne azioni delittuose hanno connotazioni molto diverse rispetto al passato?
La cronaca nera contemporanea dà spazio alle paure del nuovo secolo, basti pensare al terrorismo islamico o, per quanto riguarda Roma, a quell’assurdo fenomeno di vandalismo anonimo che c’è dietro l’azione dei piromani ribattezzati con il nome di “serial killer dei motorini”. Più in generale, poi, l’attenzione dell’opinione pubblica è catturata dai cosiddetti “delitti di prossimità”, vale a dire tutti quei delitti in cui la famiglia si riscopre come luogo di orrore e morte più che come luogo di tranquillità e protezione.

 

Quali progetti avete per il futuro?
Stiamo lavorando molto. Da un lato siamo ancora impegnati in ricerche sui fenomeni criminali. Entro la fine dell’anno contiamo di portare a compimento due nuovi progetti su questi temi, tornando a raccontare storie che sfidano gli aspetti più inquietanti della nostra società. Dall’altro va avanti la nostra attività di narratori con racconti e romanzi. Il problema è afferrare il filo sottile che divide la realtà dalla finzione. Ce ne siamo accorti con Roma Criminale: spesso la realtà è molto più inverosimile delle storie che inventiamo.

Doriano Fasoli

 

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