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Riflessioni sull'Antroposofia. La Scienza dello Spirito

Riflessioni sull'Antroposofia

La Scienza dello Spirito

di Tiziano Bellucci   indice articoli

 

La concentrazione "musicale"

Gennaio 2014

 

A titolo sperimentale, vorrei portare alcune mie esperienze riguardo la concentrazione.
Dopo anni di pratica, dedicandomi all'oggettivazione della mia sostanza mentale e alla sua osservazione, andando così a determinare la creazione dell'immagine di sintesi secondo la disciplina di Scaligero, sono giunto ad approfondire, aggiungere e a proporre alcuni nuovi punti di esecuzione. Che reputo personali.
Con questa pratica "o variante" voglio portare uno stimolo a procedere oltre nelle sperimentazioni.
E' ovvio che non mi sento autorizzato a cambiare indicazione o contraddire Steiner e Scaligero. Rudolf Steiner non ha mai dato indicazioni precise per eseguire un esercizio, ma lo ha sempre fatto in modo elastico e ampio: appunto per lasciare ad ognuno la libertà di applicazione a seconda del proprio destino e individualità.
Oggigiorno parlare di una "tecnica generale" appropriata a tutti, è anacronismo.
Anche i sintomi delle malattie oggi sono individuali: non ci assomigliamo neppure nel modo di ammalarci. Segno che stiamo sempre più andando verso un individualizzazione dei contenuti.
Le indicazioni, quando sono precise, in questa epoca sono sempre personali. E riflettono un esperienza ed un livello personale conseguito. Possono quindi valere per altri che hanno diverse esperienze e diversi livelli?
L'oggettività di un insegnamento sta nel fatto che esso deve agire allo stesso modo per tutti. Ma un contenuto può essere oggettivo, soltanto se è artistico. Perché solo l'arte può collegarsi all'individuo, non le parole o i concetti.
Costringere un processo entro un discorso dialettico è certo scientifico, ma poco spirituale. Se inseriamo un elemento artistico come la poesia, la prosa, la musica, la danza o qualsiasi arte, insieme ad una procedura esoterica allora la cosa cambia: diventa scienza spirituale.

E questo lo dico per affermare che la "variazione" dell'esercizio che seguirà è "personale". Quindi non artistica. Come altre indicazioni vestite di parole. Può però portare "qualcuno" in qualche direzione.

"In Lui era la Vita e la vita è la luce degli uomini": la Vita eterica universale (Logos) è vita del corpo, luce dell'anima e voce nello Spirito."
L'essenza del pensare in realtà è "forza eterica". E in natura si presenta dapprima come "vita". Vivifica gli organismi, dandosi dapprima come vita nei vegetali; poi diviene coscienza di essere vivi (esistere) negli animali; e infine appare come autocoscienza di essere negli umani. Si tratta di 3 tipi di vita.
La vita può diventare però anche al contempo "luce": illuminazione della consapevolezza di vivere, di esistere.
Così come il sole è vita: con luce e calore, diffonde esistenza. Senza luce non vi sarebbe vita nel mondo degli organismi: così come non vi sarebbe coscienza negli animali e nell'uomo senza la "vita" dell'anima che fornisce un barlume di orientamento sul fatto di "essere".

Una volta appurato che l'essenza del pensare è in se pura Vita, è indubbio che se ne può avere un esperienza cosciente soltanto attraverso un approccio vivente. Che non può essere di certo quello dialettico: il contrario della vita.
Scaligero parla spesso della necessità del "cessare della dialettica".
Il "problema" o se vogliamo "il dubbio" che mi è sorto in questi anni di pratica è l'uso della base dialettica su cui comunque si fonda tutto l'esercizio. La quale lo colloca in un ambito di "astrazione" elevata.
Il fatto che tutta la produzione in immagini venga fatta attraverso "un parlato" mentale mi ha sempre creato qualche imbarazzo. Perché vi sento sempre, la presenza di un elemento o atmosfera "artificiale": artificiale come l'oggetto su cui si impernia la concentrazione.
Dopo l'esecuzione dell'esercizio della concentrazione, mi sono spesso chiesto: "ma non sarà che sto creando un astrazione terribile? Che mi trovo davanti soltanto ad un nulla? Che questo "nulla" (essenza spirituale?), è stato creato solo per illudermi di esser di fronte ad una esperienza di osservazione oggettiva? Non ho creato solo la suggestione, di "credermi" di fronte al mio pensare? Mentre sono solo intessuto in una favolosa astrazione, priva di ogni connessione con eventi spirituali oggettivi? Non "mi sto raccontando" un procedimento solo per soddisfare, per simulare un ipotetica esperienza spirituale?
Ma se esso fosse invece solo una "costruzione della mente"?

In questi ultimi tempi, ho provato ad eseguire l'esercizio sempre seguendo i canoni tipici, ma cercando di eliminare la forma dialettica, ossia smettendo di pensare con le parole. Chi pratica tale esercizio sa bene, che nella fase iniziale di costruzione, questo è impossibile. Il "nominare" serve ad evocare le immagini, a produrle. Sfido chiunque a farlo (almeno al principio dell'esercizio) senza pensare con le parole. Ma come fare per penetrare nella sfera del vivente in modo cosciente senza usare parole? Ecco la mia proposta.
Ho provato ripetutamente, a concentrarmi sulle varie fasi di costruzione, analisi e origine dell'oggetto inserendovi una "colonna sonora" prodotta da me stesso. Ossia: mentre "immaginavo" le forme, le fasi di costruzione dell'oggetto, anziché "parlare, raccontare" ciò che sarebbe dovuto accadere nella genesi dell'oggetto, inventavo una melodia inedita.
La melodia, le note che si susseguivano, andavano a sostituire le parole (che avrebbero dovuto servirmi per l'analisi).
E ho notato che questo rendeva possibile l'esecuzione dell'esercizio, annullando il processo dialettico.
Se immaginavo il boscaiolo che tagliava l'albero e ne faceva tavole fino a produrre uno stuzzicadenti, ogni fase era "sostenuta" dalla mia produzione sonora mentale, senza l'uso di "parole". E questo lo sentivo "molto sano".
Inoltre, avvertivo che man mano che producevo immagini, la melodia andava sempre più a crescere, a definirsi, a ripetersi, sino a prendere lei stessa una forma più congrua ed efficace: come se si animasse, di un contenuto caratteristico. Come corrispondente alla sequenza di immagini, come rappresentante del lavoro mentale in atto.
Di fatto dopo 10 minuti di esercizio, la melodia si riduceva ad un minimo di 8 battute di ritornello, che si ripeteva di continuo, aumentando in intensità di suoni, di strumenti e di arrangiamenti.
A tal punto cessavo di immaginare delle forme, di produrre immagini, cancellavo ogni cosa, nella visuale interiore.
Rimaneva solo la musica che aleggiava nell'anima: simbolo del lavoro precedente di edificazione.
Fermavo ora anche la sequenza ritmica temporale melodica, in modo di fare restare solo "l'atmosfera": l'intonazione animica. Avevo trovato una sintesi interiore priva di forma di immagine? Costituita di solo contenuto? La forma si era fatta contenuto: ed era un fatto reale, vivente, non astratto. Essa "pulsava" ricca di vita in me. E potevo contemplare il mio lavoro precedente in "forma di potente sentimento".

Durante l'esercizio, non ci si deve abbandonare all'impressione animica di sentimento che avvolge il processo di edificazione delle immagini. L'attenzione e lo sforzo deve essere diretto verso la costruzione delle "fasi" rappresentative. La creazione musicale deve sostituire l'uso del linguaggio. Solo alla fine dell'esercizio (una volta cancellate immagini e tema musicale)  occorre contemplare il proprio sentire.
L'atmosfera animica andrà a simbolizzare, rappresentare l'oggetto della contemplazione del lavoro  totale. E il processo risulterà potenziato dalla forza del sentimento musicale.

Mi permetto ancora di aggiungere che anche "pensare" una melodia è "pensare".  E' vero che si "sente" la musica. Ma per produrla bisogna prima pensarla. La "melodia" che è un susseguirsi di nota dopo nota nel tempo, è analogo al pensare conseguente.

Non voglio con questo scritto ora contestare la "vecchia" pratica: sto solo proponendo una variante aggiuntiva.  Sostituire una melodia inedita, prodotta seduta stante da noi stessi, al posto dell'attività "descrittiva" dialettica.
Si provi a concentrare cantandosi in testa una melodia (ovviamente senza distrarsi). Si vedrà subito l'effetto: la concentrazione viene subito agevolata. Non dico di "ascoltare" della musica esterna: dico di "produrla". Ci si deve sforzare a pensarla, e a tenere presente davanti alla coscienza la sensazione che essa trasmette. Il "filo" conseguente deve essere dato dalla metrica delle note e dall'atmosfera animica suscitata. E' curioso che cantando, sia avverte che la coscienza si "trasla" da sé dalla sfera del pensare a quella sfera del sentire: non necessitando di parole e di dialettica.

Come ho già detto precedentemente, mi permetto di fare queste affermazioni dopo anni di pratica dell'esercizio della concentrazione "secondo Massimo Scaligero". Durante questo periodo ho anche elaborato uno scritto particolareggiato sulla sua esecuzione, che invito a leggere al seguente link (onde prendere visione che la mai procedura si fonda su conoscenza e pratica reale).

 

Tiziano Bellucci

 

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