Riflessioni sull'Antroposofia
La Scienza dello Spirito
di Tiziano Bellucci indice articoli
L'alterazione dell'attività percettiva nell'uomo
Gennaio 2015
Analizziamo ora un altro ostacolo che si pone come interferenza fra l’Io dell’uomo e la conoscenza del mondo.
Solitamente l’attività di percezione si attua tramite il passaggio corpo fisico, anima e Io; l’apparire delle forme del mondo si realizza tramite tale connessione. Come si è detto, nell’anima o corpo astrale però sono presenti delle forze che tendono ad alterare i contenuti percettivi, i quali arrivano all’Io in modo distorto. Anziché lasciare passare intatte le impressioni oggettive ricavate tramite gli organi di senso fisici, queste vengono filtrate, ricevendo una connotazione soggettiva. E’ un po' come se un microscopio, anziché fare arrivare all’occhio del ricercatore la vera realtà di ciò che è sottoposto all’osservazione, si permettesse di sua iniziativa di distorcere, di colorare e di alterare i particolari, secondo la sua prospettiva di simpatia o antipatia. Il corpo astrale è difatti l’artefice della simpatia e dell’antipatia.
In tal modo l’Io non riesce a vedere il vero aspetto oggettivo del mondo, ma ciò che l’astrale di sua iniziativa personale gli fa apparire.
La trasformazione del piacere e del dolore in organi sensori di percezione
Per arrivare a percepire la manifestazione del mondo non esiste solo la capacità sensoria del vedere, dell’udire, dell’annusare, del toccare, dell’assaggiare; vi sono anche altri modi: una di questi è la capacità di accogliere impressioni animiche, tramite l’uso di organi di percezione animica. Quelli che l’uomo ha in sé sopiti.
Gli esseri del mondo così come inviano impressioni di colore o di odore, occultamente mandano anche altri impressioni, le quali non vengono però da noi recepite quali esse dovrebbero essere intese. Anziché apparire come percezioni capaci di rivelarci informazioni paragonabili a vere e proprie ispirazioni, così come vere informazioni sono le impressioni dei sensi fisici, si manifestano in tutt’altra veste, ossia in una modalità ben diversa da ciò che si intende confrontandola con ciò che si riceve dall’occhio o dall’orecchio: ordinariamente tali impressioni animiche compaiono nella coscienza come sentimenti, indicati con i nomi di simpatia e antipatia.
Provare antipatia o simpatia, dispiacere o piacere significa ricevere, in conseguenza all’incontro con un ente, delle percezioni, delle impressioni animiche, le quali sarebbero messaggi contenenti un alto valore di conoscenza, se solo sapessimo intenderle. Sono però informazioni di natura diversa rispetto ciò che si intende per rappresentazioni ed idee.
Già il genio del linguaggio ci può aiutare in tali condizioni: solitamente si dice: “come la vedi quella persona?” e si risponde “la vedo fredda, antipatica”. Se si ragiona logicamente, come si può vedere l’antipatia? In realtà si sente l’antipatia. Ha forse una forma l’antipatia?
Sembrerebbe che occultamente, nell’anima avvenga qualcosa di simile al vedere, quando contemporaneamente si presenta in lei il sentimento di piacere o dispiacere nei confronti di una cosa, a seguito del giudizio automatico che sorge.
In realtà qui non si parla di un vedere fisico, ma di un sentire-vedere che in sé ha entrambe le cose.
Quando io vedo un fiore, nell’attimo della percezione raccolgo da tale incontro un messaggio che contiene occultamente la rivelazione di ciò che esso è.
Il mio occhio riproduce esattamente la sua reale configurazione fisica, riportando esattamente entro la mia coscienza la sua particolare forma.
Ammettiamo che l’occhio, anziché limitarsi a riprodurre con veracità una realtà esterna interferisse, e d’improvviso dicesse: “quel fiore non mi piace così come è; voglio che compaia nell’anima del mio padrone con una forma diversa e con un colore che più io preferisco, diverso da ciò che è”.
In tal modo ogni uomo, vedendo lo stesso fiore vedrebbero qualcosa di diverso.
Lo stesso accade per l’occhio animico: se egli riportasse veracemente la realtà di ciò che il fiore gli invia, non comparirebbe nell’anima il sentimento: “mi piace”, ma al posto di ciò si udirebbe la voce dell’essere del fiore che ci parla.
A questo stadio non si arriva mai; appare invece solo una stimolazione che va a suscitare nell’anima gli strumenti del giudizio: la simpatia e l’antipatia.
Nell’anima esistono queste due forze contrapposte, che si trovano in continua lotta fra loro, perchè polarmente opposte, le quali si respingono per disaffinità: esse sono munite una di un polo positivo e l’altra di uno negativo. Non fanno altro che tendere a prevalere l’una sull’altra: è dal continuo confronto dell’una sull’altra che si origina nell’uomo la cosiddetta forza del giudizio.
Il fiore mi dice quindi qualcosa d’altro di sé oltre a palesarmi la sua forma colorata e il genere a cui appartiene; a tutta prima si potrebbe dire che mi dice come è, e cosa è, ma non mi dice il perchè egli è ciò.
In realtà egli mi dice anche perchè egli esiste, da dove viene e dove ha intenzione di andare, ma tale informazioni non mi giungono, perchè vengono alterate dalle forze della mia anima, la quale interagisce con il pensare che si genera riflettendosi nella corporeità fisica.
Quando guardo un fiore esso ha già, ancor prima che lo osservi, una determinata forma e un certo colore.
L’ispirazione del fiore non mi si mostra mai come un’informazione conoscitiva, ma come tutt’altro: come immagine e sensazione; non vengo a sapere qualcosa di più di lui. Compare in me solo il mio giudizio, nei suoi riguardi.
In altre parole non è lui a parlare, ma è la mia anima a farlo per lui.
Si può arrivare a sperimentare che la simpatia e l’antipatia non sono ciò che sembrano, ossia solo dei sentimenti. In realtà essi non sono altro che dei veri e propri organi di percezione, i quali per ora, essendo ancora in una condizione non conformata, sopita, non si palesano però come tali.
L’occhio riceve le impressioni sensorie e veracemente riproduce con esattezza la ricezione della trasmissione, conforme alla vera forma esterna dell’ente osservato; la stessa cosa dovrebbe accadere per il vedere animico.
Le impressioni animiche dovrebbero venire presentate quali sono, in modo da comparire secondo la loro vera natura reale. Invece esse vengono tramutate in sentimenti e giudizi.
Se l’impressione si presentasse nella sua vera natura, sarebbe tutt’altra cosa: non apparirebbe un sentimento di simpatia o antipatia, ma si conoscerebbe la vera forma e la natura interiore di quell’ente.
Gli occhi dell’anima in realtà non sono ancora veri occhi, ma per ora sono solo embrioni di occhi, ancora da configurare: propria a causa di tale immaturità non si comportano come tali.
Piacere e dispiacere sono forze animiche che non attendono per ora a ciò che sarebbe la loro vera e propria funzione: in realtà essi sarebbero strumenti capaci di accogliere impressioni animiche promananti dagli esseri del mondo. Devono giungere a limitarsi ad essere solo ricevitori di impressioni, rinunciando a parlare.
Per tal motivo nella pratica occulta si suol dire che il giudizio e la critica devono tacere: spegnendo e tacitando la propria personalità alterata dalla corporeità, si da modo a tali organi di percezione animica di non interagire con il corpo. Di conseguenza attraverso di essi fluiscono liberamente e veracemente le impressioni animiche inviate dall’esterno che altrimenti comparirebbero come simpatie e antipatie. Essi si comporterebbero così come veri organi di senso.
Così come l’occhio fisico vede un fiore, l’occhio dell’anima sente l’essere che vive nel fiore.
Si può dire che mentre l’occhio è capace solo di vedere l’apparire esteriore delle cose, l’occhio animico sente, tastando il loro interno.
L’occhio vede la forma, l’anima sente il contenuto.
Sino a che l’anima è capace solo di sentire l’interno qualitativo delle cose, non ha ancora la capacità di vedere l’essere che è nelle cose.
L’occhio può percepire solo forma e colore: l’occhio dell’anima farà comparire in forme e colori animici ciò che prima, erroneamente compariva come sentimenti di antipatia e simpatia. Il dolore e la gioia si rivestiranno di immagini colorate, anzichè comparire come passioni e desideri egoici derivanti da giudizi che si sono prodotti dall’interazione anima-corpo.
Antipatia e simpatia sono elementi di natura animica, sostanza astrale che fa parte dell’anima umana; si tratta di parti transitorie del nostro essere, molto importanti per l’edificazione della nostra personalità terrena.
E’ attraverso tale astralità che possiamo sperimentarci come “io” distaccato dal mondo: è ciò che ci rende capaci di emettere giudizi.
L’antipatia e la simpatia sono unite alle leggi del mondo elementare, nel quale vige il principio di attrazione e repulsione: è grazie a queste norme possiamo sperimentare la cosiddetta “coesione egoica interiore.”
Tali forze devono venire trasformate in qualcosa d’altro.
Da elementi capaci di erigere un giudizio, devono mutarsi in organi di senso animico: antipatia e simpatia, da giudicatori quali sono, devono diventare ricevitori passivi capaci di riprodurre senza interferenze, le trasmissioni inviate dagli enti del mondo.
“L’occhio animico è un occhio, non una bocca; usalo per vedere, non per parlare”.
In tal modo il suono della voce degli esseri del mondo potrà essere percepita: saranno loro a parlare e non più la nostra antipatia e simpatia, tramite la quale identifichiamo il nostro essere, a farlo per loro.
Non si deve credere che in tal modo l’uomo debba rinunciare a provare piacere o dispiacere nella vita comune; egli, li userà come organi di senso quando dovrà indagare spiritualmente la natura delle cose, li impiegherà come ordinaria capacità di giudizio quando dovrà compiere la vita usuale.
Dal “Suono della luce” di Tiziano Bellucci
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