Riflessioni Filosofiche a cura di Carlo Vespa Indice
Su Kafka e l'estetica
di Roberto Taioli - Maggio 2017
Il breve testo kafkiano che leggiamo in coda a questo scritto, offre sollecitazioni, domande, ma non risposte conclusive. Kafka non elabora una estetica compiuta, né si cura di sistemare teoreticamente i suoi pensieri. Un’estetica resta comunque sottesa allo scrivere kafkiano, seppur non esplicitata. Fa da sfondo, ma non appare compiutamente. Del resto ciò accade anche in altri campi che lo scrittore tocca nella sua opera letteraria, basti pensare alla problematica psicanalitica o alla azione delle forze dell’economico che agiscono nelle vicende umane(1) mediante l’intervento del lavoro.
Siamo quindi di fronte ad una teoreticità diffusa, per lo più procedente per accelerazioni e folgorazioni linguistiche che ci lasciano col fiato sospeso. Il lettore avvezzo alla filosofia non faticherà tuttavia a trovare rimandi interessanti alla storia del pensiero, pur sotto forma di brevi cenni, che del resto sono motivati dalla contingenza in cui Kafka si trova, impegnato nella risposta all’amico Max Brod, il quale peraltro riconoscerà le ingenuità scritte nei confronti dell’amico rispetto ai temi toccati.
Il tema che pare inizialmente delinearsi sullo sfondo è il concetto schopenauriano di volontà. In che modo essa rientri in una considerazione del fare estetico, oppure ne resti esclusa, e se si possa farne a meno e in che misura ciò sia possibile. La volontà, anche a parere di Kafka, ci porta lontani dalla dimensione estetica, ci preclude l’accesso a questa sfera. Infatti ogni volizione è frutto di un itinerario razionale o di un impulso naturale che giunge dal profondo a farsi chiarezza e ad assumere intelligibilità. Ma anche la noluntas è alla fine una forma di volontà mascherata.
Nello scritto kafkiano compare anche il termine appercezione, la cui radice risale alla filosofia di Leibniz anche se qui parrebbe configurarsi in modo nuovo rispetto alla formulazione teoretica classica. L’autore cerca di far luce su questo diverso risvolto del concetto, su quest’altra faccia. L’appercezione infatti non è un concetto propriamente dell’estetica, ma si può parlare forse di una appercezione estetica, trasferendo questo temine in un altro territorio.
Dobbiamo premettere che non c’è rigore scientifico nelle righe kafkiane, che evidentemente risentono del tono colloquiale con cui è impostata la risposta a Brod, né crediamo che questo fosse l’intento dell’autore. Pur tuttavia un nucleo teoretico, indipendentemente dalle intenzioni dell’autore, viene messo a fuoco e portato alla luce, proprio riguardo al tema dell’appercezione. Kafka parla di uomini estetici e uomini scientifici, ma non chiarisce però la distinzione. L’uomo estetico è forse colui che rinuncia alla pressione della volontà e si fa permeare dalla fascinazione dell’oggetto spogliato della sua strumentalità e cosalità o, per dirla con le parole del Nostro, per l’uomo estetico “ l’oggetto ha perso l’equilibrio”, si è ritratto dalle forme della stabilità e della certezza per darsi come flusso percettivo, adombramento, decentramento, slittamento rispetto ad un centro percettivo determinato. L’appercezione infatti più che uno stato è un movimento che deve farsi, attuarsi, compiersi. E’ lavoro del soggetto nell’incontro con l’oggetto, compenetrazione, interazione.
Possiamo forse dire che l’uomo estetico precede e fonda l’uomo scientifico, nel senso che anche quest’ultimo deve inizialmente, agli albori dell’impresa scientifica, essersi fatto rapire dall’oggetto della sua ricerca, in uno slancio d’affezione verso l’ignoto, prima di mettere a punto gli strumenti necessari all’indagine. L’uomo estetico funge preliminarmente anche nell’uomo scientifico, sebbene esso non ne sia consapevole.
In campo estetico, che è poi quello su cui Kafka si situerebbe, Il soggetto smuove l’oggetto dalla propria staticità inerziale, depurandolo e riconducendolo ad essenza, ma ciò avviene non per un atto di volontà, per una determinazione pensata e studiata, non per l’operare di una ratio; si assiste ad una sorta di paradosso per cui il è il soggetto che in realtà viene smosso dall’oggetto, che pur essendo inerte, sprigiona una vitalità, una forza attrattiva che il soggetto riceve e rielabora senza calcolo, ma solo in quanto raggiunto da quel flusso, da quella ondata di senso. Siamo davanti ad una forma di osmosi.(2)
L’appercezione è così un movimento, un incontro, un aderire di due realtà, ma biunivico, che mette a contatto due fogli o labbra, due pagine di uno stesso cartiglio, il soggetto ed oggetto non più separati ed isolati, ma formante una coppia, un provvisorio sistema che dura il tempo dell’appercezione, dopo di che tornano a separarsi, come due inerzie rientranti nel proprio guscio.
Il tempo in cui si installa questa forma di appercezione è un tempo dinamico, non riconducibile tuttavia a mero dato cronologico, ma anzi un tempo in cui il tempo cronologico si sospende o diventa ininfluente, si ritrae, per l’affermarsi di una forma di temporalità non misurabile che è la totalità o durata del tempo percettivo. Esso tuttavia permane, non arretra, non si estingue ma debilitandosi e sbiadendosi, scivola nel tempo della memoria, ove continua ad operare come materia fungente, disponibile ad essere ripresentificato o ripreso nella rimmemorazione.
L’appercezione è una “affezione” (Liebhaberei) che giustamente rende meglio l’idea del termine “passione”. L’appercezione estetica in particolare si inscrive su di un foglio vergine, immacolato, sul quale si depositano, tracce, segni, frammenti, particole di senso. Non un senso compiuto e definitivo, esaustivo,, frutto di una legislazione della ragione, ma un senso indiziario, a più letture e volti, in cui dal continente del senso fungente emergono sfumature, agglomerati di parole, suoni, colori, forme, fenomeni come apparizioni o fantasmoi che si legano e si slegano continuamente all’osservatore o al lettore. Sgrovigliati si riavvolgono e si rimimetizzano, rientrano sullo sfondo e poi ritornano in primo piano.
Non è questo forse il meraviglioso gioco della vita e dell’arte di Kafka?
Non ha forse Kafka in questo oscurarsi e schiarirsi, annodarsi e snodarsi, toccato davvero il nervo scoperto dell’arte? Nel ritmo del velarsi e svelarsi, nel tempo astratto delle forme senza tempo, il Logos sovrastante è quello del tempo burocratico, amministrativo, tendenzialmente dispotico ed imperativo, ma anch’esso proteiforme, anonimo, organicamente sfuggente. Il negativo, il male s’annidano in questo Logos-Moloch che, frantumandosi e polverizzandosi, non cessa tuttavia mai di inseguire perseguitare l’uomo-vittima di cui Kafka è il modello.
TESTO DI KAFKA
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Non è lecito dire: solo la rappresentazione nuova risveglia una gioia estetica, bensì ogni rappresentazione, che non cada nella sfera della volontà, risveglia una gioia estetica. Se però lo si dice, allora questo significherebbe che potremmo accogliere una nuova rappresentazione solo in modo tale che non venga toccata la sfera della nostra volontà. Ora è però sicuro che si danno rappresentazioni nuove che non valutiamo esteticamente. Quale ambito delle nuove rappresentazioni valutiamo dunque esteticamente? Il problema rimane.
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Sarebbe necessario chiarire l’ “appercezione estetica” – espressione che fin qui non abbiamo introdotto – più propriamente in generale o in modo più dettagliato.. Come nasce quel sentimento di piacere e in che cosa consiste la sua peculiarità, in che cosa si distingue dalla gioia per una nuova scoperta o per notizie provenienti da un Paese straniero o da un ambito scientifico che ci è estraneo.
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La prova principale della nuova opinione è un dato di fatto fisiologico in generale, non meramente estetico, e cioè l’affaticamento. Ora, dalle tue molteplici delimitazioni del concetto di “nuovo”, da un lato si evince che propriamente tutto è nuovo, dato che tutti gli oggetti si danno in tempi e in luci sempre mutevoli, e lo stesso vale per noi spettatori, che possiamo incontrali in luoghi sempre diversi. D’altro lato non ci stanchiamo solo nel godimento artistico, ma anche nell’imparare, nello scalare una montagna e a pranzo, senza dover per questo dire che la carne di vitello non sia più un cibo a noi confacente perché oggi ne siamo stufi. Sarebbe però soprattutto ingiusto dire che si dà questa duplicità con l’arte. Piuttosto dunque: l’oggetto sia sospeso sopra “il bordo” estetico e la stanchezza (che propriamente si dà solo nei confronti dell’affezione del tempo che appena precede), dunque : l’oggetto ha perso l’equilibrio, e in questo senso cattivo. Tuttavia la tua conclusione spinge a dare ordine a questo contrasto, giacchè l’appercezione non è uno stato, ma un movimento, dunque deve compiersi. Nasce un po’ di rumore nel mezzo di questo sentimento di piacere oppresso, ma presto tutto deve trovar quiete nelle cavità in cui si è depositato.
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C’è una differenza tra uomini estetici e uomini scientifici.
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Ciò che resta incerto è il concetto di “appercezione”. Così come lo conosciamo, non è un concetto dell’estetica. Forse ce lo si può raffigurare così. Diciamo. Sono uomo del tutto privo di senso del luogo e vengo a Praga come in una città estranea. Ora, voglio scriverti, ma non conosco il tuo indirizzo, te lo chiedo, me lo dici, lo appercepisco e non ho più bisogno di chiederti nulla; il tuo indirizzo per me è qualcosa di vecchio, così appercepiamo la scienza. Volessi però venire a trovarti, dovrei sempre, chiedere a ogni angolo, a ogni incrocio, mai potrò fare a meno dei passanti, un’appercezione qui è del tutto impossibile. Naturalmente è possibile che mi stanchi e entri in un caffè, che è sul percorso, per riposarmi lì; oppure potrebbe essere che io rinunci del tutto alla visita; con ciò non ho però, appercepito nulla.
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“Così si chiarisce senza sforzo”… questo non deve stupire perché già all’inizio tutto viene preventivamente costretto a tenersi all’appercezione come a un parapetto.. “dalla stessa storia si evince”… questo è un giochetto di prestigio. A questa proposizione ciò segue, per quanto io possa valutare, la sua unica dimostrazione, che tu dunque già prima, e non come deduzione, dovevi conoscere. “Ci si guarda istintivamente da” – la proposizione è rivelatrice >
(Il manoscritto si interrompe qui, malgrado che a pag. 5 ci sia ancora un po’ di spazio e la pag. 6 non sia stato affatto scritta)
Su questo manoscritto scrive Max Brod:
Si tratta della rielaborazione di riflessioni polemiche verso di me, della risposta di Kafka a due articoli miei che sono apparsi sul settimanale berlinese “Gegenwart” (edito da Ernst Heilborm) il 17 e il 24 marzo 1906, sotto il titolo “Zur Asthetik”. In questi articolini ho sostenuto con giovanile sventatezza (non avevo ancora 22 anni allora) che la categoria “bello” doveva essere sostituita semplicemente con la categoria “nuovo”. La “nuova appercezione”, o la percezione più la rielaborazione interiore della nuova impressione, come la definivo riferendomi a Herbart e a Wundt, rappresenterebbe l’essenza della bellezza.
I miei amici Felix Weltsch e Kafka protestarono con veemenza …..
Ma Kafka fu stimolato dalla mia idea. E, benché proprio allora stesse sudando sugli esami finali di Giurisprudenza (lettera del 16 marzo 1906), stese le seguenti pagine/redasse le pagine seguenti, che poi evidentemente mi ha consegnato. – La scrittura è gotica, cosiddetta corsiva. Il ductus è esattamente quello della Descrizione della battaglia, cui rinvia anche la suddivisione scolastica a), b), c) ecc..
Il manoscritto consta di tre fogli in ottavo, ciascuno di due lati scritto a matita, a tratti cancellati, difficili da leggere. Una parola non poté essere decifrata con certezza. – L’ultimo foglio è scritto solo su un lato e il testo si interrompe. Dimensione dei foglietti: lunghezza 17 cm, larghezza 10,5 cm. L’ultimo foglio è più corto di 2 cm..
[Max Brod, Der Prager Kreis, Kohlhammer, Stuttgart 1996, pp. 93-95; Il circolo di Praga, trad. L. Ferrara degli Uberti, Edizioni e/o, Roma 1983, pp. 97-100]
Roberto Taioli
Roberto Taioli nato a Milano nel 1949 ha studiato filosofia con Enzo Paci. Membro della SIE- Società Italiana di Estetica, è cultore di Estetica presso l'Università Cattolica di Milano. Il suo campo di ricerca si situa all'interno dell'orizzonte fenomenologico. Ha pubblicato saggi su Merleau-Ponty, Husserl, Kant, Paci e altri autori significativi del '900.
Negli ultimi tempi ha orientato la sua ricerca verso la fenomenologia del sacro e del religioso e dell'estetica. Risalgono a questo versante i saggi su Raimon Panikkar e Cristina Campo.
NOTE
1) Riguardo a quest’ultimo aspetto dell’homo oeconomicus, operante nell’opera di Kafka e nella sua vita, vedasi il libro di Luigi Ferrari, Alle fonti del kafkiano. Lavoro e individualismo in Kafka, prefazione di Giorgio Galli e postfazione di Renato Pozzi, Casa Editrice Vicolo del Pavone, Piacenza, 2014.
2) Scrive Enzo Paci riguardo alla poesia: “Eppure è nel momento d’incontro tra il singolo e la forma che si pone la possibilità di una comunicazione. E’ un incontro di cui non possiamo dir nulla: c’è là una identificazione che è, nello stesso tempo, un distaccarsi da noi stessi: La forma, l’immagine, è la prova visibile di una possibilità di realizzare una esigenza coessenziale all’uomo, la promessa di un’unità che si presenta come realizzata per poter essere conquistabile e realizzabile. E’ questo il fascino della visione che agisce sul senso, che parla al senso, all’istante, al concreto, di una verità che gli è implicita e che il senso non ha ancora scoperto in se stesso. E’ questo il fascino di forme poetiche che sono visioni prima ancora che si sappia nulla su ciò che ci fanno vedere, come il verso di Dante che tanto affascinava Pound : Gli angeli, frate, e il paese sincero. “ (E. Paci, Poesia e comunicazione, in F. Mollia, Nostro novecento, Antologia della critica e della narrativa italiana contemporanea, Cremonese, Brescia, 1961, pp. 21-25).
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