Riflessioni Filosofiche a cura di Carlo Vespa Indice
Tesi Magistrale: Merleau-Ponty, la fisica del XX° secolo (relatività di Einstein e meccanica quantistica) e l'antico pensiero orientale
di Giorgio Peri - Maggio 2016
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CAPITOLO QUINTO:
LA FILOSOFIA DELLA SCIENZA
LE SCIENZE NOMOTETICHE
Dopo aver descritto, seppur in modo sintetico, le meraviglie della fisica del ventesimo secolo, vediamo di capirne un po’ di più attraverso il pensiero dei grandi filosofi della scienza. Cosa ne pensano i migliori filosofi della scienza della nuova fisica? Partiamo con una considerazione di Marcello Cini.
<<Tipica è la distinzione fra scienze delle leggi (nomotetiche), caratterizzate dalla ricerca e dall'enunciazione di leggi necessarie e universali della natura, e perciò capaci di rigorose previsioni, e scienze dei processi (evolutive o storiche), considerate incapaci di attingere alla sfera dell'universalità perché dedite all'investigazione di processi irripetibili, e quindi in grado soltanto di fornire, al massimo, una ricostruzione ipotetica di una successione di eventi all'interno di un contesto non più modificabile. […] Questa distinzione, una volta assai netta, tende ad esserlo sempre di meno>>(1). Marcello Cini fa quindi seguire a questa premessa due elenchi contrapposti di caratteristiche tipiche delle scienze nomotetiche (la prima categoria) e delle scienze evolutive (la seconda categoria). Abbiamo, di conseguenza, le seguenti contrapposizioni: quantità-qualità, generalità-specificità, necessità-contingenza, prevedibilità-imprevedibilità, astrattezza-concretezza, reversibilità-irreversibilità, ripetibilità-irripetibilità, semplicità-complessità, riduzionismo-olismo, immutabilità-mutevolezza, tautologia-novità, determinismo-aleatorietà, causalità-casualità, legge-caos, logica-arbitrio, ordine-disordine.
Mi sono permesso di integrare, a livello personale, questo elenco di apparenti contrapposizioni della filosofia della scienza con un nuovo elenco più attinente però al piano filosofico ove la prima voce è sempre meno vincolante e tradizionale della seconda.
Innocenza originale- Peccato originale; Altruismo-Egoismo; Né con te, né senza di te-O con me o contro di me; Vita-Morte; Caldo-Freddo; Inattività-Attività; Luna-Sole; Euristica della paura- Certezza delle armi; Festa-Lavoro; Logica dialettica-Logica duale; Asintotiche-Parallele; Nec spe nec metu-Paura e speranza; Inizio-Fine; Esistenza-Essenza; Comprensione-Condanna; Caos- Ordine; Mortale-Immortale; Caso-Necessità; Saggezza-Potere; Madre-Padre; Serenità-Coerenza; Subconscio-Coscienza; Diacronia-Sincronia; Il ramo di ulivo-La spada; Interiorità-Esteriorità; Meditatio vitae-Mediatio mortis; Irrealizzato- Realizzato; Senza principio, senza fondamento-Con principio, con fondamento; Esitare-Decidere; Eccezione-Regola; Misticismo-Religione; Reversibilità-Irreversibilità; Piacere-Dovere; Passioni-Ragione; Dubbio-Certezza; Pre-ontologico- Ontologico; Intuito-Inferenza; Anomico-Normato; Perdono-Responsabilità; Amore-Giustizia; Senza scopo-Teleologico; Noi-Io; Regalo-Profitto; Oriente-Occidente; Andare oltre-Restare dentro; Incontro-Scontro; Infinito-Finito; Linguaggio non verbale-Linguaggio verbale; Asimmetria- Simmetria; Vuoto-Pieno; Energia-Materia; Non duale-Duale; Molteplice-Uno; A e B-A o B; Relativo-Assoluto; Es-Superego; Puoi-Devi; Polemòs-Stasis; Hic e nunc-Ubique et semper; Oltre l’io-Entro l’io; Salvezza immanente-Salvezza trascendente; Dioniso-Apollo; Essere-Avere; Silenzio-Parole ; Mytos-Logos; Sonno-Veglia; Potnia- Zeus; Yin-Yang; Buio-Luce; Acqua-Fuoco; NULLA-TUTTO.
Ritornando al dualismo di Cini risulta intuitivo posizionare la meccanica di Galileo e di Newton fra le scienze nomotetiche e la meccanica quantistica fra quelle evolutive. Comunque ricordiamo che i fenomeni interpretati in chiave di aleatorietà, di casualità, di caos, di novità, di arbitrio, di olismo, hanno la stessa dignità scientifica di quelli con le caratteristiche opposte e più consone alla nostra educazione scientifica e filosofica. Di questo ci dobbiamo sempre rammentare quando parliamo delle nuove scienze del ventesimo secolo dando spazio anche a quei testi che ci paiono non proprio ortodossi alla luce della nostra convinta e datata educazione scientifica occidentale. Indubbiamente la cultura occidentale ha raggiunto grandi risultati concreti ma si è anche crogiolata nelle sue classiche convinzioni che ora, dopo la meccanica quantistica e la biologia, si stanno profondamente modificando.
Concludiamo questo paragrafo sottolineando, ancora una volta, che il Kosmotheorós e il suo insito determinismo sono stati cancellati dalla relatività e dalla meccanica quantistica intrinsecamente indeterminista. Il cosmo non è più unicamente ordine, bellezza e armonia ma anche caos. Bisogna quindi imparare a convivere con il caos intrinseco della natura, dell'universo mettendo sempre in rilievo, i controsensi, i paradossi della conoscenza invece di occultarli (come ben insegna il pensiero orientale). <<Aleatorietà, caoticità, irreversibilità diventano proprietà primarie ineliminabili e generali, mentre appaiono sempre più eccezionali o poco significativi quei fenomeni che sono interpretabili in termini di forme matematiche dotate di continuità e regolarità. L'introduzione dei frattali(2) fa un altro passo verso la ricerca di un linguaggio geometrico adatto a descrivere l'essenziale irregolarità del reale>>(3). Abbiamo perso gran parte dell'armonia del cosmo guadagnando diverse prospettive, diversi linguaggi elaborati progressivamente per descrivere una realtà sfuggente e caotica: dobbiamo cercare di trovare una possibilità di mettere ordine nel caos cominciando a distinguere fra differenti tipi di caoticità. Alla fine viene da chiederci: l'uomo scopre più volentieri i problemi o le loro soluzioni?
PAUL KARL FEYERABEND
<<La scienza è molto più "trascurata" e "irrazionale" della sua immagine metodologica […] Senza "caos" non c'è "conoscenza". Senza una frequente rinuncia alla ragione non c'è progresso […] Dato che la scienza esiste, la ragione non può essere universale e l'irrazionalità non può essere esclusa. Questo carattere peculiare dello sviluppo della scienza costituisce un forte elemento a sostegno di un'epistemologia anarchica>>(4).
Paul Karl Feyerabend fu una figura di grande spicco nella filosofia della scienza. Studiò infatti sia fisica che filosofia. Si rapportò con personaggi dello spessore di Karl Popper e Niels Bohr. Doveva scrivere un libro a quattro mani con Imre Lakatos dal titolo Pro e contro il metodo ma questi mori e così rimase solo Contro il metodo che dedicò all'amico Lakatos con le parole: "A Imre Lakatos, amico e compagno nell'anarchismo". Fu "dadaista" e "anarchico metodologico". Feyerabend descrisse la scienza come un ente sostanzialmente anarchico. Pensava che la società si dovesse proteggere da un'eccessiva influenza della scienza, così come si protegge da altre ideologie invasive: bisogna liberare la scienza e liberarsi dalla scienza. Feyerabend sembra proporre un ideale di una società libera dove tutte le teorie, scientifiche o non scientifiche (secondo il metro valutativo comune) abbiano uguale dignità.
<<L'anarchismo è quindi non soltanto possibile, ma necessario tanto per il progresso interno della scienza quanto per lo sviluppo della nostra cultura nel suo complesso. E la Ragione si unisce infine alla sorte di tutti quegli altri mostri astratti come l'Obbligo, il Dovere, la Morale, la Verità e i loro predecessori più concreti, gli Dei, che furono usati un tempo per incutere timore nell'uomo e per limitarne il libero e felice sviluppo: svanisce>>(5).
Se pensiamo che stiamo parlando di un grande filosofo della scienza, c'è da rimanere veramente strabiliati. Vengono infatti superati tutti i concetti base della scienza tradizionale: la ragione, l'ordine, la verità. Le deviazioni, gli errori, il caos sono diventati i nuovi presupposti del progresso scientifico. <<Non esiste neppure una regola che rimanga valida in tutte le circostanze e non c'è nulla cui si possa far sempre appello>>(6). Altro che "contemplatore del mondo", altro che determinismo laplaciano. Feyerabend ostenta il suo rifiuto dell'uso dogmatico delle regole. La condizione della coerenza, la quale richiede che le nuove ipotesi siano in accordo con teorie accettate, è irragionevole, in quanto preserva la teoria anteriore, non la teoria migliore.
<<E, volta nostra poppa nel mattino,/ De' remi facemmo ale al folle volo>>(7). Così come "folle" fu per Dante il "volo" di Ulisse verso l'ignoto, allo stesso modo Feyerabend considererà una "forma di pazzia" la riflessione filosofica sulla scienza. Egli auspica, di conseguenza, uno scambio fecondo, sempre comunque sotto l'egida dell'anarchismo, fra la scienza e le concezioni non scientifiche quali i miti, le religioni e le filosofie. Feyerabend fu anche un grande critico del falsificazionismo popperiano. Infatti secondo lui il progresso della tecnica è discontinuo e non basato su una razionalità continuista.
L'anarchismo praticato da Feyerabend nelle sue riflessioni sulla filosofia della scienza trova riscontro anche in Merleau-Ponty che, nel suo lavoro, fa spesso uso di vocaboli quali "an-archè" e "ab-grund". Ne scaturisce una filosofia senza principio (anarchica) e senza fondamento (fondamento che invece era presente, ad esempio, nel pensiero di Aristotele o nel marxismo). Da ciò consegue che quella di Merleau-Ponty è una visione filosofica colma di leggerezza che si gode lo spettacolo del mondo sempre nuovo e mai oggettivo e che esprime la verità senza bisogno della sua verifica.
ALBERT EINSTEIN
Einstein, oltre che grandissimo fisico, fu anche un ottimo filosofo della scienza. Certo, non avrebbe mai condiviso il pensiero di Feyerabend, anzi direi che siamo proprio agli antipodi. Feyerabend diventò famoso per la sua visione anarchica della scienza e per il suo negare l'esistenza di regole metodologiche universali. Einstein, al contrario, viveva di regole metodologiche universali: "Dio non gioca a dadi".
Einstein scrive nella sua Autobiografia (scherzosamente chiamata il "necrologio") che fu pubblicata nel 1949 nel volume dedicatogli da Paul Schilpp: <<Un primo principio è [… che] la teoria non deve contraddire i fatti empirici. Per quanto a tutta prima questa esigenza possa sembrare evidente, la sua applicazione risulta molto delicata, poiché spesso, forse anche sempre, è possibile accettare una base teorica generale, assicurando l'aderenza della teoria i fatti per mezzo di ipotesi aggiuntive e artificiali. […] Il secondo principio non ha per oggetto il rapporto tra teoria e materiale di osservazione, bensì le premesse della teoria stessa, o ciò che brevemente, se pur vagamente, potrebbe definirsi "naturalezza" […] delle premesse. […] Non si tratta qui semplicemente di enumerare le premesse logicamente indipendenti (ammesso che sia possibile fare qualche cosa del genere in modo assolutamente inequivoco), ma di soppesare in una sorta di raffronto valutativo qualità incommensurabili. […] Il secondo principio, insomma, si può brevemente caratterizzare dicendo che si riferisce alla "perfezione interna" della teoria, mentre il primo si riferiva alla "conferma esterna">>(8).
Qui si percepisce nettamente il legame della fisica einsteniana con il classicismo. Stiamo infatti parlando di principi, di teorie, di concetti, di perfezione, e, più in sottofondo, di armonie intrinseche dell'universo tipiche dei pitagorici e, quindi, dei platonici.
Scrive Geymonat riportando il pensiero di Einstein stesso: <<Lo scienziato appare "come un realista" poiché cerca di descrivere il mondo indipendentemente dagli atti della percezione; come un idealista perché considera i concetti e le teorie come libere invenzioni dello spirito umano (non deducibili logicamente dal dato empirico); come un positivista perché ritiene che i suoi concetti e le sue teorie siano giustificati soltanto nella misura in cui forniscono una rappresentazione logica delle relazioni fra esperienze sensoriali. Può addirittura sembrare un platonico o un pitagoreo, in quanto considera il criterio della semplicità logica come strumento indispensabile ed efficace per la sua ricerca>>(9).
Einstein si rifà dunque alla semplicità logica. Strano per uno dei padri della meccanica quantistica nonché fondatore assoluto della relatività: due settori ove la semplicità logica non pare certo essere la dote principale.
Geymonat continua dicendo: <<Si può dire che Einstein ritiene che le nostre convenzioni non diano nessuna proprietà fisica alle cose, poiché queste cose hanno una loro presenza nel cosmo indipendentemente dal nostro linguaggio>>(10).
Certo, le cose hanno una loro presenza indipendentemente dal nostro linguaggio. Le cose ci sono. Ma senza linguaggio e senza pensiero chi le percepirebbe?
<<In definitiva Einstein non credeva all'intuizione priva di ogni controllo ma riteneva che il fine della fisica fosse la costruzione di un modo nuovo di vedere il mondo, ossia la ricerca di una moderna immagine del cosmo>>(11) aggiunge ancora Geymonat.
La moderna immagine del cosmo di Einstein è comunque sempre fondata su certezze rifiutando ogni prospettiva non determinista.
<<Orbene, Einstein ha riassunto nella nostra cultura tutti i temi di una grande tradizione matematica e li ha portati alle loro conseguenza filosofiche ed operative, senza ritenere però che la realtà si esaurisse in essi. Egli può dunque essere considerato il Platone moderno proprio perché ha tenuto sempre presente come il grande filosofo ateniese l'esistenza di una realtà da spiegare, non costruita dalla mente ma da essa conoscibile>>(12) chiosa Geymonat.
Scrive Merleau-Ponty: <<Il postulato della logica classica è che, siccome l'osservatore è una soggettività fallibile, può esserci apparenza, ma questa apparenza è, in realtà, riducibile di diritto attraverso una conoscenza migliore dell'apparecchio e delle nostre imperfezioni sensoriali. L'idea di "verità oggettiva" non è fuori portata. Per i probabilisti, invece, l'apparecchio, l'osservatore, l'oggetto, fanno parte di un'unica realtà esistente non di fatto, ma di diritto, per principio>>(13). In questo passo Merleau-Ponty ci illustra, con poche e appropriate parole, il dramma interiore di Einstein che fu sempre dibattuto fra la fisica classica (dove Dio non gioca a dadi) e la meccanica quantistica (dove Dio gioca a dadi). Einstein fu uno degli artefici della teoria dei quanti, teoria che però rifiutò per il suo insito indeterminismo. Cercò per tutta la vita la teoria che potesse unificare il tutto, senza trovarla. Voleva, come Bhom(14) di cui era amico, rendere determinista la meccanica quantistica. Non ci riuscì né lui e neppure qualcun altro dopo di lui.
POPPER E KHUN
<<Il lettore si renderà ora ben conto che l'elemento principale a cui ho deciso di ancorare la mia esposizione è stato un modello del processo di ricerca scientifica che ho chiamato l"arco della conoscenza". Secondo questo modello, dal mondo dei "fatti" osservati (fenomeni o dati) si ascende per induzione a "princìpi" scientifici, e da questi princìpi si procede, inversamente, a fare deduzioni ad altri "fatti" che possono essere controllati sperimentalmente, così l'intera "struttura" consegue una certa forza e sicurezza>>(15). Questa breve descrizione del processo induttivo-deduttivo fatta da uno dei più importanti studiosi della filosofia della scienza (David Oldroyd) ci ritornerà utile in seguito per capire meglio il pensiero di due giganti della filosofia scientifica: Karl Popper e Thomas Khun.
KARL POPPER
<<"Tutti i corvi sono neri". Quest'asserzione non è verificabile da alcuna congiunzione finita di asserti osservativi riguardanti corvi; ma è falsificabile attraverso l'osservazione di un solo corvo bianco. E infatti la generalizzazione analoga "Tutti i cigni sono bianchi" è stata falsificata proprio in questo modo>>(16). In questo breve passo viene sintetizzato il ragionamento di fondo di Popper. Egli ci insegna che basta un solo cigno nero (trovato poi in Nuova Zelanda) a falsificare una affermazione che era ritenuta "ben corroborata" da secoli di esperienza.
Popper scrive nel 1963 il suo testo di riferimento Congetture e Confutazioni(17)nel quale si afferma il principio base della scienza secondo Popper: una teoria è scientifica se è falsificabile. Se, ad esempio, si volesse affermare che la terra è ferma al centro del sistema solare, staremmo parlando di scienza perché trattasi di teoria falsificabile (e, infatti, tale congettura è stata confutata). Se invece si vuole affermare che Dio ha creato il mondo quattromila anni fa inserendo nelle rocce i fossili di milioni di anni fa o se si vuole affermare che gli angeli sono una specie senza individui, siamo fuori dalla scienza perché stiamo parlando di affermazioni non falsificabili.
<<Io sono convinto che esista almeno un problema cui sono interessati tutti gli uomini dediti al pensiero. E' il problema della cosmologia: il problema di comprendere il mondo, inclusi noi stessi e la nostra conoscenza in quanto parte del mondo>>(18). Dunque Popper afferma che la nostra conoscenza fa parte del mondo. Questo è in linea con quanto asserito anche da Merleau-Ponty e cioè che "noi ne siamo del mondo". Le analogie fra i due però sembrano finire qui.
Popper difende poi la metafisica criticando l'atteggiamento antimetafisico del Circolo di Vienna. Si pensi, ad esempio, dice Popper, all'atomismo di Leucippo e Democrito. Era filosofia pura, teoretica. Dopo millenni però l'atomismo divenne fisica, anzi la fisica delle particelle. Popper ritiene che le teorie possano nascere come metafisiche per poi venir gradualmente trasformate in scientifiche in conseguenza del ruolo euristico della metafisica.
Popper fu però critico della interpretazione ortodossa della meccanica quantistica (anche se sostenne l'indeterminismo) e fu avversario spietato del marxismo e della psicoanalisi. Definì Platone un totalitario nel suo libro La società aperta e i suoi nemici.
<<La scienza non posa su un solido strato di roccia. L'ardita struttura delle sue teorie si eleva, per così dire, sopra una palude. E' come un edificio costruito su palafitte. Le palafitte vengono conficcate dall'alto, giù nella palude: ma non in una base naturale o "data"; e il fatto che desistiamo dai nostri tentativi di conficcare più a fondo le palafitte non significa che abbiamo trovato un terreno solido. Semplicemente, ci fermiamo quando siamo soddisfatti e riteniamo che almeno per il momento i sostegni siano abbastanza stabili da sorreggere la struttura>>(19). Dunque, anche per Popper le basi della scienza sono fragili. Infatti la scienza si basa sul così detto "arco della conoscenza". Si osservano tanti diversi casi di uno stesso fenomeno (ad esempio il colore dei cigni). Poi si generalizza: ad esempio "ho visto molti cigni, tutti bianchi (induzione criticata da Popper), quindi poi, per deduzione, penso che tutti i cigni siano bianchi". Ma il processo di induzione e deduzione è incompleto, è fragile. Basta infatti trovare un cigno nero e tutto l'arco della conoscenza cade in frantumi proprio perché non poggia sulla roccia ma su una palude. In conclusione, per Popper, c'è nella scienza un cammino di approssimazione alla verità senza però riuscire mai a conseguirla completamente nonostante il metodo delle congetture e delle confutazioni.
Da rimarcare anche, in conclusione, che la più recente delle teorie scientifiche, quella delle stringhe(20), non pare sottostare al principio di falsificazione di Popper e, di conseguenza, non sembra possibile stabilire se sia o meno scientifica. Situazione simile riguarda anche la psicoanalisi. Quanto sopra evidenzia delle problematiche notevoli all'interno del pensiero popperiano.
THOMAS KHUN
<<Come ebbe a dire una volta Werner Heisenberg, una tradizione scientifica "è premessa e insieme impedimento alla crescita" della conoscenza, e ciò spiega "perché si tardi tanto ad accettare i concetti nuovi". In questa "tensione essenziale" tra conservazione e innovazione, però, anche gli scienziati "rivoluzionari" si rivelano non meno dogmatici dei loro avversari>>(21). Thomas Khun andò oltre Popper e la sua incessante discussione critica della scienza. Introdusse nella filosofia della scienza il concetto di "paradigma" o per meglio dire di "mutamento di paradigma". Vediamo di capire di che cosa si tratta chiarendo bene il concetto di paradigma secondo Khun.
<<L'istruzione scientifica inculca ciò che la comunità scientifica aveva precedentemente ottenuto con difficoltà - un profondo impegno verso un modo particolare di vedere il mondo e di praticarvi la scienza. Tale impegno può essere sostituito da un altro, e di tanto in tanto lo è, ma non può essere semplicemente abbandonato. [… ] Nelle discipline scientifiche gran parte delle scoperte di un fatto inaspettato e tutte le innovazioni fondamentali di una teoria sono risposte a un primo venir meno delle regole del gioco precedentemente stabilito>>(22).
Vediamo di chiarire con un esempio significativo. Fino al secolo quindicesimo nessuno (tranne alcuni pitagorici antecedenti quindi ad Aristotele) si era mai sognato di mettere in dubbio il paradigma del geocentrismo. D'altronde venivano tutti educati rigorosamente entro gli stretti limiti del cosmo aristotelico-tolemaico. Nessuno poteva mettere in discussione tale visione dell'universo sostenuta anche dalla religione corrente. Poi arriva Copernico che, influenzato anche da testi pitagorici, ripensa il cosmo passando all'eliocentrismo. Quasi da subito inizia a cambiare il modo di vedere le cose; le menti più ardite cambiano paradigma: avviene il famoso "mutamento di paradigma" cioè la sostituzione del paradigma fino ad allora dominante (il geocentrismo) con uno nuovo (l'eliocentrismo). Ciò anche perché "una scienza che esita a dimenticare i suoi fondatori è perduta" come ha scritto Whitehead(23). Concetto, quest'ultimo condiviso anche da Merleau-Ponty quando scrive: "Una teoria diventa desueta quando non nutre più la scienza"(24).
Al contrario di quanto sembra emergere dallo schema di Popper che, come abbiamo visto, tende alla verità attraverso congetture e confutazioni, qui la situazione è diametralmente opposta: siamo al cospetto di una rivoluzione dove a una visione del mondo se ne sostituisce una totalmente diversa anzi, "incommensurabile". Ma, attenzione, i problemi non sono mai risolti una volta per tutte. La rivoluzione continua. Dopo un periodo di "scienza normale" sotto un certo paradigma "ove la natura viene fatta entrare a forza nelle "caselle … relativamente rigide fornite dal paradigma"(25), avremo di nuovo il periodo di crisi con l'arrivo del nuovo mutamento di paradigma. Questa è la "rivoluzione scientifica" secondo Khun.
<<Chiari esempi di questo fenomeno sono forniti, nella storia della scienza, dalla transizione dalla dinamica aristotelica a quella galileiana, dall'astronomia tolemaica a quella copernicana, dalla chimica del flogisto a quella di Lavoisier, e così via, E ogni scienza, secondo la tesi di Khun, passa per una sequenza di rivoluzioni scientifiche […] Khun vede la storia della scienza punteggiata da importanti discontinuità, qualcosa di totalmente diverso da un processo di sviluppo costante per accumulazione>>(26).
Alcuni critici accusano Khun di farci apparire la scienza come qualcosa di irrazionale. Feyerabend sarebbe orgoglioso di una tale accusa. Comunque la "razionalità" vacilla sempre di più. Le discontinuità invece prendono piede nelle scienze. Il mondo della scienza sta velocemente cambiando.
In un congresso londinese del 1965 Khun e Popper confrontarono i loro punti di vista alla presenza, tra gli altri, anche di Feyerabend e di Lakatos. Per spiegare le divergenze fra lui e Popper, Khun fece ricorso alla famosa figura ambigua: "quel che uno vede come anatra, l'altro vede come coniglio"(27). Stiamo quindi parlando della Psicologia della Gestalt (o psicologia della forma) tanto cara anche Merleau-Ponty. <<Già una "figura" su uno "sfondo" contiene, come abbiamo detto, molto di più che le qualità attualmente date. Essa ha "contorni" che non "appartengono" allo sfondo e se ne "distaccano", è "stabile" e di colore "compatto", mentre lo sfondo è illimitato, di colore incerto, e "continua" sotto la figura>>(28). Dunque "il percepito non si da mai nella sua inseità, ma in un contesto relazionale"(29).
Altro punto in comune fra Khun e Merleau-Ponty è quello del continuo superamento delle varie teorie vigenti. Abbiamo osservato che, secondo Khun, avvengono spesso improvvisi cambiamenti di paradigma dovuti a vere e proprie rivoluzioni del pensiero scientifico: <<Gli scienziati parlano spesso di un velo che casca dagli occhi, o di un lampo che illumina il rompicapo precedentemente oscuro, mostrando così i suoi elementi sotto una luce nuova che per la prima volta permette di giungere alla soluzione>>(30). Così scrive Khun. Quanto sopra sembra molto affine al pensiero di Merleau-Ponty quando scrive: <<Una teoria, per quanto solide siano le sue basi sperimentali, non può annullare la possibilità di nuove teorie>>(31).
In conclusione sembrano sussistere molte più analogie tra il pensiero di Merleau-Ponty e quello di Khun che con quello di Popper. Infatti con Popper si è ravvisata solo la comune opinione sul fatto che la nostra coscienza fa parte del mondo mentre Khun evidenzia alcune profonde affinità con il nostro filosofo evidenziate nei passi precedenti.
IMRE LAKATOS
Scrive Giulio Giorello riassumendo il pensiero di Imre Lakatos <<Dal momento che l'universo è infinitamente vario, è molto probabile che solo asserzioni di lunghezza infinita possano essere vere>>(32). Allora però si chiede Giorello: "A cosa servono le dimostrazioni?". La risposta di Lakatos è "non a imporre una credenza, ma a suggerire dei dubbi"(33) cioè nuovi problemi. L'esito non è la quiete dello scetticismo, ma una sorta di "dialettica" di congetture, dimostrazioni e confutazioni. Il pensiero di Imre Lakatos è una sintesi molto sottile delle idee di Popper e di quelle di Khun. La visione khuniana del paradigma è stata trasformata nell'idea del "nucleo" e della "cintura protettiva" (il primo è il gruppo di ipotesi fondamentali che sono il cuore di una teoria e la seconda è data da ipotesi secondarie difensive) mentre da Popper eredita la sequenza di congettura, confutazione e corroborazione.
<<"Non si raggiunge mai la certezza", i "fondamenti" non si raggiungono mai, ma "l'astuzia della ragione" tramuta ogni aumento di rigore in un aumento di contenuto nel campo della matematica>>.(34) Lakatos pensa che il cammino per congetture, dimostrazioni e confutazioni non porti al rigore assoluto ma sia solo una fase provvisoria, una verità locale e mai globale. <<Per ogni proposizione c'è sempre qualche interpretazione abbastanza ristretta dei suoi termini per cui risulta vera, e qualche interpretazione sufficientemente ampia per cui risulta falsa>>(35). Stiamo qui parlando dell'euristica positiva (quella che predice effetti nuovi e imprevisti di una teoria) e dell'euristica negativa (che difende il nucleo centrale dalle confutazioni). Ciò perché "è un fatto storico che ogni teoria nasce infestata da anomalie".(36)
In conclusione fra Lakatos e Merleau-Ponty si rileva una visione della verità come tendenziale, prospettica, ancora da raggiungere e mai data per acquisita. Una verità che, pur esistendo, ci sfugge perché scritta con una frase, una formula infinita per Lakatos. Ricordiamo al proposito anche il "geometrale" di Leibniz ripreso da Merleau-Ponty inteso come il luogo comprensivo di tutte le infinite prospettive possibili.
IL PROBLEMA DELL'INDUZIONE
<<Qualsiasi teoria fisica è sempre provvisoria, nel senso che è solo un'ipotesi: una teoria fisica non può cioè mai venire provata definitivamente. Per quante volte i risultati di esperimenti siano stati in accordo con una teoria, non si può mai essere sicuri di non ottenere la prossima volta un risultato che la contraddica. D'altra parte si può confutare una teoria trovando anche una sola osservazione che sia in disaccordo con le sue predizioni>>(37). Questo semplice ragionamento di Stephen Hawking ci dimostra l'inaffidabilità dell'induzione: infatti pur avendo sempre visto solo cigni bianchi, non possiamo mai essere sicuri che il prossimo non sia nero.
La conferma ci viene poi da Jules-Henri Poincaré: <<L'induzione applicata alle scienze fisiche è sempre incerta giacché poggia sulla credenza a un ordine generale dell'Universo, un ordine che è fuori di noi. L'induzione matematica, ossia la dimostrazione per ricorrenza, invece, si impone necessariamente, poiché non è che l'affermazione di una proprietà della mente stessa>>(38). Quest'ordine generale dell'universo è però anche lui molto controverso. Infatti Hawking scrive: <<Risulta molto difficile escogitare una teoria in grado di descrivere l'intero funzionamento dell'universo. Abitualmente noi scomponiamo il problema in varie parti e inventiamo varie teorie parziali. Ognuna di queste teorie descrive e predice una certa classe limitata di osservazioni, trascurando gli effetti di altre quantità, o rappresentandole per mezzo di semplici insiemi di numeri. Può darsi che questa impostazione sia completamente sbagliata. Se ogni cosa nell'universo dipende in un modo fondamentale da ogni altra cosa, potrebbe essere impossibile approssimarsi a una soluzione completa investigando isolatamente le diverse parti del problema>>(39).
Ritorniamo all'inaffidabilità dell'induzione con una storiella raccontata da Bertrand Russell: <<Gli animali domestici si aspettano di ricevere il cibo quando vedono la persona che di solito gliene porge. Sappiamo che questa fiducia piuttosto sprovveduta nell'uniformità può indurre in errore. L'uomo da cui il pollo ha ricevuto il cibo per ogni giorno della propria vita gli tirerà alla fine il collo, dimostrando che un'idea meno primitiva dell'uniformità della natura sarebbe stata utile all'animale>>(40). L'induzione può risultare problematica sia per gli animali che per gli uomini. Questi ultimi si aspettano che il sole sorga ogni giorno, per sempre, ma potrebbero trovarsi, a un certo punto, davanti a una brutta sorpresa. Non è detto che i "futuri futuri" siano uguali ai "futuri passati" dice Russell. <<Tutta la nostra condotta si basa su associazioni che si sono dimostrate valide in passato, e che perciò noi riteniamo probabile che saranno valide in futuro; e possiamo credere a questa probabilità solo sulla base del principio induttivo>>(41).
Anche Hume, come ci riferisce David Oldroyd, si occupò del problema dell'induzione nel suo libro Trattato sulla natura umana scrivendo: <<La supposizione che il futuro assomiglia al passato non si fonda su alcuna specie di argomenti, ma è derivata unicamente dall'abitudine, mercé la quale siamo portati ad aspettare dal futuro lo stesso ordine di fenomeni ai quali siamo stati abituati>>(42). E ancora: <<Non vi possono essere argomenti dimostrativi sufficienti a provare che quei casi dei quali non abbiamo avuto nessun'esperienza somigliano a quelli dei quali l'abbiamo avuta>>(43). Insomma, pensare che il sole continuerà a sorgere anche domani perché è sempre sorto in precedenza, non è un ragionamento scientifico ma una comoda abitudine mentale.
Pure il nostro filosofo Merleau-Ponty parla dell'induzione legandola, giustamente, alla deduzione quando scrive: <<In questo metodo di convergenza ci ostacolano i vecchi pregiudizi che oppongono la deduzione e l'induzione, come se l'esempio di Galileo non mostrasse già che il pensiero effettivo è un andare e venire fra l'esperienza e la costruzione o ricostruzione intellettuale>>(44). Legando però insieme i due pilastri dell'arco della conoscenza (induzione e deduzione) si amplia il problema: se infatti l'induzione non è del tutto affidabile significa che anche la deduzione non lo è. Di conseguenza ogni pretesa oggettività della scienza viene decisamente negata.
<<La natura del pensiero scientifico è quindi essenzialmente critica, ribelle, insofferente a ogni concezione a priori, a ogni riverenza, a ogni verità intoccabile>>(45). Rovelli ci racconta la sua visione della scienza che, comunque, si basa pur sempre su un precedente paradigma scientifico acquisito come riconosce giustamente Khun. Infatti senza Copernico non ci poteva essere Keplero, senza quest'ultimo non ci poteva essere Newton che risulta poi basilare per Einstein.
Stiamo forse parlando di un gran guaio? Oppure di un'interessante opportunità? Non abbiamo certezze eppure andiamo avanti sempre mendicando un piccolo "tozzo di verità" andando oltre la piccolezza, la miseria di gente che è portata a pensare, come si rammarica Platone secondo quando scrive Ananda K. Coomaraswamy: <<Nulla esista all'infuori di quanto si possa afferrare con le proprie mani>>(46). Cosa serve per afferrare la verità? Servono le mani? Serve l'intelligenza? Serve la fede? Oppure, la verità pur esistendo, è sfuggente? Oppure, ancora: "Nessuno sa e nessuno saprà mai" come dicono i meravigliosi e incoerenti filosofi scettici? E intanto il gioco del mondo, della vita, dell'uomo e del suo pensiero continua imperterrito.
COS'E' L'EVIDENZA?
Scrive Ludovico Geymonat: <<Ora però entrano in crisi molti altri concetti che i fisici dell'Ottocento avevano perlopiù accolto come evidenti: la semplicità dell'atomo, la continuità della carica elettrica, la continuità dell'energia, ecc. Questo comportava la necessità di sottoporre ad un accurato esame, non solo il patrimonio di nozioni e principi trasmesso dalla più importante tradizione scientifica, ma il concetto stesso di evidenza. Ci si cominciò ad accorgere che esso varia da un'epoca all'altra ed è intimamente legato al modo di pensare e di esprimersi dell'uomo della strada. Di qui la necessità di studiare la struttura della scienza non soltanto in se stessa ma proprio in rapporto alla struttura del sapere comune. Era un inizio di considerazioni che avrebbe portato molto lontano e che avrebbe ben presto investito i filosofi non meno degli scienziati>>(47). Per molti secoli si è pensato che la terra fosse immobile al centro dell'universo. Era evidente per tutti che fosse così. Gli uomini vedevano i pianeti muoversi, il sole muoversi, la luna muoversi, le stelle muoversi (fatta salva la stella polare nell'emisfero nord). Era una presunta realtà consolidata fatta propria anche dalla religione dominante. Si era sicuri, anzi sicurissimi che fosse evidentemente così. Allo stesso modo in cui si era e si è tutt'ora certi, anzi certissimi dell'evidenza dell'Io(48).
<<Quello che sappiamo sulla grammatica elementare del mondo sta continuando a crescere. Se cerchiamo di mettere insieme quanto abbiamo imparato sul mondo fisico nel corso del XX secolo, gli indizi puntano a qualcosa di profondamente diverso dalle idee su materia ed energia, su spazio e tempo, che ci hanno insegnato a scuola. Emerge una struttura elementare del mondo in cui non esiste il tempo e non esiste lo spazio, generata da un pullulare di eventi quantistici. Campi quantistici disegnano spazio, tempo, materia e luce, scambiando informazioni fra un evento e l'altro. La realtà è una rete di eventi granulari; la dinamica che li lega è probabilistica; fra un evento e l'altro, spazio, tempo, materia ed energia sono sciolti in una nuvola di probabilità>>(49).
Poincaré tira in ballo anche le cose, gli oggetti affermando: <<Dopo tutto, abbiamo un'altra ragione per credere all'esistenza degli oggetti materiali? Anche in questo caso si tratta di un'ipotesi comoda>>(50). Oltre all'io, anche gli oggetti paiono essere solo comode convenzioni sociali.
<<Matematici come Quine sostengono: "Proprio come l'introduzione dei numeri irrazionali … rappresenta un comodo mito che semplifica le leggi dell'aritmetica … così gli oggetti fisici sono entità postulate che semplificano e rendono più agevole la nostra descrizione del flusso dell'esistenza … Lo schema concettuale degli oggetti fisici è un mito conveniente, più semplice della pura verità eppure contenente tale pura verità in modo frammentario>>(51). Anche gli oggetti fisici sono diventati per il filosofo e logico statunitense Willard Van Orman Quine dei miti convenienti per capire il mondo che ci circonda. Ci stiamo sempre più allontanando dalla classica visione realista delle cose.
Anche Merleau-Ponty parla delle cose che ci circondano criticando la scienza perché non le abita. Scrive infatti il nostro filosofo: <<La scienza manipola le cose e rinuncia ad abitarle. Se ne costruisce dei modelli interni e, operando su questi indici o variabili le trasformazioni consentite dalla loro definizione, si confronta solo di quando in quando con il mondo effettuale. Essa è, ed è sempre stata, quel pensiero mirabilmente attivo, ingegnoso, disinvolto, quel partito preso di trattare ogni essere come "oggetto in generale", cioè come se non fosse niente per noi e tuttavia si trovasse predestinato ai nostri artifici>>(52).
Pure il comune concetto di causa-effetto va riconsiderato. Infatti Russell scrive: <<Il linguaggio di causa ed effetto (del quale la "forza" è un caso particolare) è dunque soltanto una comoda scorciatoia per determinati scopi; non rappresenta niente che si possa realmente riscontrare nel mondo fisico>>(53). Sembra dunque che diversi capisaldi dei ragionamenti fisico filosofici classici non siano più molto affidabili.
Scrive Rovelli: <<Penso che l'errore comune sia di aver timore di questa fluidità e cercare la certezza assoluta. Cercare il fondamento, il punto fisso, dove si acquieterebbe la nostra inquietudine. Io credo che questo sia ingenuo e contro produttivo per la ricerca della conoscenza. La scienza è l'avventura umana che consiste nell'esplorare i modi di pensare il mondo, pronti a sovvertire qualunque certezza abbiamo avuto fin qui: è una fra le più belle avventure umane>>(54). Ciò anche in assonanza con il pensiero di Khun che prevede il continuo superamento delle varie teorie vigenti tramite gli improvvisi cambiamenti di paradigma dovuti a vere e proprie rivoluzioni del pensiero scientifico. Tale aspettativa di continua evoluzione delle teorie è condivisa anche da Merleau-Ponty quando esprime il concetto che una teoria, per quanto solide siano le sue basi sperimentali, non può annullare la possibilità di nuove teorie.
Scrive ancora Merleau-Ponty:<<Dire che il mondo è per definizione nominale, l'oggetto X delle nostre operazioni, significa assolutizzare la situazione conoscitiva dello scienziato, come se tutto ciò che fu o è non fosse mai esistito se non per entrare in laboratorio>>(55). Invece il laboratorio di ricerca non è certo il fine ultimo di ciò che esiste, dei fenomeni. La scienza deve imparare a riconoscersi nelle cose stesse perché noi ne siamo del mondo e niente, neppure la scienza, nasce fuori dal mondo della vita. Il corpo degli scienziati e il mondo da essi studiato sono fatti della stessa stoffa.
<<La vera filosofia consiste nel reimparare a vedere il mondo, e in questo senso una storia raccontata può significare il mondo con altrettanta "profondità" che un trattato di filosofia>>(56). "Reimparare a vedere il mondo" costa fatica perché bisogna spezzare gli schemi consolidati, bisogna liberarsi dalle catene e uscir fuori dalla caverna, bisogna impegnarsi a osservare le cose-eventi da una molteplicità di prospettive diverse. Arrivare a concepire che la terra percorre parecchie centinaia di migliaia di chilometri all'ora nello spazio, che energia e materia sono la stessa cosa, che spazio e tempo non sono quelli tradizionali da noi immaginati, che il mondo è probabilistico e non deterministico, ebbene tutto ciò e altro ancora, molto altro, sconvolge la mente umana. Altro che cosmo, siamo in pieno caos. Un caos però "consapevole".
LA FINITIZZA DEL CONOSCERE UMANO
<<Può essere utile a questo proposito ricordare che perfino nella parte più precisa della scienza, nella matematica, noi non possiamo fare a meno di servirci di concetti che implicano delle contraddizioni. E' ben noto, ad esempio, che il concetto di infinito conduce a contraddizioni che sono state analizzate; eppure sarebbe praticamente impossibile costruire senza questo concetto le più importanti parti della matematica>>(57). Heisenberg sgombera subito il campo da ogni possibile illusione intorno alla conoscenza umana: neppure la matematica, la parte più precisa della scienza, è esente da profondissime contraddizioni. Provvederà poi Kurt Gödel a confermare tale importante contraddizione interna.
<<Tesi del libro è che l'idea e il senso del mistero siano inscindibili dal pensiero scientifico, che riconosce i limiti della conoscenza in ogni dato momento storico. Il nostro sapere è troppo scarso per non accettare di vivere immersi nel mistero>>(58). Cosi apre il discorso sulla conoscenza scientifica Carlo Rovelli che poi aggiunge:<<Le facili certezze ottocentesche sulla scienza, e in particolare la glorificazione della scienza intesa come sapere definitivo sul mondo, sono crollate. A questo crollo ha contribuito non poco la rivoluzione della fisica del XX secolo, che ha portato alla scoperta che la fisica newtoniana, nonostante la sua immensa efficacia, è in un senso molto preciso "sbagliata"(59) >>(60). Non abbiamo leggi complete ma chiamiamo complete quelle che riusciamo a capire. Infatti afferma Merleau-Ponty <<Ora, l'idea stessa di un enunciato completo è inconsistente: non è perché esso è in sé completo che noi lo comprendiamo, ma viceversa è perché l'abbiamo compreso che lo diciamo completo e sufficiente>>(61). Ma i problemi non finiscono qui perché <<Nel medesimo istante in cui creava la scienza della natura, il razionalismo ha mostrato, con lo stesso movimento, che esso non è la misura dell'essere, e ha portato al suo punto più alto la coscienza del problema ontologico>>(62).
<<La finitezza del conoscere umano si manifesta in due direzioni, quella di un limite soggettivo e quella di un limite oggettivo. Il limite soggettivo consiste nel fatto che ognuno di noi osserva il reale dal proprio punto di vista. […] Ogni esser umano ha dunque la propria visione della realtà: nessuna visione è quella assoluta […] C'è però anche un limite oggettivo della conoscenza, quello che ci obbliga a cercare l'universale a partire dal particolare, a cercare di ricostruirlo a partire dalle tracce che ne individuiamo>>(63). Giorgio Erle, commentando i Saggi di Teodicea di Leibniz, scrive queste importanti frasi che ben chiariscono i limiti del nostro conoscere: vi è infatti sia un limite soggettivo che uno oggettivo. Il limite soggettivo è abbastanza simile al prospettivismo di Merleau-Ponty di cui tratteremo diffusamente in un prossimo capitolo ma che possiamo anticipare dicendo che ognuno di noi vede il mondo da una sua particolare prospettiva. Ogni essere umano ha dunque la propria visione della realtà. Nessuna visione è quella assoluta, l'unica vera e possibile. Eppure non si tratta di punti di vista arbitrari perché tutti gli orizzonti, tutte le prospettive, hanno una loro reale valenza.
Il limite oggettivo della nostra conoscenza è ancor più stringente. Noi infatti siamo sempre costretti a ricavare le leggi generali dai casi particolari. Facciamo di nuovo uso del famoso esempio dei cigni: abbiamo osservato tanti cigni (mai però tutti) e, avendo visto che erano bianchi, abbiamo estrapolato una legge generale: "tutti i cigni sono bianchi" anziché limitarci a dire che "tutti i cigni da noi osservati fino ad ora, sono bianchi". Infatti, sono stati poi trovati anche cigni neri che hanno invalidato la nostra legge generale. In conclusione, noi siamo costretti a trarre, tramite l'induzione, il generale dal particolare. Questo metodo ha però dei limiti notevoli ed è più probabilistico che certo: è più statistica che verità.
Il fisico David Finkelstein rispondendo al Dalai Lama che gli chiedeva: "State insinuando che, per sua stessa natura, la logica non può mai essere completa?" afferma <<Si, e per due differenti ragioni. La più clamorosa è forse l'incompletezza indicata da Kurt Gödel: un sistema logico che sia sufficientemente ricco da esprimere l'aritmetica non può essere completo. In particolare, non può rispondere alla questione della sua coerenza. […] E' impossibile giungere a una completa conoscenza di sé entro un sistema formale>>(64). <<L'obiettivo della ricerca di Gödel da un punto di vista puramente matematico si può riassumere nella seguente domanda: è possibile dimostrare che un sistema deduttivo formalizzato come l'aritmetica, costituito cioè da un insieme definito di assiomi e regole che permettono di ricavare proposizioni vere (teoremi) da altre proposizioni vere, è al tempo stesso non contraddittorio e completo? ("Non contraddittorio" significa che è impossibile dimostrare un teorema e il suo contrario; "completo" significa che gli assiomi sono sufficienti a generare tutte le proposizioni vere esprimibili nell'ambito del sistema). La risposta è negativa. […] E' uno scossone fatale alla fiducia nella validità assoluta delle verità raggiunte mediante il ragionamento matematico; una fiducia che aveva confortato gli uomini dai tempi di Euclide in poi>>(65). Gödel rivoluziona il mondo della logica matematica affermando che non esistono, in tale ambito, sistemi che siano allo stesso tempo completi e non contradditori. Ma c'è anche dell'altro: infatti nessuna legge della scienza è quella definitiva, quella vera. Sono tutte solamente le migliori ad un certo momento storico.
Scrive Rovelli: <<Le risposte della scienza naturale non sono credibili perché sono definitive: sono credibili perché sono le migliori di cui disponiamo oggi, a un dato momento nella storia reale del nostro sapere. E proprio perché sappiamo considerarle non definitive che continuiamo a migliorare>>(66).
Gli fa eco David Oldroyd scrivendo: <<Innanzitutto per quanto concerne la metodologia, ha probabilmente ragione Feyerabend. Non esiste un metodo certo e sicuro che, seguito con diligenza, consenta di acquisire una conoscenza scientifica certa e sicura>>.(67)
Conclude Carlo Rovelli:<<La conoscenza scientifica è dunque intrinsecamente globale, provvisoria ed evolutiva. La crescita del sapere scientifico è essenzialmente critica>>(68). Non c'è mai un porto sicuro in cui riposare: non esiste la presunta conoscenza scientifica certa. Di nuovo, sempre di nuovo (direbbe Merleau-Ponty) alla ricerca di nuove prospettive, di nuovi e più completi orizzonti. Senza scoraggiarsi e senza mai cadere nel relativismo assoluto ove tutte le opinioni sono ugualmente vane. Ancora Rovelli : <<Fra la certezze della propria verità e l'equivalenza di tutti i punti di vista, esiste una terza strada: quella della discussione e della critica. Per accettare la critica come base per il cammino verso il sapere, bisogna avere l'umiltà di accettare che quello che oggi ci sembra vero potrebbe rivelarsi falso domani. Spesso gli uomini si aggrappano alle proprie certezze perché hanno paura che esse possano risultare false. Ma una certezza che non ammette di essere messa in dubbio non è una certezza solida. Le certezze solide sono quelle che accettano di essere criticate continuamente e ne sopravvivono>>(69). La dialettica, la critica, il dubbio, la mancanza di principi e fondamenti sicuri portano a una verità aperta perché provvisoria e in movimento. Questa affermazione vale sia per la scienza che per la filosofia. Dovremmo tenerne sempre conto.
<<La vita personale, l'espressione, la conoscenza e la storia avanzano obliquamente, non procedono in linea retta verso certi fini o certi concetti. Ciò che si cerca troppo deliberatamente, non lo si ottiene; le idee, i valori, invece, non mancano a chi, nella sua vita meditante, ha saputo liberarne la sorgente spontanea>>(70). Anche Merleau-Ponty sottolinea l'importanza della spontaneità, dell'intuito. Aggiunge inoltre che tutto ciò che ci riguarda, sia esso storia, vita o conoscenza non va dritto verso fini e concetti: avanza obliquamente tra tanti salti, scarti, rotture e ricomposizioni.
Concludiamo il capitolo con alcune altre riflessioni di Merleau-Ponty intorno alla conoscenza. <<Una concezione spaziale dell'essere naturale: il mondo ha un'esistenza completamente estensiva. Ogni elemento ha un luogo oggettivo, una "rispettiva situazione", una localizzazione unica. Il che esclude l'idea di un essere in divenire, in cambiamento. […] La differenza fra questo classicismo e il pensiero scientifico moderno è che l'uno sostiene che occorra capire l'Essere prima di capire il suo comportamento, mentre l'altro coglie l'essere solo cogliendo il suo comportamento>>(71). Due orizzonti completamente opposti: trarre dalla conoscenza dell'Essere immutabile quella del suo comportamento come suggeriva il pensiero classico oppure osservare i comportamenti per cogliere l'essere (con la minuscola) in divenire, in mutamento. La vera problematica dell'atteggiamento classico è data dalla presunzione di poter capire dall'esterno L'Essere (con la maiuscola) immutabile. Il mondo scientifico moderno invece si limita a studiare alcuni particolari comportamenti dell'essere (in divenire) dal suo interno.
NOTE
1) M. Cini, Un paradiso perduto, cit., pp. 188-189.
2) Il frattale è un oggetto geometrico che si ripete nella sua forma su scale diverse: ingrandendo una qualunque sua parte si ottiene sempre una figura simile all'originale. L'esempio pratico più semplice è il broccolo.
3) M. Cini, Trentatre variazioni su un tema, cit., p. 73.
4) Paul Karl Feyerabend, Contro il metodo. Abbozzo di una teoria anarchica della conoscenza, trad. it. di Libero Sosio, Feltrinelli, Milano 1979, p. 146.
5) Ivi, p. 147.
6) Ibidem.
7) D. Alighieri, La divina commedia, cit., Inferno, canto XXVI, pp. 124-125.
8) AA.VV., Filosofia della scienza, op. cit., p. 149.
9) L. Geymonat, Storia del pensiero filosofico e scientifico, cit., volume sesto, p. 468.
10) Ivi, volume quinto, p. 876.
11) Ivi, p. 887.
12) Ivi, p. 889.
13) M. Merleau-Ponty, La natura, cit., p. 136.
14) "L'intento di Bohm era quello di trovare un ordine e una finalità dove apparentemente, secondo la teoria fisica classica, c'era solo caos, casualità, o, al massimo, probabilità". (dalla copertina del libro di Teodorani "Bohm La fisica dell'infinito" op. cit.).
15) D. Oldroyd, Storia della filosofia della scienza, cit., p. 476.
16) Donald Gillies - Giulio Giorello, La filosofia della scienza nel XX secolo, trad. it. di Matteo Motterlini, Laterza, Roma-Bari 2007, p. 215.
17) Karl Raimund Popper, Congetture e confutazioni, trad. it. di Giuliano Pancaldi, Il Mulino, Bologna 1972.
18) Karl Raimund Popper, Logica della scoperta scientifica, prefazione alla prima edizione inglese 1959, trad. it. di Mario Trinchero, Einaudi, Torino 2010, p. XXXIII .
19) K. R. Popper, Logica della scoperta scientifica, cit., pp. 107-108
20)La teoria delle stringhe (letteralmente in inglese string, "corda") è una teoria della fisica teoretica ancora in fase di sviluppo, che tenta di conciliare la relatività generale di Einstein con la meccanica quantistica e che si spera pertanto possa costituire una specie di teoria del tutto.
21) AA.VV., Filosofia della scienza, cit., p. 291.
22) Thomas Samuel Khun, Dogma contro critica. Mondi possibili nella storia delle scienze, a cura di Stefano Gattei, Raffaello Cortina Editore, Milano 2000, p. 6.
23) Thomas Samuel Khun, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, trad. it. di Adriano Carugo, Einaudi, Torino 2009, p. 169.
24) M. Merleau-Ponty, La natura, cit., p. 139.
25) T. S. Khun, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, cit., p. 44.
26) D. Oldroyd, Storia della filosofia della scienza, cit., p. 421.
27) D. Giles- G. Giorello, La filosofia della scienza nel XX secolo, cit., p. 294.
28) M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, cit., p. 47.
29) M. Merleau-Ponty, Segni, cit., p. 9.
30) T. S. Khun, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, cit., p. 152.
31) M. Merleau-Ponty, La natura, cit., p. 139.
32) D. Gilles-G. Giorello, La filosofia della scienza nel XX secolo, cit., p. 323.
33) Imre Lakatos, Dimostrazioni e confutazioni La logica della scoperta matematica, trad. it. di Daniela Benelli, Feltrinelli, Milano 1979, p. 88.
34) I. Lakatos, Dimostrazioni e confutazioni La logica della scoperta matematica, cit., pp. 96-97.
35) Ivi, p. 140.
36) Imre Lakatos - Paul Feyerabend, Sull'orlo della scienza. Pro e contro il metodo, a cura di Matteo Motterlini, Raffaello Cortina Editore, Milano 1995, p. 139.
37) S. Hawking, Dal Big Bang ai buchi neri, cit., p. 23.
38) J. H. Poincaré, La scienza e l'ipotesi, cit., p. 31.
39) S. Hawking, Dal Big Bang ai buchi neri, cit., p. 25.
40) Bertrand Russell, I problemi della filosofia, trad. it. di Paolo Costa., Feltrinelli, Milano 1980, p. 71.
41) Ivi, p. 82.
42) D. Oldroyd, Storia della filosofia della scienza, cit., p. 151.
43) Ivi, p. 152.
44) M. Merleau-Ponty, Segni, cit., p. 160.
45) C. Rovelli, Che cos'è la scienza, cit., p. 124.
46) Ananda Kentish Coomaraswamy, Sapienza orientale e cultura occidentale, trad. it. di Lorenzo Fenoglio, Rusconi, Mlano 1998, p. 28.
47) L. Geymonat, Storia del pensiero filosofico e scientifico, cit., volume quinto, p. 848.
48) Al proposito Merleau-Ponty scrive a pagina 77 del suo libro Il visibile e l'invisibile (opera già citata): <<L'unico modo di assicurare il mio accesso alle cose stesse sarebbe quello di purificare completamente la mia nozione della soggettività: anzi, non c'è "soggettività", o "Ego", la coscienza è senza "abitante">>.
49) C. Rovelli, La realtà non è come ci appare, cit., p. 10.
50) J. H. Poincaré, La scienza e l'ipotesi, cit., p. 309.
51) J. D. Barrow, Teorie del tutto, cit., p. 368.
52) M. Merleau-Ponty, L'occhio e lo spirito, cit., p. 13.
53) B. Russell, L'ABC della relatività, cit., p. 203.
54) C. Rovelli, Che cos'è la scienza, cit., p. 138.
55) M. Merleau-Ponty, L'occhio e lo spirito, cit., p. 14.
56) M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, cit., p. 30.
57) W. Heisenberg, Fisica e filosofia, cit., p. 233.
58) C. Rovelli, Che cos'è la scienza, cit., p. 189.
59) La fisica newtoniana è "sbagliata" perché non tiene conto della velocità della luce. Infatti, se un corpo si muove molto piano rispetto alla velocità della luce, la teoria di Newton è valida. Se invece un corpo si muove a una velocità prossima a quella della luce, la teoria di Newton decade perché non è più in grado di descrivere i fenomeni.
60) C. Rovelli, Che cos'è la scienza, cit., p. 4.
61) M. Merleau-Ponty, Segni, cit., p. 40.
62) Ivi, p. 201.
63) AA.VV., a cura di Giorgio Erle, La valenza etica del cosmo, Il Poligrafo, Padova 2008, pp. 86-88.
64) Dalai Lama, Nuove immagini dell'Universo cit., p. 140.
65) M. Cini, Trentatre variazioni su un tema, cit., p. 36.
66) C. Rovelli, Che cos'è la scienza, cit., p. 5.
67) D. Oldroyd, Storia della Filosofia della scienza, cit., p. 478.
68) C. Rovelli, Che cos'è la scienza, cit., p. 125.
69) Ibidem.
70) M. Merleau-Ponty, Segni, cit., p. 115.
71) M. Merleau-Ponty, La natura, cit., p. 131.
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