Riflessioni Filosofiche a cura di Carlo Vespa Indice
NOTE de: Il senso della parola
di Marco Calzoli - Aprile 2021
1) P. Dardano, Aspetti della testualità nella letteratura ittita, in Orientalia, NOVA SERIES Vol. 77, No. 1 (2008), pp. 45-72.
2) Per approfondire: F. Fanciullo, Introduzione alla linguistica storica, Bologna 2007.
3) Qualcosa di analogo alla ipotesi indoeuropea si ha nella ricostruzione del protosemitico nelle lingue semitiche. Le lingue semitiche, ben più omogenee di quelle indoeuropee, avrebbero anch’esse un capostipite comune, detto per l’appunto protosemitico. Ci sono evidenti fenomeni linguistici che accomunano accadico, aramaico, ebraico, arabo, e altre lingue. L’arabo è considerato una lingua storicamente recente (appare così definita con il Corano) ma dalla struttura antichissima, è molto conservativa dei fenomeni del protosemitico, tanto che gli studiosi usano il vocalismo dell’arabo per integrarle con le consonanti dell’accadico. Segnaliamo questo articolo ormai storico: S. Moscati, Sulla ricostruzione del protosemitico, in Rivista degli Studi Orientali Vol. 35 (1960), pp. 1-10. Fondamentale è: S. Moscati, An Introduction to the Comparative Grammar of the Semitic Languages, Wiesbaden 1980.
4) Per approfondire: L. Alfieri, Radici Indoeuropee inizianti in *V, l’esistenza di *a- primaria, l’esito di *h3-e in anatolico, in Historische Sprachforschung/Historical Linguistics Bd. 123 (2010), pp. 1-139.
5) A. Martinet, L’indoeuropeo. Lingue, popoli e culture, Roma-Bari 2001.
6) G. Buccellati, La Trinità in un’ottica mesopotamica, in Rivista di Filosofia Neo-Scolastica Vol. 104, No. 1 (Gennaio-Marzo 2012), pp. 29-48.
7) Per approfondire il me: G. R. Castellino, Il concetto sumerico di me, in Analecta Biblica Vol. 12 (1959), pp. 25-32; Y. Rosengarten, Sumer et le sacré, Paris 1977.
8) W. von Soden, Introduzione all’orientalistica antica, Brescia 1989.
9) Per il medio egiziano la grammatica introduttiva più usata nel mondo è: A. Gardiner, Egyptian Grammar, Oxford 1976. Un'altra grammatica importante è: J. P. Allen, Middle Egyptian, Cambridge 2000. Per importanti studi grammaticali sul medio egiziano: H. J. Polotsky, Collected Papers, Jerusalem 1971. Il neoegiziano è un mondo a sé, gli egittologi si rifanno a grammatiche introduttive diverse: J. Cerny, S. Israelit-Groll, A Late Egyptian Grammar, Roma 1984; M. A. Korostovtsen, Grammaire du neo-egyptien, Moscou 1973. Per un approccio specialistico al medio egiziano si usano: M. Malaise, J. Winand, Grammaire raisonnée de l’égyptien classique, Liège 1999; G. Lefebvre, Grammaire de l’Égyptien classique, Le Caire 1955; P. Vernus, Future at Issue. Tense, Mood and Aspect in Middle Egyptian: Studies in Syntax and Semantics, YES 4; Yale Egyptological Seminar, New Haven, CT 1990; L. Depuydt, Fundamentals of Egyptian Grammar. I. Elements, Norton (MA) 1999; E. Doret, The Narrative Verbal System of Old and Middle Egyptian, Genève 1986. Oggi ci sono numerosissimi studi riguardanti i testi provenienti da El Amarna: per un orientamento grammaticale c’è F. Behnk, Grammatik der Texte aus El Amarna, Paris 1930. Per il copto: B. Layton, A Coptic Grammar, Wiesbaden 2004. Tralasciamo gli studi sulle scritture (geroglifica, ieratica, demotica, copta), che non hanno numero.
10) Nelle lingue semitiche le ripetizioni hanno non solo effetto sacrale-magico ma denotano anche elevatezza di stile, mentre nelle lingue classiche sono segno di arcaismo. Gli studiosi hanno trattato ampiamente un testo in ugaritico (lingua semitica), il poema di Aqhat, in cui c’è una struttura anaforica e all’improvviso la ripetizione della parola viene interrotta. Perché? Errore? Variazione stilistica dell’autore? Cfr. G. Mazzini, Errore dello scriba o effetto di stile in KTU 1.17 VI, 20-25?, in Egitto e Vicino Oriente Vol. 22/23 (1999-2000), pp. 163-166.
11) G. Rinaldi, Alcuni termini ebraici relativi alla letteratura, in Biblica Vol. 40, No. 2 (1959), pp. 267-289.
12) F. M. Fales, G. F. Grassi, L’aramaico antico. Storia, grammatica, testi commentati, Udine 2016.
13) L. Boffo, Iscrizioni greche e latine per lo studio della Bibbia, Brescia 1994.
14) Per approfondire: F. Chiabotti, Dottrina, pratica e realizzazione dei Nomi divini nell’opera di ‘Abd Al-Karim Al-Qushayri, in Divus Thomas Vol. 112, No. 3 (Settembre-Dicembre 2009), pp. 66-93.
15) Il sufismo è un importante esempio di misticismo dell’Islam: esso suppone che per accedere a questa via mistica sia necessario essere musulmano, cioè avere recitato la shahada (professione di fede) e seguire i dettami della sharia, la legge sacra islamica. Esistono molte altre vie mistiche dell’Islam, anche se poco conosciute in Occidente. Secondo una confraternita mistica contemporanea, è possibile aderire a questa particolare via aderendo ai award, i riti della setta. Solo dopo, nella pratica, i murid, “discepoli”, penetreranno a fondo tutto l’Islam. Per approfondire: P. Abenante, Misticismo islamico: riflessioni sulle pratiche di una confraternita contemporanea, in Meridiana No. 2 (2005), pp. 65-94.
16) E. Starobinski-Safran, Significato dei nomi divini – secondo Esodo 3 – nella tradizione rabbinica e secondo Filone d’Alessandria, in La Rassegna Mensile di Israel, Terza Serie, Vol. 41, No. 11/12 (Novembre-Dicembre 1975), pp. 546-556.
17) K. Grant, Il lato notturno dell’Eden, Torino 2018.
18) A. Grossato, Dottrina e metodo del “japa” nelle vie realizzative indù, in Divus Thomas Vol. 112, No. 3 (Settembre-Dicembre 2009), pp. 208-214.
19) Ricostruzione assai interessante che troviamo in: V. Ariel Valenti, Naman-, l’acquoreo scorrere del pensiero, e momenti della creazione verbale vedica, in Studi Classici e Orientali Vol. 65, No. 1 (2019), pp. 25-52.
20) B. Lo Turco, Il terzo Prakarana dello Yogavāsiṣṭha e la dottrina śivaita della vibrazione (spanda), in Rivista degli Studi Orientali Vol. 76, Fasc. 1-4 (2002), pp. 87-120.
21) E. Zaupa, L’Antica Magia Norrena, Torino 2020.
22) M. Schneider, La musica primitiva, Milano 1992.
23) L. Lévy-Bruhl, L’anima primitiva, Torino 2013, riporta infatti che nelle lingue melanesiane e micronesiane dei primitivi le parole si dividono in due grandi gruppi: quelle con suffisso possessivo e quelle senza suffisso possessivo. Le prime comprendono soprattutto i termini che indicano le parti del corpo e quelli che indicano la parentela, come se quei primitivi intendano la parentela alla stregua di una funzione corporale.
24) F. Nietzsche, Il servizio divino dei Greci, Milano 2012.
25) Gli studiosi non sanno bene chi siano questi Annunaki. Per alcuni erano gli angeli di cui parla la Bibbia. Vale a dire delle divinità minori o secondarie che eseguivano gli ordini delle divinità superiori. Un po’ come gli Igigi erano sottomessi agli Annunaki. È interessante osservare come nel poema in accadico Atram-hasis compare un termine, awilum, riferito agli dei Igigi, che come nominativo non avrebbe senso logico, quindi è stato interpretato dai filologi come locativo e tradotto “(erano) come gli uomini”. Perché questi dei erano come gli uomini? Sottomessi agli ordini degli Annunaki? Dovevano lavorare come gli uomini? (Ricordiamo che in quel periodo la lingua accadica aveva ancora i casi, che poi perderà per influsso della lingua aramaica).
26) G. F. Del Monte, La Fine del Canto di Ullikummi, in Orientalia, NOVA SERIES, Vol. 79, No. 2 (2010), pp. 140-151.
27) B. Lincoln, M. Baiocchi, Sacrificio e creazione, macellai e filosofi, in Studi Storici Anno 25, No. 4 (Ottobre-Dicembre 1984), pp. 859-874.
28) R. Guénon, La Grande Triade, Milano 1980.
29) M. Marazzi, La stabilizzazione di un potere centrale nel plateau anatolico durante la metà del II millennio a. C.: Riflessi ideologici nella produzione giuridico-letteraria ittita, in Quaderni Urbinati di Cultura Classica, New Series, Vol. 12 (1982), pp. 93-98. Spesso gli ittitologi si trovano nella difficoltà di identificare con precisione importanti cariche statali del periodo ittita. Le tavolette ittite, infatti, presentano dei termini che gli studiosi non sanno capire adeguatamente. Per esempio, la figura del LUuryanni, la figura del LUKARTAPPU, e così via. Abbiamo perso una tradizione tra il mondo ittita e il mondo del potere come lo conosciamo da civiltà più recenti, quindi sono probabilmente problemi insolubili. Stessa cosa per usi scribali, stilemi, immagini, e così via. Per curiosità segnaliamo un’altra vexata quaestio affrontata dagli ittitologi: l’espressione (ANA) PANI NP nei colofoni ittiti.
30) C. Mora, Lo status del re di Kargamiš, in Orientalia, NOVA SERIES, Vol. 62, No. 2 (1993), pp. 67-70.
31) Per approfondire: G. Zaki, M3wt-ib e hy hnw: espressioni inniche di pregnanza semantica, in Aegyptus Anno 96 (2016) pp. 127-132. Una espressione di gioia dovrebbe essere alla base anche della formula ebraica Alleluja, termine ebraico che significa letteralmente “lodate Dio”, cioè “lodate (allelu) Dio (Ja)”. Ma a Seybold pare che all’inizio il verbo dovesse significare “giubilate”. In origine il verbo deve essere stato impiegato per il suo valore fonosimbolico, per i trilli acuti che vengono prodotti, con colpetti leggeri contro la gola (cosa che occasionalmente è possibile osservare ancora oggi). Questi trilli collettivi forse erano intonati in occasioni specifiche. K. Seybold, Poetica dei Salmi, Brescia 2007.
32) Gli studiosi discutono se il faraone Amenofi IV abbia effettivamento creato un culto monoteista riguardo al dio solare Aton. Inoltre Bosc scrive che presso i celti “i Druidi conoscevano un solo Dio Be-il e conobbero il politeismo solo molto tempo dopo l’invasione romana. Bea-Uil, che per elisione o abbreviazione si pronuncia Be-il, significa ‘vita in ogni cosa’ o ‘la Sorgente degli esseri’ “, in E. Bosc, Belisama. L’occultismo celtico, Milano 2003.
33) Per approfondire: G. Cecere, Maestro nelle due scienze: Ibn Ata’ Allah Al-Iskandari e le forme della preghiera, in Divus Thomas Vol. 112, No. 3 (Settembre-Dicembre 2009), pp. 94-117.
34) H. Corbin, Tempo ciclico e gnosi ismaelita, Milano 2013. Anche l’alchimia arabo-islamica è un sapere molto sincretistico: si rifà a molte fonti. L’alchimia era un sapere tecnico di lavorazione dei metalli che precedette la chimica attuale e che si esprimeva in un linguaggio simbolico. È presente in molte culture, anche in quella islamica. Per esempio, nel trattato Ma’ al-waraqi di Ibn Umail al-Tamimi per indicare il passaggio alchemico dalla tenebra alla luce si usa l’immagine di un cane che cambia colore, conformemente a una metafora presente addirittura nei Veda. Vd. P. Carusi, L’alchimia islamica e i cani della luce, in S. Geruzzi (a cura di), Uomini, demoni, santi ed animali tra Medioevo ed Età Moderna, Pisa-Roma 2010, pp. 161-168.
35) F. Saracino, Nel seno di Cristo, in Gregorianum Vol. 89, No. 3 (2008), pp. 533-557.
36) Per approfondire: E. Albrile, Volti di Asclepio: Origini ermetiche e giudizio dell’anima, in Studi Classici e Orientali Vol. 61, No. 1 (2015), pp. 351-370.
37) I. Ramelli, Le origini della filosofia: greche o barbare?, in Rivista di Filosofia Neo-Scolastica Vol. 99, No. 2 (Aprile-Giugno 2007), pp. 185-214.
38) C. O. Tommasi, Il nome segreto di Roma tra antiquaria e esoterismo. Una riconsiderazione delle fonti, in Studi Classici e Orientali Vol. 60 (2014) pp. 187-219.
39) Per gli sviluppi dell’ipotesi: M. Pozza, Itt. Išta(n)H-Mema/i-: ‘esperire’ e ‘riflettere’ tra concretezza e metafora, in Rivista degli Studi Orientali, Nuova Serie, Vol. 87, Fasc. 1-4 (2014), pp. 57-72.
40) L. Redmond, Quando le donne suonavano i tamburi, Roma 2021.
41) F. Buè, La musica degli uccelli e la parola del divino, in Rivista di cultura classica e medioevale Vol. 57, No. 2 (Luglio-Dicembre 2015), pp. 365-383.
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