Riflessioni Filosofiche a cura di Carlo Vespa Indice
Cristo e la filosofia della condivisione.
Vocazione cristiana come vocazione all'amore e alla condivisione.
di Paolo Forte e Giovanni Cantone - Aprile 2012
Nella filosofia della condivisione il Cristo rappresenta un modello di vita che esorta a lottare per una società più giusta. Secondo tale corrente di pensiero, nella società occidentale contemporanea è sempre stato privilegiato l’aspetto materiale della vita, ma questo ha portato le persone ad avere una visione solo parziale di se stesse. Anche coloro che hanno raggiunto la ricchezza materiale sarebbero spesso infelici, la civiltà materialistica consumistica li avrebbe portati a costruirsi una vita arida e priva di senso, in cui la spasmodica ricerca del denaro avrebbe fatto loro scegliere il lavoro in base all’utile e le frequentazioni in base allo stesso criterio. Una delusione accomunerebbe coloro che hanno raggiunto l’obiettivo di diventare ricchi e coloro che lo hanno inseguito senza raggiungerlo. La ricchezza materiale può permettere tante cose, ma non la felicità autentica verso cui ogni essere umano tende e che solo può essere raggiunta nell’incontro con Dio e nel servizio al prossimo. Chi all’inseguimento della ricchezza dedica tutte le sue energie, spesso non avrebbe il tempo né la capacità di godere veramente di quanto realizza. Oltre ai pericoli di un eccessivo attaccamento, l’attenzione sarebbe sempre puntata su un obiettivo ancora più lontano, ancora più prestigioso, ancora più costoso. Chi crea ricchezza per il proprio esclusivo tornaconto personale si trova costretto a darsi da fare per mantenerla perché questa deve essere continuamente alimentata o, come spesso accade, l’obiettivo di accumulare denaro diviene qualcosa da conseguire con astuzia, anche a scapito dell’onestà e della legalità. (1) Il problema non nascerebbe dalla ricchezza materiale in sé ma dal fatto di essere considerata un fine. Ma se coltivare un amore autentico sull’esempio fornito dal Cristo è sempre un’esperienza che fa crescere e dona serenità ed entusiasmo, coltivare la ricchezza implicherebbe compromessi che renderebbero una persona sempre più invischiata in meccanismi che tolgono tempo, sonno, tranquillità, quando non addirittura coerenza con se stessa. Nell’avvertire sui pericoli di una vita orientata prevalentemente a tesaurizzare, Mohandas Gandhi affermava per esempio che se tutti gli uomini avessero compreso e soprattutto avessero praticato l’eterna legge dell’Amore, avrebbero considerato un peccato ammassare le ricchezze, e allora non ci sarebbero state più disuguaglianze e miserie. Lontano dall’essere veramente felice, chi è ricco possiede sovente un mucchio di cose superflue, mentre se ciascuno avesse solamente ciò di cui ha davvero bisogno, nessuno mancherebbe di niente e tutti potrebbero vivere una vita più dignitosa. Per Gandhi il vero progresso sociale non consisteva nel moltiplicare i bisogni ma nel saperli ridurre con saggezza, in modo volontario e con umiltà, al fine di beneficiare se stessi e il prossimo con la propria scelta di vita.
L’homo empaticus sceglie dunque il Cristo come suo modello di impegno sociale, fa dell’amore per Dio e per i fratelli lo scopo della vita, realizza le proprie potenzialità per dare agli altri una vita migliore, applica i propri talenti lottando per una società più giusta. Non dà la priorità a «quello che conviene», a ciò che fa guadagnare più soldi, ma a quelle realizzazioni capaci di dare una soddisfazione che coinvolge in profondità, non più legata alla dimensione dell’avere ma a quella dell’essere. Egli dà con generosità la propria vita per Dio e per gli uomini, e così facendo la salva. Non la dà in modo spettacolare, ma nei piccoli atti giornalieri di sacrificio personale. La dà pezzo a pezzo, felice al pensiero che sta vivendo la propria vita nella maniera più nobile. Unendo il suo slancio a quello di ogni uomo e di ogni donna di buona volontà nella costruzione di un mondo più umano, sa mantenersi saldo nella fede. È cioè consapevole che il movimento che lo porta agli altri e al loro servizio, è lo stesso movimento che lo porta anche a Dio, che rappresenta la ragione ultima del suo muoversi e del suo spendersi.
Secondo la filosofia della condivisione, la mancanza di valori e ideali che avvicinano le persone fra loro – come la condivisione, l’equosolidarietà, l’ecosostenibilità, l’amicizia – sarebbe una delle prime cause di frustrazione e di degrado umano. (2) Le persone sarebbero indotte dall’attuale sistema economico a non soffermarsi nel dare valore a tutto ciò che l’uomo ha – dalla salute fisica e psichica, ai beni materiali, alla libertà di pensiero e di espressione – perché la sua attenzione risulta focalizzata su quello che non ha. Il sistema consumistico favorirebbe questa deformazione di pensiero, senza preoccuparsi degli effetti collaterali. (3) L’esempio del Cristo esorta invece l’uomo a condurre un’esistenza più semplice, più sobria, e a rimettere al centro della propria vita l’amore e il senso di giustizia sociale. Tutto questo si declina in molteplici forme, dall’attenzione e la premura verso la propria famiglia, alla protezione nei riguardi di un ambiente sempre più sfruttato, dalla cura che l’uomo onesto ha per il suo lavoro, alla soddisfazione che si prova nel coltivare relazioni pacifiche e costruttive. Essere cristiani significa anche dare un valore più importante all’arte; significa essere creatori di bellezza, e saperla riconoscere in ciò che ci sta attorno. È un peccato che troppo spesso consideriamo la bellezza intorno a noi come una cosa scontata, e la perdiamo completamente. È strano che quanto più abbiamo sotto gli occhi le meraviglie della natura, tanto più diveniamo ciechi nei loro confronti, quasi come se invece di dimorare su questa bella terra e sotto questo splendido cielo, fossimo inquilini di un carcere.
In questa complessa fase storica, essere cristiani significa soprattutto prendere atto che le politiche neoliberiste stanno avendo degli effetti devastanti sulla vita delle persone e sull’ambiente, e che bisogna opporsi in ogni modo a questo sfacelo. A differenza di quello che molti economisti neoliberisti vogliono far credere alla gente, il mercato non tende assolutamente all’equilibrio ma al monopolio. Esso genera in modo spontaneo i monopoli e porta inevitabilmente alla polarizzazione tra ricchi e poveri, tra chi detiene i mezzi di produzione e chi invece offre la sua forza lavoro sul mercato come se il suo lavoro fosse una merce come le altre. Il mercato taglia fuori i bisogni primari di chi non ha i soldi per partecipare: coloro che hanno fame ma non hanno i soldi per pagare e non riescono a trovare un lavoro, sono tagliati fuori. Esso non ha alcuna considerazione per i diritti fondamentali dell’uomo. Più di due miliardi di persone nel mondo sono tagliate fuori perché guadagnano uno o due dollari al giorno e non sanno come faranno a sopravvivere l’indomani. Il sistema anglosassone, basato sul dominio della finanza sull’economia, sulla politica e sulla sfera sociale, è stato proposto e imposto come universale, ed è stato adottato da moltissimi paesi, soprattutto in Europa. Secondo questo modello il mercato è un valore assoluto, indiscutibile e intoccabile. È un meccanismo che, lasciato a se stesso, senza interferenze da parte dei governi, è in grado di allocare sempre e comunque, in ogni circostanza e in ogni tempo, le risorse in maniera ottimale e di trovare l’equilibrio tra offerta e domanda e quindi il “giusto valore” delle cose. Secondo questa ideologia lo stato – includiamo anche la società civile – deve avere un ruolo del tutto secondario nell’economia, e anzi, se interferisce con le forze spontanee del mercato, distorce l’efficiente allocazione delle risorse e danneggia l’economia. Da qui la completa liberalizzazione della finanza, la libera circolazione internazionale dei capitali e le ondate di privatizzazioni anche di servizi pubblici essenziali, come l’istruzione e la sanità. Ciò di cui non ci rendiamo però conto è che i diritti universali dei cittadini sono stati totalmente subordinati ai “diritti” di un mercato deregolamentato, il cui unico scopo è la ricerca del profitto. (4)
Interessato alle nuove povertà legate alla recente crisi economica, lo studioso italiano Andrea Braggio evidenzia per esempio come solo un’attenta pedagogia della condivisione orientata verso una maggiore giustizia sociale possa offrire speranza alle famiglie e ai lavoratori la cui vita appare sempre più segnata da una grave crisi, che è al tempo stesso economica, politica ed etica. Oggi possiamo contare su cibo migliore e quantitativamente maggiore, e tuttavia gli uomini muoiono di fame e carenza d’amore, in un mondo di abbondanza e sprechi di ogni genere. Ora più che mai è necessaria una pedagogia della condivisione che abbia fra i suoi obiettivi quello di rimettere l’uomo, la sua dignità e i suoi bisogni primari al centro delle dinamiche socioeconomiche, evidenziando la necessità che gli uomini vengano in soccorso gli uni degli altri. Una pedagogia che intende andare oltre la mentalità di coloro che valutano tutto in base alla logica della produttività, dell’efficienza e del profitto a scapito di una educazione della responsabilità, che è innanzitutto educazione del cuore e dei sentimenti, fattori questi necessari per evitare il dilagante processo di disumanizzazione determinato dal capitalismo. Una pedagogia che non sottovaluta i pericoli del consumismo, che non consiste soltanto nella facilità a spendere e a consumare gli oggetti, ma è diventato anche un modo di vivere, un modo di essere che corrompe l’intelligenza emotiva e favorisce un atteggiamento passivo e indifferente verso i propri simili. Si tratta di un rinnovato sistema educativo che, capace di guardare al futuro, punta all’unità nella diversità, sulla condivisione delle risorse e su un servizio disinteressato all’umanità sofferente, sull’esempio offerto da Colui che Andrea Braggio considera l’Educatore per ogni essere umano su questa terra, ovvero il Cristo, vero modello di condivisione. La vita acquista dunque un senso nella misura in cui ci adoperiamo per la pace e la felicità del prossimo, a partire dalla famiglia, che è costruita dall’affetto, dalla comprensione e dalla cooperazione dei suoi membri. Secondo Braggio, si vive dunque davvero quando si vive per gli altri e si crede sinceramente che “è nel dare che riceviamo”. È vedere nel volto infelice degli uomini e delle donne provati dall’attuale crisi il volto del Maestro e fare qualcosa per loro, per non lasciarli soli. Il vero problema oggi, soprattutto nelle grandi metropoli, è infatti la solitudine degli uomini e delle donne che hanno perso il lavoro o non riescono ad arrivare alla fine del mese, persone spesso sfiduciate dalla vita che non necessitano solo di essere assistite, ma soprattutto accompagnate. Proprio per questo la pedagogia della condivisione afferma la necessità di ottimizzare le risorse per rispondere alle nuove emergenze ed educare a una responsabilità collettiva fin dalla prima infanzia, tenendo però presente che il mondo del volontariato non può supplire da solo ai tagli imposti dalla crisi.
La riflessione di Braggio viene peraltro a coincidere con ciò che diversi Arcivescovi italiani stanno denunciando da tempo, ovvero l’incapacità da parte della politica di fronteggiare in modo chiaro e deciso le quattro priorità al centro dell’attuale dibattito sulla crisi economica: il lavoro, la famiglia, i giovani e le nuove povertà. In epoca di risorse ridotte, il sistema dell’assistenza non si può reggere solamente sulle spalle del volontariato o di coloro che hanno fatto del servizio disinteressato il centro della propria vita. I servizi sociali devono certamente fare la loro parte, e devono avere le risorse necessarie, ma la politica non può delegare questi processi, li deve guidare in modo più attento e responsabile. Se di fronte agli attuali problemi sociali che stiamo vivendo, la classe politica arretra o provvede esclusivamente a fare tagli, le fondamenta rischiano infatti di crollare. Sull’esempio non solo dei santi sociali, ma anche di importanti uomini del passato impegnati nel proteggere i più deboli e nel promuovere condizioni di vita migliori, chi si occupa di politica deve dare la priorità al bene comune e non solo a quello individuale.
Il Mahatma Gandhi, Papa Giovanni XXIII, John F. Kennedy, Martin Luther King si guadagnarono in brevissimo tempo l’affetto e l’ammirazione del mondo intero perché avevano il senso degli altri e un senso di responsabilità sociale pienamente sviluppato. La comprensione, la generosità e la compassione erano le tre dimensioni sociali che li contraddistinguevano. Questi uomini fecero quel che poterono per il miglioramento del genere umano, lavorarono per un mondo migliore, costruendolo sull’amore e la giustizia. Ci hanno insegnato che non esiste cosa peggiore dell’indifferenza di un uomo verso l’altro. Con il loro esempio personale, hanno rivelato come la felicità non risieda mai in ciò che un individuo ha, ma sempre in ciò che egli fa. Non consiste mai in ciò che un individuo riceve, sia molto o poco, ma sempre nel contributo personale che offre al miglioramento delle condizioni di vita dei suoi simili, anche se questo non comporta mai un’esistenza più facile.
Fra i tanti insegnamenti lasciati dal Cristo, l’amore fraterno e l’instancabile servizio al prossimo occupano un posto centrale. Questo amore e questo servizio che non contano i sacrifici sono inseparabili dall’amore per Dio: come potrebbe amare Dio che non vede colui che non ama il fratello che vede? (5) I due grandi amori, quello nei riguardi dell’uomo e quello nei riguardi di Dio, rappresentano la sintesi e il vertice della legge. (6) Precisando la portata dell’amore fraterno che chiede ai suoi discepoli, il Cristo afferma: amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati. (7) Non vi è unione con Dio senza unione con i fratelli attraverso la condivisione. «Se qualcuno, godendo delle ricchezze del mondo, vede il suo fratello nella necessità e gli chiude il cuore, come l’amore di Dio potrebbe rimanere in lui? Figlioli miei, non amiamo solo a parole ma con atti, veracemente. Da questo sapremo che siamo nella verità». (8) Un amore cristiano autentico aspira a creare le condizioni concrete più favorevoli in cui tutti gli uomini possano realizzarsi come fini, in cui i diritti di ognuno siano effettivamente riconosciuti. È quindi contrario alla dignità umana, e perciò all’amore cristiano, che agli uomini sia elargito paternalisticamente come elemosina ciò che spetta loro come diritto. Il vero cristiano, mentre assolve il dovere dell’elemosina, si rende conto che essa costituisce una soluzione di ripiego. Egli sente nel suo cuore di dover lottare per una società in cui ognuno abbia per diritto ciò che per diritto gli spetta, a partire dal cibo. (9) Un vero discepolo di Cristo non può non trovarsi in prima linea fra coloro che denunciano coraggiosamente, alla luce e in nome del Vangelo, le ingiustizie dovute a una mancata condivisione delle risorse mondiali e allo sfruttamento nei rapporti di lavoro, favoriti dall’attuale sistema economico e dall’ideologia neoliberale che ne sta alla base.
Secondo la filosofia della condivisione, sulla terra ci sono più materie prime, più macchine, più forze lavorative addestrate e migliori metodi di produzione di quanto non vi siano mai stati in passato, eppure gli uomini non ne traggono un vantaggio corrispondente. Nonostante il mondo disponga di mezzi economici, tecnologici e organizzativi che sarebbero largamente sufficienti per assicurare una vita decente all’intera sua popolazione di quasi 7 miliardi, l’umanità si trova in una grave crisi, è attraversata da pericolosi squilibri economici. A fronte di tali immensi mezzi, sarebbe assicurata sì una vita decente a circa 1,5 miliardi di persone abitanti nei paesi più sviluppati – dove esistono comunque decine di milioni di poveri – più quelle facenti parte degli strati superiori dei paesi emergenti; ma al tempo stesso costringerebbe a una vita classificabile sotto vari aspetti come indecente gli altri 5 miliardi. Gli indicatori che depongono in tal senso sono numerosi; parecchi sono notevolmente peggiorati dal 2007 in poi per effetto della crisi economica. I poveri che sopravvivono con 1 dollaro al giorno sono ora stimati dalla Banca Mondiale in 1,4 miliardi. (10)
Sullo sfondo di simili dati v’è – a giudizio di molti esperti – una situazione per un certo verso altrettanto drammatica: l’elevato grado di insicurezza socio-economica che attanaglia masse di persone, che la crisi ha accresciuto pure nei paesi sviluppati. Come hanno più volte fatto notare diversi esponenti della filosofia della condivisione, si tratta di persone che si chiedono con angoscia se il mese prossimo, o anzi domani, avranno ancora un lavoro, un reddito, una casa, la possibilità di mandare i figli a scuola, o di avere almeno cibo sufficiente per sé e per loro.
Un vero discepolo di Cristo non può rimanere indifferente di fronte a questo disastro sociale e indignarsi quando la sofferenza e lo smarrimento esistenziale di queste persone provate dalla crisi si scontra con il muro dell’indifferenza di coloro che dispongono di beni maggiori ma, chiusi nel loro egoismo e saturi della loro autocompiacenza, non si adoperano per alleggerirne il fardello. Si tratta però di un degrado umano che in verità appartiene a entrambi, sia a chi soccombe a causa della crisi sia a chi, «inconsapevole di trovarsi sulla medesima barca», (11) è stato solo parzialmente toccato da essa e ancora non sa cosa lo attende. (12)
Un vero discepolo di Cristo fa della ricerca della gioia lo scopo della vita. Questa gioia risiede essenzialmente nell’accostarsi a Dio ogni giorno della propria vita attraverso l’amore, la condivisione e il servizio al prossimo; un servizio che però comporta il lottare per una società più giusta che, come rivela l’attuale sistema economico, manca ancora di umanità. Viviamo oggi in un mondo tanto poco felice perché abbiamo perduto il senso di Dio e il senso di Unità del genere umano. Ci siamo considerati per troppo tempo separati gli uni dagli altri, ognuno rinchiuso nel proprio piccolo mondo, incapaci di venirci davvero incontro, di aiutarci. Condizionati dal neoliberalismo, gli esseri umani sono divenuti un’immagine deformata della loro stessa nobile essenza. Anche gli attuali sistemi educativi hanno fallito nel far comprendere che nessuno è nato solo per sé e che chi vive solo per sé, non vive per nessuno. Hanno fallito perché non hanno davvero saputo fronteggiare le piaghe dilaganti della reciproca indifferenza, della contrapposizione sistematica e del generale timore, tutti fattori che hanno allontanato le persone dal sentire gli stretti vincoli che legano invece fra loro gli uomini e le nazioni del mondo. Oggi più che mai gli uomini necessitano di comprendere che la competizione va abbandonata e sostituita dalla cooperazione. Devono prendere coscienza di essere legati da comuni problemi e aspirazioni, di dover costruire insieme il bene che li riguarda tutti insieme, con equilibrio, con vera partecipazione, con onestà e verità. Questa crisi, che è innanzitutto crisi di valori, è ora onnipresente e coinvolge quasi interamente la cultura e la società, da cima a fondo. Permea le forme delle organizzazioni sociali, economiche e politiche e tutto il modo di vivere e di pensare. Come sostiene la filosofia della condivisione, c’è ogni ragione di attendersi che l’effetto disastroso di tali calamità ricadrà assai presto su di noi, svegliandoci finalmente sulla necessità di cambiare rotta, a partire dalla condivisione fra i singoli e le nazioni.
Paolo Forte, Giovanni Cantone
NOTE
1) M. Polito, Educare il cuore. L’intelligenza emotiva degli adolescenti a scuola, edizioni la meridiana, Bari 2005, pp. 45-47.
2) Lo sperpero di cose tangibili, dalle risorse naturali al cibo rappresenta un problema da risolvere prima che sia troppo tardi. Un numero sempre più vasto di esperti spiegano l’urgenza di proporre nuovi modelli di consumo sia nei paesi avanzati che in quelli in via di sviluppo, e diventa anche indispensabile un salto del paradigma tecnologico: una nuova rivoluzione industriale che riguardi le fonti energetiche. I cambiamenti che ci attendono sono epocali, difficili da gestire sul piano sociale e politico, ma appaiono anche indispensabili e indifferibili (W. Bello, The Future in the Bilance: Essays on Globalization and Resistance, Food First Books, Oakland 2001).
3) Andrea Segrè, Lezioni di ecostile. Consumare, crescere, vivere, Bruno Mondadori, Milano-Torino 2010.
4) Raj Patel, Il valore delle cose e le illusioni del capitalismo, Feltrinelli, Milano 2010.
5) 1 Giov. 4, 20-21; 1 Giov. 3, 17
6) Mc. 12, 28-33; Mt. 22, 34-40; Mt. 10, 25-28; Col. 3, 14
7) Giov. 13, 34; 15, 12
8) 1 Giov. 3, 17-19
9) Eric Holt-Giménez (a cura di), Food Movements Unite! Strategie per trasformare I nostri sistemi alimentari, Slow Food Editore, Bra (Cn) 2011.
10) In merito ai dubbi effetti della globalizzazione sulla riduzione della povertà estrema, si veda R. Kaplinsky, Globalization, Poverty and Inequality. Between a Rock and a Hard Place, Polity Press, Cambridge 2005.
11) Eric Holt-Giménez (a cura di), Food Movements Unite! Strategie per trasformare I nostri sistemi alimentari, Slow Food Editore, Bra (Cn) 2011, p. 12.
12) Secondo molti filosofi della condivisione la crisi globale non sarebbe terminata; si starebbe invece aggravando e, prima di un vero e proprio collasso economico globale, potrebbe arrivare a mettere in ginocchio l’umanità intera in modo ancora più drammatico.
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