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Aletheia di Emanuela Trotta

Aletheia

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Il valore del tempo

Gennaio 2025


Si è abituati a osservare il tempo come un flusso che scandisce il passato, il presente e il futuro. Il nostro rapporto con il tempo è caratterizzato da un intreccio degli orizzonti di tempo, il passato non è semplicemente ciò che non c’è più, il passato resta costitutivo dell’esperienza presente, essenziale per la sua comprensione.
La separazione inevitabile del passato non ne diminuisce la forza affettiva.
Ciò che non è più, può manifestarsi con una presenza più intensa, come accade quando proviamo un forte sentimento di nostalgia. Allo stesso tempo il nostro presente acquista significato da un’idea di futuro. La conoscenza trae forza da ciò che è stato e da ciò che verrà. Se l’idea del futuro che ciascuno di noi ha, risulta instabile e incerta, si rischia di rimanere appesi a un presente assoluto.
Anche il passato perde il suo valore al fine di proiettare una visione del futuro, ma diviene luogo della nostalgia. Mancando una forza che spinge in avanti, il presente si apre e si chiude su sé stesso. Il bisogno di sentirsi attivi spinge a saturare il presente di eventi, di possibili esperienze alternative senza una direzione chiara. Da qui il vissuto di accelerazione, affanno, inquietudine, e talvolta stasi, ripetitività. Ci si muove in tante direzioni, ma niente cambia. La frammentazione del tempo e la tendenza a riempirlo il più possibile riguarda la difficoltà di attendere.
Si vive nel qui ed ora, in un presente puntuale che però deve anche generare risultati, in nome dell’efficienza che non sembra avere argini. Tutto ciò toglie valore e senso agli spazi intermedi, al cammino. Il tentativo è di far scomparire i tempi intermedi, in quanto fonte di inquietudine o di noia.
Per questo motivo, ad esempio l’ascolto, l’approfondimento o il dissenso sono considerate perdite di tempo, inceppi a un flusso di azione che non deve essere interrotto. Lo spessore dell’esperienza umana si costruisce proprio nel cammino.
Il rischio è che spazio e tempo non significhino più niente. La simultaneità rimuove ogni distanza e ogni attesa, estingue il tempo necessario a costruire una relazione di intimità autentica, e indugiare genera impazienza.
Cosa si rischia di perdere?
Abbiamo perso la spinta generatrice del desiderio, che ha bisogno di vuoto, di assenza, di mancanza per costituirsi. È l’affievolirsi di una vocazione tipicamente umana che è quella di generare nuovi inizi. Per generare nuovi inizi è necessario cominciare, ma anche finire, questo richiede che ci siano zone intermedie e zone di passaggio.
Da sempre gli esseri umani hanno una preoccupazione costante per il trascorrere del tempo, perché hanno coscienza che tutto ciò che esiste è finito e limitato.
Progettiamo il futuro partendo da quello che siamo adesso, ma non tutto è progettabile, ci sono delle cose che non possono essere previste. Oggi la scienza riesce a prevedere il futuro, ma rischia di pensare di poter ridurre l’avvenire a futuro. Pensiamo che il tempo sia qui ed ora, ma il tempo umano è un’altra cosa, è fatto dalla memoria, ma anche dalla speranza, dall’attesa, eppure l’imprevedibile non è eliminabile.
Il futuro è una proiezione che si basa sul presente, l’avvenire è invece ciò che non può essere previsto. È a partire dall’oggi che penso al domani, allo scopo di progettare le mie azioni future, di conseguenza il domani, non può fare altro che contenere delle tracce di questo oggi. All’opposto l’avvenire è ciò che accade, e ciò che accade lo fa senza preavviso, ad esempio accade che ci si innamori, nessuno progetta che si innamorerà o può prevedere quando avverrà.
Bisogna predisporsi ad accogliere il nuovo, l’imprevedibile, ciò che non può essere progettato, né previsto e neanche immaginato. Il nostro presente ha prestato attenzione al futuro disinteressandosi dell’avvenire.
Se potessimo fermarci a pensare a quel che veramente è importante per noi, rivolgendo l’attenzione a quella collettività con la quale tendiamo ad interfacciarci con distanza, cambieremmo la visione di noi stessi, l’immagine, spesso artificiosa, che ha fatto in modo che dimenticassimo il senso della condivisione. Se potessimo guardare alla vita iniziando a considerare il tempo perso quale occasione utile alla progressione verso il presente, non perderemmo neanche un attimo del tempo a disposizione, apparentemente illimitato.
Il tempo può essere considerato come un evento di relazione, la possibilità di un incontro con l’altro, con la sua storia e la sua interiorità.
Se impariamo ad ascoltare noi stessi e a dar voce alle nostre esigenze, diventiamo più consapevoli delle nostre scelte. Fermarsi per ritrovarsi significa dare valore al nostro tempo e alle nostre esperienze, anziché lasciarsi travolgere dall’incessante corsa della quotidianità.
Fermarsi ci offre l’opportunità di ridefinire le nostre priorità e allineare le nostre azioni con i nostri valori più profondi, è un’occasione che spesso non ci viene concessa, ma che permette di ritrovarci.
Solo la consapevolezza personale ci permette di intraprendere un cammino di miglioramento, apportando cambiamenti positivi nella nostra vita.


Emanuela Trotta


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