Riflessioni sulla Simbologia
di Sebastiano B. Brocchi
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La città concentrica.
Archetipo del cosmo e della fortezza interiore
Maggio 2008
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Nel Canto IV della “Divina Commedia”, Dante e Virgilio scorgono un fuoco luminoso ardere in un “nobile castello”, dimora degli “spiriti magni”. Questa fortezza, ci dice il poeta, è cinta da sette cerchie di mura, cui si accede da sette porte.
Citerei infine la città di Minas Tirith, nata dalla fantasia del celebre romanziere Tolkien, autore de “Il Signore degli Anelli”. Minas Tirith, luogo cruciale per gli eventi del romanzo, è descritta come una fortezza difesa da sette cerchi di alti bastioni, al centro della quale sorgeva il palazzo reale.
Esiste un legame fra queste fortezze, accomunate da un’analoga e alquanto rimarcabile struttura? E ancora, esiste una spiegazione a simili scelte urbanistiche che non appartenga al campo della strategia bellica o a soluzioni di tipo pratico, e nemmeno alla semplice fantasia dei suoi ideatori? Credo di sì.
Impossibile a questo punto non citare l’utopistica “Città del Sole” di Campanella, che «sorge nell'alta campagna un colle, sopra il quale sta la maggior parte della città; ma arrivano i suoi giri molto spazio fuor delle radici del monte, il quale è tanto, che la città fa due miglia di diametro e più, e viene ad essere sette miglia di circolo; ma, per la levatura, più abitazioni ha, che si fosse in piano.
E' la città distinta in sette gironi grandissimi, nominati dalli sette pianeti, e s'entra dall'uno all'altro per quattro strade e per quattro porte, alli quattro angoli del mondo spettanti; ma sta in modo che, se fosse espugnato il primo girone, bisogna più travaglio al secondo e poi più; talché sette fiate bisogna espugnarla per vincerla. Ma io son di parere, che neanche il primo si può, tanto è grosso e terrapieno, ed ha valguardi, torrioni, artelleria e fossati di fuora.
Entrando dunque per la porta Tramontana, di ferro coperta, fatta che s'alza e cala con bello ingegno, si vede un piano di cinquanta passi tra la muraglia prima e l'altra. Appresso stanno palazzi tutti uniti per giro col muro, che puoi dir che tutti siano uno; e di sopra han li rivellini sopra a colonne, come chiostri di frati, e di sotto non vi è introito, se non dalla parte concava delli palazzi. Poi son le stanze belle con le fenestre al convesso ed al concavo, e son distinte con piccole mura tra loro. Solo il muro convesso è spesso otto palmi, il concavo tre, li mezzani uno o poco più.
Appresso poi s'arriva al secondo piano, ch'è dui passi o tre manco, e si vedono le seconde mura con li rivellini in fuora e passeggiatori; e della parte dentro, l'altro muro, che serra i palazzi in mezzo, ha il chiostro con le colonne di sotto, e di sopra belle pitture.
E così s'arriva fin al supremo e sempre per piani. Solo quando s'entran le porte, che son doppie per le mura interiori ed esteriori, si ascende per gradi tali, che non si conosce, perché vanno obliquamente, e son d'altura quasi invisibile distinte le scale.
Nella sommità del monte vi è un gran piano ed un gran tempio in mezzo, di stupendo artifizio.
(...) Il tempio è tondo perfettamente, e non ha muraglia che lo circondi; ma sta situato sopra colonne grosse e belle assai. La cupola grande ha in mezzo una cupoletta con uno spiraglio, che pende sopra l'altare, ch'è uno solo e sta nel mezzo del tempio. Girano le colonne trecento passi e più, e fuor delle colonne della cupola vi son per otto passi li chiostri con mura poco elevate sopra le sedie, che stan d'intorno al concavo dell'esterior muro, benché in tutte le colonne interiori, che senza muro fraposto tengono il tempio insieme, non manchino sedili portatili assai.
Sopra l'altare non vi è altro ch'un mappamondo assai grande, dove tutto il cielo è dipinto, ed un altro dove è la terra. Poi sul cielo della cupola vi stanno tutte le stelle maggiori del cielo, notati coi nomi loro e virtù, c'hanno sopra le cose terrene, con tre versi per una; ci sono i poli e i circoli signati non del tutto, perché manca il muro a basso, ma si vedono finiti in corrispondenza alli globbi dell'altare. Vi sono sempre accese sette lampade nominate dalli sette pianeti.
Sopra il tempio vi stanno alcune celle nella cupoletta attorno, e molte altre grandi sopra gli chiostri, e qui abitano li religiosi, che son da quaranta.
Vi è sopra la cupola una banderuola per mostrare i venti, e ne signano trentasei; e sanno quando spira ogni vento che stagione porta. E qui sta anco un libro in lettere d'oro di cose importantissime» (Tommaso Campanella, “Appendice della Politica detta La Città del Sole”).
Questa città si ispira direttamente a quella egizia di Adocentyn, descritta nel “Picatrix” (noto trattato magico dello Pseudo Maslama Al-Magriti).
Ecco quindi che la “città concentrica”, assume o può assumere valenze più profonde e misteriose della semplice scelta urbanistica: essa rispecchia e tenta di concretare nella sua forma singolare, le leggi armoniche del cielo e del sistema planetario. Ma non solo: in quasi tutte le antiche iniziazioni, al neofita che voleva penetrare i Misteri era chiesto di attraversare sette porte simboliche, delle quali si trova traccia anche in numerosi miti, come quello della discesa di Isthar agli inferi:
«Ishtar arriva alle porte dell'oltretomba e chiama i guardiani a gran voce, minacciando, se non gli fosse aperto, di distruggere la porta e di far uscire dal Kurnugi i morti, che avrebbero divorato i vivi, così da sovvertire l'ordine del mondo. I guardiani avvertono la signora dell'oltretomba, Ereshkigal, sorella di Ishtar, che coglie l'occasione per attirarla in una trappola. La dea viene fatta entrare per le sette porte degli Inferi, e per ciascuna porta viene spogliata gradualmente delle sue vesti e dei suoi gioielli, simboli del suo potere. Alla fine, nuda, viene fatta entrare nella sala del trono di Ereshkigal» (“Discesa di Ištar negli Inferi”, da Wikipedia, http://it.wikipedia.org).
Interessante notare che a proposito dell’Orfismo, e delle dottrine gnostiche ad esso collegate, ci viene detto che «alla nascita, l’anima di luce scende le scale delle sette sfere e i pianeti, visti come divinità inferiori e demoni (arconti), la appesantiscono, rivestendola del sudicio involucro della materia. Al suo passaggio, ogni pianeta vi imprime una qualità negativa e la intorpidisce: Venere le trasmette la lussuria, Mercurio l’avidità, Marte la collera, Giove la vanità, ecc.
Dopo la morte, il corpo terreno rimane come larva nel Tartaro, mentre l’anima risale verso la regione dell’aria (Beemoth), con gli arconti che cercano di impedirne il passaggio. A quel punto, è necessaria la conoscenza (gnosi) esatta dei segni e delle parole d’ordine perché si spalanchi la strada verso le sette tappe della purificazione» (Alexander Roob, “Alchimia e Mistica – Il museo ermetico”, Edizioni Taschen).
Anche il rituale mitraico prevedeva «una sorta di percorso di purificazione attraverso sette porte (non necessariamente da intendersi fisicamente), una per ciascun livello di iniziazione, ma anche una per ciascun circolo celeste allora noto (Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove e Saturno), e forse rappresentate dalle icone dei sette simboli di iniziazione» (“Mitra e il Mitraismo”, da http://spazioinwind.libero.it/popoli_antichi/Religioni/MITRAISMO.html).
Queste sette porte rappresentavano sì dunque, da un lato, i sette pianeti tolemaici, ma dall’altro, e soprattutto, le “influenze spirituali” che ai pianeti venivano attribuite. Attraversare le porte planetarie significava dunque spogliarsi gradualmente (come infatti accade alla Dea Isthar, cui vengono tolti abiti e gioielli alla soglia di ogni porta) delle forze astrali ad esse corrispondenti; attraverso un’opera interiore che le trasmuti da aspetti caotici e distruttivi a fattori di crescita spirituale (la simbolica sublimazione dei sette metalli alchemici), paragonabile ad una gnostica “vittoria sugli arconti”, che ritroviamo in Alchimia dove l’Artista giunto al termine della propria opera può dire infranto il potere dei demoni metallici (cfr. Salomon Trismosin, “Splendor Solis”).
A quel punto le “porte” divenivano, simbolicamente, delle “mura”, poste a difesa della propria fortezza, perchè quel che prima era d’impedimento, ora, nel suo aspetto nobilitato, si trasmutava in barriera di saldezza. Lasciatesi alle spalle tutte le porte, erette dietro di sè le difese necessarie, si poteva giungere infine al palazzo-tempio del Re interiore, sovrano divino dell’essere, che si trova nel nucleo d’oro della fortezza...
La fortezza interiore può essere vista tanto come luogo della Psicomachia (guerra dell'anima), immaginando un'anima assediata da potenze demoniache che vogliano indurla al peccato (ma si tratta di una visione prettamente dualistica, che porrei fra i livelli interpretativi più rudimentali); quanto (e siamo su un livello misticamente ben più evoluto) come simbolo dell'alchemica Fissazione dello spirito, coagulazione dello Zolfo o, per dirla con la "Baghavadgita", Unificazione nella Saggezza. L'individuo, operando un passaggio dall'esistere all'Essere, toccando l'Assoluto, si è reso Pietra, Lapis Philosophorum, si è reso uno con la Sorgente. Fortezza interiore che è anche rappresentazione della Forza assoluta (XI Arcano Maggiore dei Tarocchi), l'ermetica Forza forte di ogni forza. Non si tratta certo della potenza muscolare, non di una forza che scaturisce dall'ira, e nemmeno di una forza che conduce alla prevaricazione, ma di quella forza invisibile che si nasconde agli occhi e che tiene, e muove, da sapiente burattinaio, i fili del mondo. Non sarà difficile scorgere in essa l'ispriatrice della "Forza" che nella saga cinematografica di "Star Wars" designa l'Anima Mundi...
Sebastiano B. Brocchi
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