Riflessioni sulla Mente
di Luciano Peccarisi - indice articoli
La mente muta di frate John
luglio 2010
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Consapevolezza
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Menti senza linguaggio
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Menti mute
Senza la lingua la nostra capacità di pensare sarebbe stata meschina e paragonabile a quella degli altri animali superiori.
Albert Einstein
Frate John soffriva di attacchi epilettici da quando era giovane (1). Era un religioso cinquantenne che teneva bene, sotto controllo dei farmaci, il suo ciclico male. Nell’attacco epilettico di colpo qualcosa va storto. Ricorda un po’ quando si giocava a flipper ogni tanto se ti accanivi troppo, andava in tilt e il gioco si bloccava. Così il cervello, qualsiasi cervello, va in tilt se supera un certa soglia, cioè se è sottoposto a eccessivi stress. Se poi vi è una predisposizione o un motivo qualsiasi che funge da grilletto scatenante, la soglia si abbassa e le crisi perciò più frequenti. Possono essere localizzate, se avvengono solo in certe parti del corpo, una mano, metà corpo; oppure generalizzate, allora è l’intero corpo che vibra e si ha perdita di coscienza. A frate John la zona che andava in tilt era la regione cerebrale in cui funzionano i centri del linguaggio. Fenomeno abbastanza insolito e, data la lunga durata degli episodi, il frate era un’ottima cavia per capire come funziona la mente senza linguaggio, sia verbale (compreso il linguaggio interiore) sia scritto.
Consapevolezza
Quando frate John non riusciva a produrre parole era comunque consapevole del suo stato deficitario. Ed era in grado di porvi rimedio, in qualche modo. Riusciva a volte a intuire, con qualche minuto di anticipo, l’arrivo di un attacco e ad accordarsi perché un altro religioso lo sostituisse nel lavoro. Disponeva tutto in modo che durante l’attacco non ci fossero difficoltà, per sé e per gli altri. Combatteva consciamente la tendenza alla depressione e alla sonnolenza e teneva a portata di mano una piccola radio, con cui mettere alla prova, di tanto in tanto, la propria comprensione di quanto udiva. Nonostante l’assenza della capacità di linguaggio, alla fine dell’episodio serbava ricordo completo dell’accaduto. Insomma sapeva gestirle.
Una volta però si trovava in Svizzera, era appena arrivato alla stazione di un paesino sconosciuto e, proprio mentre con il bagaglio scendeva dal treno, si rese conto di non essere in grado di leggere né di parlare. Trovò un albergo ma per incomprensione venne allontanato. Al secondo furono più gentili, comunicò a gesti e gli fu data una stanza. Indicò all’impiegato della reception il passaporto su cui trovare le informazioni per riempire il modulo di registrazione. A tavola non era in grado di leggere il menù, ma indicò quella che riteneva potesse essere la sezione degli antipasti e scelse un piatto a caso, sperando che gli piacesse. Era un piatto che detestava, ma lo mangiò ugualmente. Salì in camera e dormì. Quando si svegliò, a crisi passata, andò alla reception e spiegò dettagliatamente l’accaduto.
Menti senza linguaggio
Gli animali se la cavano benissimo senza parlare. Conoscono gli altri animali distinguendoli tra quelli da cui star lontani, quelli indifferenti e quelli a cui potersi avvicinare. Conoscono le piante, le avversità meteorologiche, l’acqua, il fuoco, il sesso, il riparo. Calcolano e prevedono comportamenti altrui, di animali o di oggetti materiali. Si muovono ed agiscono con buon senso e a ragione e non si muovono a caso. Dietro quel comportamento non vi è un linguaggio ma concetti e credenze. In gran parte già presenti alla nascita e altri frutto dell’esperienza. Il martin pescatore calcola (automaticamente) l’indice di rifrazione dei corpi immersi nell’acqua così può catturare i pesci che si avvicinano troppo alla superficie. Altri non sanno fare questo, ma sono capaci di fare cose altrettanto raffinate. Con il linguaggio l’animale umano non solo prevede ma descrive e spiega, esplicita e condivide, dibatte e si confronta con gli altri e ciò genera ulteriore conoscenza. Per questo motivo le cose diventano sempre più complesse e articolate. Con il linguaggio possiamo immaginare situazioni non osservate, porre domande, cercare risposte teoriche e poi quelle pratiche. Ciò non significa che senza linguaggio il cervello non possieda una fisica ingenua, una psicologia ingenua, un senso comune, capacità predittiva e un buon senso pratico. Il cane non parla, eppure sa fare un sacco di cose. E’autocosciente, seppur in modo limitato, non sa nulla dell’universo, nulla della morte, della vita, di chi era da piccolo, che hanno fatto i suoi genitori, cosa vorrà fare da grande. Il suo io è limitato, incapace di intrattenere pensieri che lo riguardano. Possiede la sensazione ‘fenomenica’ di essere un individuo diverso dalle cose che gli stanno intorno, ma non quella ‘cognitiva’, non capisce cioè perché. Conosce benissimo solo le cose che lo riguardano direttamente.
Menti mute
Jill Bolte Taylor racconta, in una straordinaria video-conferenza (2) lo stato mentale di un cervello diviso in due, essendo stata colpita improvvisamente da una emorragia che le spense l’emisfero sinistro. Mentre pian piano perdeva la capacità di parlare, leggere e scrivere, comprese ciò che stava avvenendo e cercò di salvarsi. Con uno sforzo riuscì a fare il numero telefonico comparando i segni scritti con i numeri. “Prendo il telefono e lo metto qui. Prendo il biglietto e lo metto qui e abbino la forma degli scarabocchi sul biglietto alla forma degli scarabocchi sul telefono”… “Mi reggo per chiamare l’ospedale emettendo solo dei latrati per chiedere aiuto”. E’ una dottoressa, una neuroscienziata e descrive dall’interno la sua esperienza proprio mentre si svolge. Il “qui e ora” dell’emisfero destro integro comprende la situazione e cerca un sistema per superare quello che il sinistro non può più fare, e cioè quello che aveva imparato culturalmente. Il caso di frate John e Jill Bolte Taylor dimostrano quanto grandi siano le capacità intellettive umane, anche in assenza di linguaggio. Frate John poteva analizzare la situazione, valutare eventi, eseguire gesti, mimare, accedere alle conoscenze. Tuttavia questo non era sufficiente per il suo lavoro strettamente legato all’uso di simboli linguistici scritti e alla conoscenza codificata. Teniamo presente che negli episodi epilettici il frate perdeva la possibilità linguistica sia esterna che interiore. Nel racconto introspettivo della propria esperienza egli affermò che non riusciva a “trovare le parole” per cose e circostanze. In questi due casi i confini tra i mondi linguistico e non linguistico sono stati osservati con chiarezza, e mai l’indipendenza dell’uno rispetto all’altro è stata così evidente. Anche se tutte le menti umane di oggi sono menti forgiate dal linguaggio.
Luciano Peccarisi
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NOTE
1) Donald M. (1991) Origins of the modern mind, trad. it. 1996, L’Evoluzione della mente, Garzanti, Milano, p. 105
2) Jill Bolte Taylor video-conferenza
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