Riflessioni sulla Mente
di Luciano Peccarisi - indice articoli
La mente e il difficile posto dell'io
Agosto 2010
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Prime ipotesi
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Sentire il proprio io
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Lo stato del computer e la mente del cervello
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La mente computazionale
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Cosa sono dunque io?
Siamo capaci di stare al mondo perché lo percepiamo in modo coerente. I secondi, i minuti, le ore, i giorni e le notti, le stagioni scorrono, e noi con loro. Noi chi? Per navigare e non perderci tra i flutti della nostra stessa esperienza, abbiamo bisogno di una entità interna, un io, una torcia che illumina la notte. Questo l'ho fatto io, io ho fatto quello, io, io, io. Chi non è convinto di avere un io? Un punto per indicare uno specifico centro individuale con cui manovrare. Ma non c’è un posto dove collocarlo nel cervello. Forse non si trova da nessuna parte.
Prime ipotesi
Non c'è dubbio, vedere un altro individuo non respirare e diventare polvere, è un terribile rompicapo. La spiegazione più semplice dei primi esseri umani era che una specie di soffio della vita aveva abbandonato il corpo. Questo soffio-forza di vita era dappertutto, negli animali, nelle piante, nel vento, nel sole, nel totem. Poi arrivarono i filosofi. Platone inventò l'anima individuale di natura decisamente diversa rispetto al corpo. Socrate quando bevve la cicuta non fu un gran coraggioso, poiché s’aspettava di andare in un mondo migliore. Aristotele riunì invece l'anima al corpo, declassificandola a sua funzione. La casa è così perché deve riparare, l'accetta perché deve tagliare e il corpo ha quella forma, cioè l'anima, perché deve vivere. Cartesio, inaugurando la filosofia moderna, rispolvera Platone, che aveva avuto un gran successo presso le religioni (per ovvi motivi), ma anziché di anima parla di mente. Io sono una cosa che pensa, disse, e la mente con il suo agente l'io, è fatta, diversamente dal corpo, (extensa, materia) da sostanza immateriale (cogitans, pensiero). Hume contestò subito: quando penso a me, trovo solo impressioni e idee vaghe. La mente non ha nessun io, che è solo un fascio di differenti percezioni. Come in un teatro le diverse rappresentazioni fanno la loro apparizione, passano e ripassano, scivolano e si mescolano. Kant concilia: certo non abbiano un io chiaro e definito, tuttavia nel momento che riferisco tutte le percezioni a me, sono mie. L'io kantiano non è una sostanza come dice Cartesio ma neppure una semplice collezione di percezioni come dice Hume, ma è una funzione di unificazione.
Sentire il proprio io
Io sento il mio io. Mi pare di conoscerlo meglio degli altri. Ne sono sicuro. Sono qualcosa di diverso dal corpo. Eppure rimango sconcertato da certi fenomeni, disfunzioni o malattie che pongono in seria difficoltà l'idea di un me non scomponibile. Schizofrenia, deliri, cervelli split-brains, sindromi varie, personalità multiple, agnosie, ecc. E alcuni fenomeni normali della coscienza, il phi colorato, il fenomeno del coniglio cutaneo, il riferimento all'indietro nel tempo, il ritardo soggettivo della coscienza. Forse la mente ci offre un mondo che è una nostra costruzione virtuale e che l'io è solo una parte di tale mondo. Forse sono un eccellente sistema escogitato dalla natura per concepirsi come interi, e perciò interagire verso il proprio corpo e gli altri in modo razionale. Anche gli animali lo possiedono ma non ci riflettono sopra, serve solo a distinguere il loro corpo dal resto del mondo (io corporeo).
Conoscere ogni struttura cerebrale di un altro non ci permetterà mai di sapere come lui si sente interiormente, in prima persona. Ma nemmeno guardarci dentro con l'introspezione è un dato di cui fidarsi. Forse la sua vera natura rimane meglio indagabile da fuori, in terza persona. L'idea è semplice: una sola realtà, un solo tipo di fatto, ma due tipi di conoscenza, la conoscenza dal di dentro, in prima persona dicono i filosofi, e quella in terza persona, da fuori, la visione della scienza. Benché la coscienza sia un processo fisico, queste due forme di conoscenza non possono mai essere fuse l'una con l'altra. Sono due forme di comprensione diverse: il mio corpo da una parte e lo spazio da esplorare dall'altra. La conoscenza dei fenomeni della coscienza, la fenomenologica, ha una ricca tradizione filosofica originatasi in Europa, che comprende le opere di Husserl, Heidegger, Merleau-Ponty, Sartre e pensatori più recenti. Ignorando questa tradizione e le risorse che contiene, la ricerca rischia di non avvalersi d’intuizioni importanti. La neuroscienza cognitiva tuttavia è lo strumento della maggioranza dei filosofi e scienziati per investigare e capire di più l'ineffabile natura della soggettività e il livello funzionale si candida al ruolo di ponte tra la dimensione soggettiva in prima persona e la scienza che guarda da fuori.
Lo stato del computer e la mente del cervello
Se riusciamo a fare un piatto di pasta aglio, olio e peperoncino, possiamo mangiarlo; ma potrebbe essere il risultato del caso. Se invece mettiamo per iscritto il procedimento adottato, altri lo possono ripetere. Una moltiplicazione o addizione darà lo stesso risultato a tutti. Invece ogni piatto avrà un’impronta diversa, poiché i dettagli della ricetta non sono esatti.
Turing teorizzò una macchina capace di eseguire un procedimento preciso (un algoritmo). Un nastro con caselle e simboli all'interno, uno dietro l'altro (0,1,0,0,0, 1,0,1,1,0,1,1,1,0) e un cursore capace di spostarsi. La macchina è in grado di eseguire istruzioni specifiche e, in ogni casella in cui si ferma, la testina del cursore ha un solo ordine da eseguire. Se ti fermi su una casella preceduta da 000, vai tre caselle avanti; oppure su una con due,1 davanti, vai due caselle indietro. Ogni volta lo 'stato' dell'intero sistema cambia. Lo 'stato' del sistema è un concetto misterioso. Possiamo averne un'idea pensandolo come una sorta di memoria cumulativa delle mosse compiute dal sistema fino a quell'istante. Le mosse degli scacchi sono sempre quelle, ma in ogni partita lo stato (la situazione sulla scacchiera) dipende dalle mosse precedenti. Uno stato dunque è una funzione di qualche altra cosa che l’ha preceduto, è fisico e non fisico, materiale e immateriale; formato da sostanza concreta e da sostanza astratta. L'idea di Turing, che sembra banale, è stata la chiave con cui sono nati i computer. I programmi sono nozioni astratte realizzabili però fisicamente. Il materiale di un computer è differente da quello in cui è costruito il cervello, e il cervello umano è costruito diversamente da quello di una trota; ma ciò che conta è il programma: il programma per calcolare le distanze ad esempio è presente in tutti. Gli stati mentali sono come programmi per computer. Con un programma per computer si può giocare a scacchi. I programmi del cervello sono stati immateriali, costituiscono la mente o l'anima, e trovano posto nella concezione naturalistica del mondo in quanto prodotti da un substrato materiale. Se la mente o la coscienza siano o no cose materiali o immateriali, potrebbe dunque essere una domanda mal posta.
La mente computazionale
La teoria computazionale della mente ha alla sua base anziché caselle e simboli, le rappresentazioni (una sorta di particolari, contenuti mentali discreti, granulari; specie di mattonelle informative, componibili e arbitrarie, come l'alfabeto di un linguaggio mentale, come le mosse degli scacchi). Le rappresentazioni, che significano letteralmente presentare di nuovo, sono una sorta di traduzione neurale delle percezioni.
Una computazione è un processo che ne causa un altro (una procedura) guidato da una sintassi (istruzioni, programma) che il computer riceve dai costruttori, mentre animali e piante dalla genetica, prodotto dell'evoluzione naturale.
L'attività mentale può essere vista come un insieme di complesse catene causali di stati. Se gli stati mentali sono stati funzionali, sono allora l'espressione di computazioni (calcoli). Se l'hardware è il cervello e il software è la mente, vuol dire che alla base di tutto vi è un algoritmo di base (un calcolo, una computazione), un programma, come nel computer. Abbiamo da una parte la materia, costituita da macchina, nastri, caselle, cursori e fili. Dall'altra un calcolato procedimento, una computazione, e uno 'stato' parziale, cioè un ente astratto. Nel cervello da una parte sostanza cerebrale, neuroni, sinapsi, mediatori chimici, dall'altra la somma di vari stati mentali che ci fornisce l'immagine del mondo. Quest'idea ha reso plausibile la scelta di separare la neurologia che si occupa dell'hardware, cioè del cervello, dalla psicologia che si occupa del software, cioè della mente. Le rappresentazioni così descritte potrebbero non essere le uniche presenti. Già alla fine degli anni Sessanta si contrapponevano le rappresentazioni analogiche, una specie di foto o quadri, dell'oggetto che raffigurano; una sorta di rappresentazioni per immagini. Un raffinato modello mentale del cervello-mente potrebbe comprendere sia le une che le altre.
Cosa sono dunque io?
Se postuliamo la mente come uno stato funzionale, vuol dire che è un ente astratto. Pur essendo certi della solidità del nostro io, le neuroscienze ci inducono a pensare che è solo un'impressione. Qualsiasi attività mentale (vedere, udire, emozionarsi, desiderare) potrebbe essere una computazione. Le rappresentazioni di base sono innate e con esse il cervello pensa già appena al mondo. Quelle create dall'essere umano, che col parlare è diventato un animale culturale, sono acquisite e ci offrono qualcosa di più. Le rappresentazioni mentali come 'parole' di un linguaggio del pensiero possono produrre nuove rappresentazioni non naturali, idee (angeli), concetti (moralità), emozioni (arte). Il significato delle cose del mondo si trova nel sistema concettuale innato e fisicamente realizzato nell'hardware cerebrale ma i nuovi simboli manipolati possono offrire all'essere umano di costruire una nuova realtà virtuale, un altro mondo. Tra le sue prime nuove invenzioni vi è il suo stesso io e le sue stesse emozioni. L'io corporeo è uscito dalla piccola nicchia ecologica, simile a quella dello scimpanzé, in cui viveva, e la nicchia del nuovo io culturale è diventata l'intero universo. Emerso dall'oceano della mente come fenomeno ricorsivo di simboli cognitivi slegati dal loro sub-stato materiale. Non è localizzato in una specifica area del cervello, bensì coinvolge l'integrazione tra aree ad attività costante ad aree ad attività rapida e transitoria, funzionalmente distinte e ampiamente distribuite. Il cervello è tuttavia sempre pronto a ritornare al semplice io corporeo, se tutto non è perfetto. Più s’invecchia o ci si ammala, e più il corpo che fa sentire le sue ragioni e l'io umano esteso e immaginato, torna a fondersi con l'io corporeo animale; così com’era nato.
Luciano Peccarisi
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