La critica e le spiritualità

Aperto da Angelo Cannata, 24 Gennaio 2017, 13:05:07 PM

Discussione precedente - Discussione successiva

Angelo Cannata

Citazione di: maral il 26 Gennaio 2017, 12:44:17 PM
... sempre parzialmente...

... cuore che chiede di essere giudicato dalla mente...
Un orientamento per il particolare mi sembra essere caratteristico della filosofia di oggi, considerando quello che a me sembra ormai fallimento dello stile universalistico, assolutistico del filosofare greco. A partire da ciò mi sembra che la filosofia oggi propenda per orientarsi al concreto, alla politica, al sociale, proprio perché sono modi ottimi di andare al particolare.

In questo senso anche la dialettica cuore-mente potrebbe essere interpretata come dialettica universale-particolare: la mente infatti esercita la critica in nome di criteri universali, mentre il cuore contrappone ad essa intuizioni che sfuggono ai tentivi della mente di irretire ogni cosa in qualche critica razionale.

A questo punto potremmo sospettare che anche la dialettica critica-spiritualità, esprimibile anche come filosofia-spiritualità, si potrebbe considerare come dialettica universale-particolare: la spiritualità, cioè, non sarebbe che uno sbocco inevitabile di una filosofia che vede crollare le sue pretese generaliste. Potremmo considerare la spiritualità un soffermarsi col cuore su particolari filosofie che la filosofia universalista classica deve ammettere di non saper più gestire. Ciò non significa che la critica filosofica, razionale, abbia fatto il suo tempo; basta solo aggiungere che la critica in sé non è solo filosofica, razionale, ma anche artistica e spirituale.

Angelo Cannata

Citazione di: bluemax il 26 Gennaio 2017, 12:47:00 PM
Ecco quindi che, secondo me, si deve fare enorme distinzione tra SPIRITUALITA', RELIGIONE, ISTITUZIONE. Spesso le cose non vanno d'accordo
Per poter distinguere queste tre cose, in modo da evitare tra esse conflitti o confusioni, bisogna definirle. Nonostante la mancanza di chiarezza che oggi esiste sul termine spiritualità, credo che qualche precisazione condivisibile si possa tentare.

Per prima cosa taglierei fuori l'istituzione: mi sembra fuor di dubbio che essa è solo uno strumento al servizio delle attività per cui essa si presta: l'istituzione non è mai il fine, l'obiettivo, ma solo un mezzo.

Per questo riguarda spiritualità e religione, mi sembra condiviso da chiunque ormai che ogni religione ha la sua spiritualità, ma non ogni spiritualità ha la sua religione: anche gli atei possono rivendicare una loro spiritualità e anche arti come la musica, la pittura, la letteratura contengono senza dubbio una loro spiritualità o possono perfino essere considerate in se stesse forme di spiritualità. Penso che non ci siano difficolà a pensare che anche lo sport ha una sua spiritualità, a volte espressamente dichiarata, se pensiamo ad esempio alle arti marziali.

Da tutto ciò mi sembra scaturire che la spiritualità è qualcosa di più vasto della religione. Ogni religione ha la sua spiritualità, ma ogni religione può anche essere considerata, o almeno credo che lo si possa fare senza troppi problemi, una forma di spiritualità.

Una volta fatto questo tentativo di chiarimento, possiamo considerare i disaccordi, gli eventuali conflitti a cui hai fatto cenno.

Diverse religioni, come anche diverse spiritualità, possono entrare in conflitto tra loro. I conflitti ovviamente non piacciono a nessuno, ma non è detto che la cosa migliore da fare sia eliminarli, rischiando di voler appiattire o uniformare tutto in un "vogliamoci bene": li si può anche trasformare in occasioni di crescita. Questo può valere anche per il rapporto tra critica e spiritualità: piuttosto che proporsi il prevalere di una delle due come soluzione pacificante, soluzione che alla fine può risultare infantile, può essere molto più fruttuoso favorire la diversità e un continuo confronto dialettico tra diversi, proprio affinché ci sia crescita.

davintro

Citazione di: donquixote il 24 Gennaio 2017, 14:55:19 PMLa critica, lungi dall'essere umile (nel senso di humus, terreno fertile da cui possa sbocciare una qualche certezza), è invece la più becera forma di arroganza: è l'arroganza tipica degli ignoranti, che invidiosi della sapienza altrui non sanno fare altro che metterla in discussione nei modi più risibili e vergognosi; è una forma di parassitismo fra le più diffuse nel mondo moderno, tipica della vigliaccheria intellettuale di coloro che non sanno e sono infastiditi da coloro che invece, magari a volte non sapendo, hanno comunque il coraggio di esporsi e di rischiare con l'onesto intento di sapere di più o di meglio. Esistono critici di ogni materia: dall'arte alla religione, dalla gastronomia allo sport, dalla politica al diritto, e tutti sono accomunati dall'arroganza di chi, dal basso della propria insipienza, giudica senza correre il rischio di poter essere a sua volta giudicato. Vi sono critici d'arte che assegnano a chiunque patenti di artista senza aver a loro volta mai prodotto un'opera d'arte; vi sono critici gastronomici che assegano o tolgono "stellette" ma non sono in grado di cuocere un uovo senza bruciarlo; vi sono critici di calcio che redigono "pagelle" senza aver mai tirato un calcio ad un pallone; vi sono centinaia di critici della politica che a sentirli parlare i problemi sarebbero tutti risolti in un attimo, poi non si sa come mai nessuno di loro è disponibile a dimostrarlo sul campo; vi sono critici delle religioni che si costruiscono una religione come pare a loro e completamente differente da quel che è per poi poterla confutare con successo. La maggior parte dei giornalisti è passata dal ruolo di cronista a quello di critico, e costruisce la propria carriera su parole perlopiù campate in aria, senza mai avere la necessità di dimostrare di essere in grado di fare meglio di coloro che critica, o di avere un pensiero più vero di quello che mette in discussione. Tutti che si vantano di fare i critici "di mestiere" e nascono tali dal nulla, ma non sanno che il critico è colui che ha una grande sapienza ed esperienza in un mestiere e sono proprio queste che lo promuovono al ruolo di critico. Se uno non ha mai fatto politica come può criticare la politica? Se uno non ha mai studiato e capito la metafisica, la religione, la teologia ma ha fatto tutt'altro nella vita su quali basi può criticarle? E poi la critica moderna, a differenza di quella antica che era almeno più onesta, è anche intellettualmente truffaldina, perchè non offre alternative al pensiero che si permette di criticare: se si pensa che una affermazione è falsa è perchè, ovviamente, si dovrebbe conoscere quella vera, ma invece la critica moderna anzichè sostituire affermazione vere a quelle false si limita a contestare qualunque affermazione, sic et simpliciter, limitandosi a formulare fantasiose ipotesi alternative o domande del tipo "ma non potrebbe essere invece...?". Anche l'ultimo degli ignoranti è in grado di contestare qualunque affermazione basandosi sulla propria immaginazione e dunque è l'ignoranza, sotto le spoglie "colte" della critica, a dominare l'intellettualità moderna. E poi, quando anche l'immaginazione fa difetto e non hanno più argomenti, i critici ignoranti (o gli ignoranti critici, che è lo stesso) spostano la loro critica dal merito alla persona, contestando il solo fatto che qualcuno si possa dichiarare sicuro di ciò che afferma, tacciandolo per ciò stesso di superbia e arroganza, quindi di fatto dimostrando viceversa la loro superbia e la loro arroganza. Questi soldati del dubbio che fanno professione di umiltà sempre dichiarata e mai esibita dovrebbero innanzitutto porsi il dubbio se sia sensato criticare un pensiero, un'opera, un comportamento, un'idea senza avere un'alternativa migliore da proporre (come facevano del resto i critici "seri" e onesti, anche se molti di questi hanno proposto alternative false e peggiori), e magari andarsi prima a studiare il concetto stesso di critica che presuppone una profonda conoscenza della materia che ci si propone di criticare.

Condivido pienamente questo pensiero. Aggiungo che a mio avviso il dubbio per il vero filosofo deve essere un percorso, uno strumento di ricerca, non la meta finale, qualcosa che ha in sé il proprio fine. Razionalità vuol dire non accettare di dare per scontato nessuna affermazione fintanto che sono ipotizzabili obiezioni, alternative credibili, mentre nel momento in cui la critica giunge all'obiettivo di isolare delle verità evidenti le cui obiezioni appaiono assurde o autocontraddittorie, ostinarsi a dubitare diviene un dogmatico impuntarsi che non accetta pregiudizialmente di riconoscere l'evidenza, e la critica si manifesta non più come costruttiva, tesa a far emergere qualcosa di positivo, ma distruttiva. Ciò che fa sorgere nell'uomo lo stimolo alla ricerca è l'affrancamento da una condizione di negatività, di smarrimento, di assenza di punti di riferimento intellettuali e morali, che emerge a un certo momento all'interno del corso della nostra esperienza del mondo ordinaria ingenua e affidiamo alla scienza ed alla filosofia il tentativo di trovare nuove risposte, nuovi valori, nuovi criteri da porre come stabili riferimenti della nostra vita al posto delle arbitrarie credenze da falsificare. Una volta che la ricerca e il dubbio divengono autoreferenziali e viene rimosso l'orizzonte teleologico del raggiungimento delle verità, delle risposte, delle certezze, la ricerca finisce col ridursi ad un gioco intellettualistico del dubbio che si crogiola nel perpetuare sé stesso all'infinito, e viene rimossa la drammaticità della condizione esistenziale concreta da dove sorge l'esigenza della ricerca e del dubbio: trovare delle risposte più solide di quelle del senso comune pre-filosofico e pre-scientifico

Direi che la critica è una componente della spiritualità ma che non ne esaurisce la complessità della struttura. Spirito è ciò che nell'uomo lo porta ad ergersi al di là del caos, della contingenza del divenire, che lo porta cercare un ordine all'interno del quale tale divenire acquisisca un senso per la nostra vita, ricondurre la molteplicità delle cose all'unità di un sistema ordinato di concetti, criteri, principi, valori, verità. Il compito della critica razionale è quello di demistificare l'arbitraria pretesa di verità degli ordini, dei sistemi ideologici, religiosi che nell' immediatezza ingenua del senso comune presumono che la loro visione sia la più adeguata a rappresentare il reale, demistificare per lasciare il posto non al vuoto, ma a sistemi, modelli interpretativi più validi. Ma perché la volontà metta in moto la critica in questo senso necessita di essere guidata da una fede, un fede nella possibilità dell'esistenza della verità, di una realtà che incarni un'idea di bene, soprattutto una fede nelle possibilità umane di raggiungere la loro conoscenza, o quantomeno avvinarcisi ponendo tali principi come ideali regolativi della ricerca. Questa fede non è irrazionalità, piuttosto a-razionale presupposto della messa in moto della razionalità stessa per il tramite della volontà, razionalità che privata di tale elemento di fede vedrebbe il suo criticare, dubitare immotivato, senza scopo, insensato, un autoreferenziale girare su se stessa slegato dalle esigenze vitali della persona, privato da un oggetto a cui applicare la sua criticità. Spiritualità è proprio questa dinamica integrale della persona in cui fede nella verità, bene, (aggiungerei nella bellezza) e ragione si richiamano vicendevolmente attraverso il medium della volontà.

Duc in altum!

**  scritto da Maral:
CitazioneForse si potrebbe dire che non ci è concesso conoscere nella sua totalità, ma non perché questa conoscenza è negata a priori, ma proprio perché solo nella immanenza di parzialità che si danno in atto la si conosce.

Mi entusiasma questa tua riflessione e maniera di filosofare, però, dunque, mi chiedo: sarà quindi fortuito, accidentale, visto che non ci è negata "a priori", che la Verità non si da tutta intera, presentandosi invece parzialmente?


CitazioneOssia non conosciamo la Verità in essenza, ma conosciamo, perché lo percorriamo vivendolo, il percorso in cui tale Verità si manifesta sempre parzialmente e dunque in modo dubitabile, ossia in forma di domanda continua in cui i nostri tentativi di risposta tracciano quel percorso in cui sentiamo esserci comunque la Verità che nessuna risposta può definire. Una Verità la cui essenza totale è proprio il dipanarsi della nostra stessa esistenza proprio per come essa in ogni momento accade.

Bello, molto bella questa riflessione, soprattutto per quel che riguarda  "...i nostri tentativi di risposta.. alla Verità ..che nessuna risposta può definire...". Però secondo me, siccome i tentativi di risposta sono differenti, da persona a persona, o la Verità include tutto, quindi la differenza è solo un'illusione (nel senso ci ritroveremo tutti al Roxi bar), o essa non accade in ogni momento della nostra esistenza (nel senso che non permettiamo, noi, il suo dipanarsi totale).
"Solo quando hai perduto Dio, hai perduto te stesso;
allora sei ormai soltanto un prodotto casuale dell'evoluzione".
(Benedetto XVI)

Apeiron

Citazione di: Angelo Cannata il 26 Gennaio 2017, 15:28:28 PM
Citazione di: Apeiron il 26 Gennaio 2017, 11:29:32 AMI miei "two cents": tutto dipende dalle definizione che si danno alle parole. Allora se per spiritualità si intendo lo studio della nostra mente allora sinceramente non vedo conflitto tra ricerca e spiritualità. Ben diverso è se questo studio è in realtà rivolto ad esempio alla "salvezza", alla "liberazione" o all'etica. In tal caso la spiritualità per forza ha dei paletti che sono appunto i suoi obiettivi. La critica di cui parli è antitetica a mio giudizio ad ogni spiritualità di questo secondo tipo perchè la critica essenzialmente ha come metodologia il dubitare di tutto e se portata allo stremo diventa una ricerca completamente cieca perchè mette in discussioni oltre che il trovato anche il ricercato. Motivo per cui a mio giudizio prima bisogna scegliere che obbiettivo dare alla propria spiritualità e poi applicare una metodologia rigorosa e scettica al processo di ricerca. Ad esempio metti che vuoi "cercare la perfetta felicità". Compreso il concetto, se lo vuoi cercare fino in fondodevi prima di tutto togliere tutto ciò che non è la perfetta felicità. Quindi prima di trovare il ricercato devi averlo realizzato veramente e per fare ciò devi soprattutto capire cosa non è il tuo obiettivo. Tutte le "vie negative" mi piacciono proprio per questo motivo: hanno un obiettivo e lo ricercano in modo rigoroso, ossia "purificando" la propria comprensione dell'obiettivo stesso. Tuttavia a differenza della pura ricerca senza paletti, questa ricerca è direzionata. Detto ciò piuttosto di una ricerca senza paletti si dovrebbe scegliere il Silenzio.
Effettivamente, in ogni discussione riguardante la spiritualità è comprensibile che prima o poi venga fuori sempre il problema della sua definizione. È per questo che nel post di partenza ho cercato di usare soprattutto il plurale: le spiritualità, più che la spiritualità: mi sembra che sia più facile individuare singole spiritualità che trovare un significato chiaro e definito per la spiritualità in sé stessa. Se parliamo di spiritualità al plurale mi sembra possibile individuarle tenendo conto degli obiettivi che si propongono; al contrario, credo che individuare obiettivi per la spiritualità al singolare servirebbe solo ad avviare dibattiti infiniti, poiché la spiritualità in sé non può essere ingabbiata in un obiettivo predefinito; come minimo sarebbe un obiettivo non unanimemente condiviso. Una ricerca senza paletti rischierebbe di intorbidare l'essere stesso della spiritualità, se ancora ce ne fosse bisogno oltre il torbido che già c'è, così come avviene nelle arti: per esempio, leggendo certe poesie può nascere il dubbio se quella possa ancora chiamarsi poesia. Fermo restando che sono le pratiche, nel loro divenire storico, a definire, nel suo divenire, cos'è la spiritualità. Per una definizione di spiritualità che sia più utile e fruttuosa di quelle che circolano oggi, mi sembra ovvio che si dovrebbe mettere in conto anzitutto un sforzo di rispetto per come questa parola è intesa oggi, aggiungendo un lavoro di orientamento a rendere questa parola capace di sostenere il confronto con le pratiche culturali di oggi più serie e aperte.

Le spiritualità in generale sono definite da tre cose. Primo: l'obbiettivo (la "promessa"). Ad esempio la spiritualità di un filosofo greco è la conoscienza intellettuale, ossia il raggiungimento della verità tramite la ragione. Per un buddista è la salvezza intesa come liberazione dal samsara (l'inferno della trasmigrazione). Per un cristiano la salvezza intesa come comunione con Dio. Secondo: la "dottrina". Ossia il contenuto della spiritualità, ossia le cose che sono prese come "vere". Terzo: il metodo per raggiungere l'obbiettivo. Ogni spiritualità è definita da questo triplice vincolo che uno deve accettare se vuole seguirla (questa è la fede intesa appunto come "fiducia"). Se non lo fa "inaugurerà" una sua spiritualità, con obbiettivo, dottrina e il suo metodo. In ogni caso ammesso che la spiritualità abbia senso servono tutte e tre le cose (ad esempio una dottrina inutile al metodo cosa serve?). Dunque ogni spiritualità avrà un approcco

Il problema della critica è che può essere fine a sé stessa e lasciare nell'oscurità il critico stesso, costretto a mettere sempre in discussione le sue dottrine, i suoi obbiettivi e il suo metodo. Con la sola critica non si va aventi. Presa allo stremo la critica è chiaramente incompatibile con la spiritualità e così lo è la scienza (vorrei ben vedere se il Dalai Lama davvero smetterebbe di credere alla dottrina delle rinascite e della ciclicità del cosmo, cosa a mio giudizio essenziale affinchè la liberazione abbia senso, se la scienza provasse la dottrina falsa).

La critica in realtà può essere utile a cercare di migliorare la propria comprensione dei tre paletti della spiritualità di cui parlavo prima. Ad esempio capire che la cosmologia biblica non è importante per la fiducia in Gesù, oppure che la credenza per cui gli uomini vivevano migliaia di anni qualche eone fa (discorso presente nel  Canone Pali) non è essenziale. Può servire a capire meglio, però all'interno dei paletti posti. Tuttavia non appena la spiritualità si assoccia ad altro avviene che la critica è malvista in toto.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Angelo Cannata

Citazione di: Apeiron il 27 Gennaio 2017, 13:06:00 PM
Le spiritualità in generale sono definite da tre cose. Primo: l'obbiettivo (la "promessa"). Ad esempio la spiritualità di un filosofo greco è la conoscienza intellettuale, ossia il raggiungimento della verità tramite la ragione. Per un buddista è la salvezza intesa come liberazione dal samsara (l'inferno della trasmigrazione). Per un cristiano la salvezza intesa come comunione con Dio. Secondo: la "dottrina". Ossia il contenuto della spiritualità, ossia le cose che sono prese come "vere". Terzo: il metodo per raggiungere l'obbiettivo. Ogni spiritualità è definita da questo triplice vincolo che uno deve accettare se vuole seguirla (questa è la fede intesa appunto come "fiducia"). Se non lo fa "inaugurerà" una sua spiritualità, con obbiettivo, dottrina e il suo metodo. In ogni caso ammesso che la spiritualità abbia senso servono tutte e tre le cose (ad esempio una dottrina inutile al metodo cosa serve?). Dunque ogni spiritualità avrà un approcco

Il problema della critica è che può essere fine a sé stessa e lasciare nell'oscurità il critico stesso, costretto a mettere sempre in discussione le sue dottrine, i suoi obbiettivi e il suo metodo. Con la sola critica non si va aventi. Presa allo stremo la critica è chiaramente incompatibile con la spiritualità e così lo è la scienza (vorrei ben vedere se il Dalai Lama davvero smetterebbe di credere alla dottrina delle rinascite e della ciclicità del cosmo, cosa a mio giudizio essenziale affinchè la liberazione abbia senso, se la scienza provasse la dottrina falsa).

La critica in realtà può essere utile a cercare di migliorare la propria comprensione dei tre paletti della spiritualità di cui parlavo prima. Ad esempio capire che la cosmologia biblica non è importante per la fiducia in Gesù, oppure che la credenza per cui gli uomini vivevano migliaia di anni qualche eone fa (discorso presente nel  Canone Pali) non è essenziale. Può servire a capire meglio, però all'interno dei paletti posti. Tuttavia non appena la spiritualità si assoccia ad altro avviene che la critica è malvista in toto.
Perché ingabbiare la spiritualità in questi paletti? Vuoi vietare una spiritualità che non intenda porsi alcun obiettivo? Vogliamo mettere in carcere quanti vogliano praticare una spiritualità priva di dottrine? Vogliamo mandare al manicomio quanti si proponessero di creare una spiritualità che non voglia adottare alcun metodo definito?

InVerno

Citazione di: Angelo Cannata il 28 Gennaio 2017, 10:03:56 AM
Citazione di: Apeiron il 27 Gennaio 2017, 13:06:00 PM
Le spiritualità in generale sono definite da tre cose. Primo: l'obbiettivo (la "promessa"). Ad esempio la spiritualità di un filosofo greco è la conoscienza intellettuale, ossia il raggiungimento della verità tramite la ragione. Per un buddista è la salvezza intesa come liberazione dal samsara (l'inferno della trasmigrazione). Per un cristiano la salvezza intesa come comunione con Dio. Secondo: la "dottrina". Ossia il contenuto della spiritualità, ossia le cose che sono prese come "vere". Terzo: il metodo per raggiungere l'obbiettivo. Ogni spiritualità è definita da questo triplice vincolo che uno deve accettare se vuole seguirla (questa è la fede intesa appunto come "fiducia"). Se non lo fa "inaugurerà" una sua spiritualità, con obbiettivo, dottrina e il suo metodo. In ogni caso ammesso che la spiritualità abbia senso servono tutte e tre le cose (ad esempio una dottrina inutile al metodo cosa serve?). Dunque ogni spiritualità avrà un approcco

Il problema della critica è che può essere fine a sé stessa e lasciare nell'oscurità il critico stesso, costretto a mettere sempre in discussione le sue dottrine, i suoi obbiettivi e il suo metodo. Con la sola critica non si va aventi. Presa allo stremo la critica è chiaramente incompatibile con la spiritualità e così lo è la scienza (vorrei ben vedere se il Dalai Lama davvero smetterebbe di credere alla dottrina delle rinascite e della ciclicità del cosmo, cosa a mio giudizio essenziale affinchè la liberazione abbia senso, se la scienza provasse la dottrina falsa).

La critica in realtà può essere utile a cercare di migliorare la propria comprensione dei tre paletti della spiritualità di cui parlavo prima. Ad esempio capire che la cosmologia biblica non è importante per la fiducia in Gesù, oppure che la credenza per cui gli uomini vivevano migliaia di anni qualche eone fa (discorso presente nel  Canone Pali) non è essenziale. Può servire a capire meglio, però all'interno dei paletti posti. Tuttavia non appena la spiritualità si assoccia ad altro avviene che la critica è malvista in toto.
Perché ingabbiare la spiritualità in questi paletti? Vuoi vietare una spiritualità che non intenda porsi alcun obiettivo? Vogliamo mettere in carcere quanti vogliano praticare una spiritualità priva di dottrine? Vogliamo mandare al manicomio quanti si proponessero di creare una spiritualità che non voglia adottare alcun metodo definito?
Un conto sono i professionisti della critica, un conto è la critica stessa. La spiritualità in un certo senso è acritica, perchè il raggiungimento degli obbiettivi che si pone coincide con l'assenza di critica (o autocritica). Per questo vengono tutelate tutte le forme di spiritualità, anche le più assurde, perchè all'interno di esse troverai sempre qualcuno che ti giurerà di aver "trovato qualcosa"..o meglio, non saper criticare ulteriormente ciò che ha trovato (al contrario, non avrebbe ancora trovato niente). Di riflesso, esisterà qualcuno "non più criticabile" (il maestro). Non è questione di mettere alla sbarra tutte le spiritualità che non hanno un obbiettivo, è questione che queste spiritualità...semplicemente non esistono, o non vengono riconosciute, o sono in una forma cosi embrionale da non poter vantare ancora qualcuno che "ha trovato qualcosa" ed è per questo "al di la della critica".
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

maral

Citazione di: Angelo Cannata il 26 Gennaio 2017, 15:50:49 PM
Un orientamento per il particolare mi sembra essere caratteristico della filosofia di oggi, considerando quello che a me sembra ormai fallimento dello stile universalistico, assolutistico del filosofare greco. A partire da ciò mi sembra che la filosofia oggi propenda per orientarsi al concreto, alla politica, al sociale, proprio perché sono modi ottimi di andare al particolare.

In questo senso anche la dialettica cuore-mente potrebbe essere interpretata come dialettica universale-particolare: la mente infatti esercita la critica in nome di criteri universali, mentre il cuore contrappone ad essa intuizioni che sfuggono ai tentivi della mente di irretire ogni cosa in qualche critica razionale.

A questo punto potremmo sospettare che anche la dialettica critica-spiritualità, esprimibile anche come filosofia-spiritualità, si potrebbe considerare come dialettica universale-particolare: la spiritualità, cioè, non sarebbe che uno sbocco inevitabile di una filosofia che vede crollare le sue pretese generaliste. Potremmo considerare la spiritualità un soffermarsi col cuore su particolari filosofie che la filosofia universalista classica deve ammettere di non saper più gestire. Ciò non significa che la critica filosofica, razionale, abbia fatto il suo tempo; basta solo aggiungere che la critica in sé non è solo filosofica, razionale, ma anche artistica e spirituale.
La filosofia nasce dall'esigenza umana di stabilire un verità per tutti su cui tutti nella polis possano concordare nel logos. ossia nel ragionamento e nel discorso logico. In questo intento la filosofia fallisce e certo non perché non si era impegnata a sufficienza, ma perché ogni modello filosofico inevitabilmente, prima o poi mostra il suo limite e la sua parzialità. A fronte di questo fallimento radicale la filosofia da una parte diventa pura forma di indagine analitica sul discorso, dall'altra si rassegna e lascia alla tecnica che si rende ignara del suo passato, il compito di esplorare l'assoluto, una tecnica intesa sia come volontà di potenza che come pura prassi, priva di qualsiasi fine.
Resta non facile stabilire una dialettica tra ragione e cuore, perché a ogni passo si barcolla, come a camminare sul filo, in bilico sul nichilismo di uno sprofondo senza fine, da cui si è sempre in qualche modo attratti, come l'unico assoluto ancora possibile.

Angelo Cannata

Citazione di: maral il 28 Gennaio 2017, 14:05:42 PM
La filosofia nasce dall'esigenza umana di stabilire un verità per tutti...
Resta non facile stabilire una dialettica tra ragione e cuore...
Mi pare che un sacco di filosofie siano andate e vadano in direzione opposta, nel tentativo di criticare il concetto stesso di verità. La spiritualità potrebbe anche essere considerata proprio una via che, a differenza della filosofia, tenta di far esistere un dialogo fruttuoso, costruttivo, proprio tra ragione e cuore. La critica è distruttiva, ma non è detto che, se ben gestita, non possa essere utilizzata al servizio di costruzioni più solide e anche belle.

maral

Citazione di: Duc in altum! il 26 Gennaio 2017, 19:31:26 PM
Mi entusiasma questa tua riflessione e maniera di filosofare, però, dunque, mi chiedo: sarà quindi fortuito, accidentale, visto che non ci è negata "a priori", che la Verità non si da tutta intera, presentandosi invece parzialmente?
Mp. non penso che sia fortuito, ma piuttosto è il solo modo in cui la verità può mostrarsi; nella parzialità che muove il cammino dell'esistenza e non nell'assoluto dell'essenza. Riconoscere questa parzialità come parzialità e non come tutto è il solo modo per aderire al tutto della Verità.


CitazioneBello, molto bella questa riflessione, soprattutto per quel che riguarda "...i nostri tentativi di risposta.. alla Verità ..che nessuna risposta può definire...". Però secondo me, siccome i tentativi di risposta sono differenti, da persona a persona, o la Verità include tutto, quindi la differenza è solo un'illusione (nel senso ci ritroveremo tutti al Roxi bar), o essa non accade in ogni momento della nostra esistenza (nel senso che non permettiamo, noi, il suo dipanarsi totale).
Non possiamo non permetterlo noi, perché ne siamo parte e la parte non può opporsi al tutto, è sempre in ogni caso nel tutto dato che ne è parte insieme a ogni altra parte.  La differenza da persona a persona è ancora parte della Verità che proprio in questa differenza via via si rivela, una Verità che nulla esclude di ciò che in essa è parte, proprio perché non è verità di parte e solo la verità di parte, quando si pretende verità di tutto, solo escludendo ciò che per essa è altro, può illudersi di esserlo.

maral

Citazione di: Angelo Cannata il 28 Gennaio 2017, 18:58:51 PM
Mi pare che un sacco di filosofie siano andate e vadano in direzione opposta, nel tentativo di criticare il concetto stesso di verità.
La critica sulla verità è sempre stata presente nella storia della filosofia, ma non per distruggere il concetto di verità, ma almeno fino alla metà del XIX secolo (ed Hegel rappresenta il culmine di questo percorso) nel tentativo di dare un fondamento sicuro alla verità, che ovviamente non poteva essere quella del mito. La critica distrugge, ma fino a quel momento si distruggeva con l'intento di fondare l'indistruttibile, mentre è proprio questo intento che si scopre (e non è una scoperta da poco, ma è sconvolgente) che quell'intento stesso è di fatto distruttibile, che è già andato distrutto. Questo significa la morte di Dio in Nietzsche (che lo annuncia con queste parole estremamente significative che meritano di essere rilette e meditate: http://www.filosofico.net/Antologia_file/AntologiaN/NIETZSCHE_%20DIO%20E%20MORTO.htm. Non è certo della morte del Dio della religione ciò di cui qui si parla, è la morte radicale e definitiva di ogni possibilità di pensare la metafisica. Husserl e poi Heidegger tenteranno nel secolo successivo di ridare vita alla metafisica rileggendola in forma fenomenologica trascendentale, ontologica esistenziale, infine proprio a partire dal linguaggio poetico, ma entrambi falliranno: il primo morendo prime di aver portato a termine il lavoro che doveva essere fondamentale "La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale", il secondo abbandonando definitivamente ogni progetto filosofico in merito, rendendosi conto della totale impossibilità della stessa ontologia.   
CitazioneLa spiritualità potrebbe anche essere considerata proprio una via che, a differenza della filosofia, tenta di far esistere un dialogo fruttuoso, costruttivo, proprio tra ragione e cuore. La critica è distruttiva, ma non è detto che, se ben gestita, non possa essere utilizzata al servizio di costruzioni più solide e anche belle.
Mi riesce difficile però qui capire cosa intendi per spiritualità. In che cosa consiste per te la spiritualità.

Angelo Cannata

Citazione di: maral il 28 Gennaio 2017, 23:17:54 PM
CitazioneLa spiritualità potrebbe anche essere considerata proprio una via che, a differenza della filosofia, tenta di far esistere un dialogo fruttuoso, costruttivo, proprio tra ragione e cuore. La critica è distruttiva, ma non è detto che, se ben gestita, non possa essere utilizzata al servizio di costruzioni più solide e anche belle.
Mi riesce difficile però qui capire cosa intendi per spiritualità. In che cosa consiste per te la spiritualità.

All'interno di questo discorso, la spiritualità mi viene a risultare come sbocco della filosofia. La filosofia, nel momento in cui prende atto del fallimento della razionalità, delle generalizzazioni universalistiche, della metafisica, può sospettare che esistano altre vie praticabili, per il tentativo di nuove sintesi, che non trascurino il cammino fatto nel passato, ma nel contempo provino ad aprirsi a stili di pensiero differenti.
 
Ora, uno stile, una via di pensiero differente mi sembra quella per certi versi percorsa dalle arti: una via che, piuttosto che voler essere comprensione della realtà, irretimento di essa entro connessioni logiche, cerca di seguire il narrare, e quindi il particolare invece che i criteri universali, l'emozione, piuttosto che il ragionamento, lo sperimentare piuttosto che il capire, il cuore, piuttosto che la mente. Tutti questi "piuttosto" che ho detto sarebbero da intendere non come negazione della loro controparte, ma, come ho detto, tentativi di costruire nuove sintesi che facciano tesoro del concettualizzare astratto e del narrare particolaristico, del cuore e della mente.
 
Da questo punto di vista le arti sono già spiritualità, ma il loro scopo primario non è essere spiritualità tale e quale. Se io leggo un romanzo o una poesia, vivo una spiritualità, ma leggere una poesia con lo scopo esplicito di vivere una spiritualità significa fare di quella poesia non più una semplice esperienza letteraria, ma qualcosa di più essenziale, centrale per il senso della mia vita.
 
Ma chi più della filosofia ha mai cercato il senso della vita? La filosofia però l'ha cercato con metodi specialmente fatti di ragione, critica, logica, sistematicità. Ora, se la filosofia prendesse dalle arti un po' di spirito volto all'emozione e dalle religioni un intento di pratica centrale per il senso della vita, mi sembra che il risultato sarebbe nient'altro che coltivazione di una spiritualità o della spiritualità tale e quale.
 
Questo è ciò che intendo come prospettiva di dialogo fruttuoso che mi piace intravedere tra mente e cuore, altrimenti esprimibile, a mio parere, come nient'altro che spiritualità.

Apeiron

Citazione di: Angelo Cannata il 28 Gennaio 2017, 10:03:56 AM
Citazione di: Apeiron il 27 Gennaio 2017, 13:06:00 PMLe spiritualità in generale sono definite da tre cose. Primo: l'obbiettivo (la "promessa"). Ad esempio la spiritualità di un filosofo greco è la conoscienza intellettuale, ossia il raggiungimento della verità tramite la ragione. Per un buddista è la salvezza intesa come liberazione dal samsara (l'inferno della trasmigrazione). Per un cristiano la salvezza intesa come comunione con Dio. Secondo: la "dottrina". Ossia il contenuto della spiritualità, ossia le cose che sono prese come "vere". Terzo: il metodo per raggiungere l'obbiettivo. Ogni spiritualità è definita da questo triplice vincolo che uno deve accettare se vuole seguirla (questa è la fede intesa appunto come "fiducia"). Se non lo fa "inaugurerà" una sua spiritualità, con obbiettivo, dottrina e il suo metodo. In ogni caso ammesso che la spiritualità abbia senso servono tutte e tre le cose (ad esempio una dottrina inutile al metodo cosa serve?). Dunque ogni spiritualità avrà un approcco Il problema della critica è che può essere fine a sé stessa e lasciare nell'oscurità il critico stesso, costretto a mettere sempre in discussione le sue dottrine, i suoi obbiettivi e il suo metodo. Con la sola critica non si va aventi. Presa allo stremo la critica è chiaramente incompatibile con la spiritualità e così lo è la scienza (vorrei ben vedere se il Dalai Lama davvero smetterebbe di credere alla dottrina delle rinascite e della ciclicità del cosmo, cosa a mio giudizio essenziale affinchè la liberazione abbia senso, se la scienza provasse la dottrina falsa). La critica in realtà può essere utile a cercare di migliorare la propria comprensione dei tre paletti della spiritualità di cui parlavo prima. Ad esempio capire che la cosmologia biblica non è importante per la fiducia in Gesù, oppure che la credenza per cui gli uomini vivevano migliaia di anni qualche eone fa (discorso presente nel Canone Pali) non è essenziale. Può servire a capire meglio, però all'interno dei paletti posti. Tuttavia non appena la spiritualità si assoccia ad altro avviene che la critica è malvista in toto.
Perché ingabbiare la spiritualità in questi paletti? Vuoi vietare una spiritualità che non intenda porsi alcun obiettivo? Vogliamo mettere in carcere quanti vogliano praticare una spiritualità priva di dottrine? Vogliamo mandare al manicomio quanti si proponessero di creare una spiritualità che non voglia adottare alcun metodo definito?

Angelo, non ho mica detto questo :) Ho detto che una critica senza obbiettivi è una critica cieca. Al peggio se è completamente senza obbiettivi diventa uno "sport". Secondo me la critica di cui tu parli, da quello che ho potuto leggere dai tuoi interventi su questo forum, è nient'affatto una critica senza una direzione predefinita. La tua critica ti vuole portare alla verità. E sincertamente la tua passione per la verità la si vede anche dal tuo cammino. Una persona non lascia una religione se non è mossa da una ricerca della verità.

Però bisogna anche essere coscienti che l'eccesso del dubbio è esso stesso pericoloso, motivo per cui può succedere che al manicomio uno ci vada per conto suo senza essere mandato là da nessuno perchè il dubbio è comunque sempre una sofferenza. Di certo l'ipocrisia di chi dice "io conosco la verità" senza mai aver avuto un fisiologico vacillamento nelle sue convinzioni (cosa che può avvenire solo con un minimo di critica...) è dovuta essenzialmente alla paura. L'ideale è a mio giudizio una sorta di via di mezzo.

E poi la mia era una critica alle istituzioni spirituali che non ammettono (o non ammettevano) nemmeno la critica interna.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Angelo Cannata

Citazione di: Apeiron il 29 Gennaio 2017, 11:09:07 AM
La tua critica ti vuole portare alla verità.
In effetti ogni tanto mi è capitato di pensare che prendere atto del relativismo possa essere considerato nient'altro che ricerca di una verità, che sia aderente a come stanno le cose più di quanto lo è la metafisica. La metafisica trascura il coinvolgimento del soggetto nel processo della conoscenza, mentre invece il relativismo ne tiene conto.

Una volta che però il relativismo approda ad una presa d'atto dell'impossibilità di ogni verità, il relativista si trova a doversi chiedere che senso possa avere il suo sforzo di tener conto della soggettività, visto che esso non può essere motivato dalla ricerca di una verità più completa di quella metafisica.

A questo punto, per me, lo sforzo di tener conto della soggettività, non potendo essere considerato uno sforzo di verità, si può definire come sforzo di realizzare al meglio il nostro essere umani. Non sappiamo esattamente cos'abbia di esclusivo il nostro essere umani; oggi mi sembra che si possa tener conto di una nostra sensazione di poter partecipare attivamente all'evolversi del nostro essere. Si potrebbe chiamare anche sensazione di libertà. L'esistenza della libertà non è dimostrabile, ma mi sembra che la sensazione che ne abbiamo, vera o falsa che sia, valga la pena di essere sfruttata.

Dunque, rispetto alla metafisica, preferisco tener conto della soggettività non per raggiungere una verità più completa, ma perché ciò mi dà la sensazione di realizzare in maniera più completa e arricchente il mio essere umano.

Questa motivazione vale anche per altri atteggiamenti che preferisco ad altri, tra cui la critica e il dubbio ad oltranza: scelgo critica e dubbio perché ogni affermazione di verità mi appare limitante, in quanto, occultamente, nega il suo opposto. Se decido, per esempio di accettare come verità indiscutibile che il sangue umano è rosso, sto automaticamente scoraggiando o perfino vietando alla mia mente di ipotizzare qualcosa di diverso, provare ad effettuare ricerche in proposito, esplorare modi diversi di pensare. Questo scoraggiamento per certi versi è utile, poiché permette di evitare di sprecare tempo in ricerche inutili o già compiute da altri, ma è anche micidiale perché è disonesto quanto alla motivazione. Infatti la metafisica non dice che non serve sprecare tempo in ricerche inutili o già fatte, ma che è meglio non farle, anzi, non si devono proprio fare, perché la verità è quella e tutto ciò che le si oppone è falsità da mettere al bando. Questa è quella che trovo una grave disonestà della metafisica: secondo essa bisogna seguire la verità prestabilita non per economia di risorse, ma perché quella è la verità. Ciò per me è falso, allo stesso modo in cui è falso dire che il sangue è rosso: la verità non è che il sangue è rosso, ma che i risultati di tutte le ricerche compiute finora consigliano di trattare il sangue come oggetto rosso. C'è differenza.

Ho chiamato quest'ultima affermazione "verità" per semplicità di linguaggio, ma, in base a ciò che ho detto prima, preferisco quest'ultima affermazione non perché sia più vera, o più completa, ma solo perché mi dà la sensazione di farmi realizzare meglio, con più completezza e ricchezza, le mie facoltà di cui ho sensazione come essere umano, tra cui la mia facoltà di collaborare liberamente alla mia evoluzione di essere umano.

Apeiron

@Angelo Cannata

E su affermazioni indimostrabili/infalsificabili ci possono essere errori? Dire che ad esempio esiste una "verità assoluta" che noi conosciamo in modo approssimato e distorto è una affermazione indimostrabile. Ha senso però parlare di "errore" in questo caso?  :)
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Discussioni simili (5)