Testi per Riflettere
Le radici pagane del Natale
di Elena Savino - Jubal editore
Del sole
Per inspiegabile che sembri, la data di nascita di Cristo non è nota. I vangeli non ne indicano né il giorno né l’anno […] fu assegnata la data del solstizio d’inverno perché in quel giorno in cui il sole comincia il suo ritorno nei cieli boreali, i pagani che adoravano Mitra celebravano il Dies Natalis Solis Invicti (giorno della nascita del Sole invincibile).
- Nuova enciclopedia cattolica dell’Ordine Francescano (1941) -
Nel corso della ricerca di informazioni e documenti riguardanti le origini pagane del Natale, quello che stupisce è che la data del 25 dicembre, prima di diventare celebre come “compleanno di Gesù”, sia stata giorno di festa per i popoli di culture e religioni molto distanti tra loro, nel tempo e nello spazio.
Le origini di questi antichi culti vanno ricercate in ciò che è “principio” della vita sulla terra e che “dal principio” è stato oggetto di culto e di venerazione: il sole.
Agli albori dell’umanità, esisteva un ricco calendario di feste annuali e stagionali e di riti di propiziazione e rinnovamento.
I popoli nel periodo primitivo della loro esistenza erano intimamente legati al “ciclo della natura” poiché da questo dipendeva la loro stessa sopravvivenza. Al tempo, la vita naturale appariva indecifrabile, incombente, potente espressione di forze da accattivarsi; era un mondo magico. L’uomo antico si sentiva parte di quella natura, ma in posizione di debolezza. Per questo, attraverso il rito, cercava di “fare amicizia” con questa o quella forza insita in essa.
Al centro di questo ciclo c’era l’astro che scandiva il ritmo della giornata, la “stella del mattino” che determinava i ritmi della fruttificazione e che condizionava tutta la vita dell’uomo. Per quest’ultimo, temere che il sole non sorgesse più, vederlo perdere forza d’inverno riducendo sempre più il suo corso nel cielo, era un’esperienza tragica che minacciava la sua stessa vita. Perciò, doveva essere esorcizzata con riti che avessero lo scopo di evitare che il sole non si innalzasse più o di aiutarlo nel momento di minor forza.
È proprio partendo da questa considerazione che possiamo individuare le origini dei rituali e delle feste collegate al solstizio d’inverno.
Durante queste feste venivano accesi dei fuochi (usanza che si ritrova nella tradizione natalizia di bruciare il ceppo nel camino la notte della vigilia) che, con il loro calore e la loro luce, avevano la funzione di ridare forza al sole indebolito.
Spesso questi rituali avevano a che fare con la fertilità ed erano quindi legati alla riproduzione. Da qui l’usanza, nelle antiche celebrazioni, di danze e cerimoniali propiziatori dell’abbondanza e in alcuni casi, come negli antichi riti celtici e germanici, ma anche romani e greci, di accoppiamento durante le feste.
Del solstizio d’inverno
Il termine solstizio viene dal latino solstitium, che significa letteralmente “sole fermo” (da sol, “sole”, e sistere, “stare fermo”).
Se ci troviamo nell’emisfero nord della terra, nei giorni che vanno dal 22 al 24 dicembre possiamo infatti osservare come il sole sembra fermarsi in cielo, fenomeno tanto più evidente quanto più ci si avvicina all’equatore. In termini astronomici, in quel periodo il sole inverte il proprio moto nel senso della “declinazione”, cioè raggiunge il punto di massima distanza dal piano equatoriale. Il buio della notte raggiunge la massima estensione e la luce del giorno la minima. Si verificano cioè la notte più lunga e il giorno più corto dell’anno.
Subito dopo il solstizio, la luce del giorno torna gradatamente ad aumentare e il buio della notte a ridursi fino al solstizio d’estate, in giugno, quando avremo il giorno più lungo dell’anno e la notte più corta. Il giorno del solstizio cade generalmente il 21, ma per l’inversione apparente del moto solare diventa visibile il terzo/quarto giorno successivo. Il sole, quindi, nel solstizio d’inverno giunge nella sua fase più debole quanto a luce e calore, pare precipitare nell’oscurità, ma poi ritorna vitale e “invincibile” sulle stesse tenebre. E proprio il 25 dicembre sembra rinascere, ha cioè un nuovo “Natale”.
Questa interpretazione “astronomica” può spiegare perché il 25 dicembre sia una data celebrativa presente in culture e paesi così distanti tra loro. Tutto parte da una osservazione attenta del comportamento dei pianeti e del sole, e gli antichi, pare strano, conoscevano bene gli strumenti che permettevano loro di osservare e descrivere movimenti e comportamenti degli astri.
Per fare un esempio, a Maeshowe (Orkneys, Scozia) si erge un tumulo datato (con il metodo del carbone radioattivo) 2750 a.C. All’interno del tumulo c’è una struttura di pietra con un lungo ingresso a forma di tunnel. Questa costruzione è allineata in modo che la luce del sole possa scorrere attraverso il passaggio e splendere all’interno del megalite, illuminando in questo modo il retro della struttura. Questo accade al sorgere del sole e al solstizio d’inverno.
Delle origini comparate del Dio Sole
Pur non avventurandoci in comparazioni religiose che richiederebbero accurati studi, pena l’apparire ridicoli, diremo comunque che il 25 dicembre è associato al giorno di nascita o di festeggiamento di personaggi divini risalenti anche a secoli prima di Cristo.
Per citarne alcuni:
Il dio Horus egiziano
I mosaici e gli affreschi raffiguranti immagini di Horus in braccio a Iside ricordano l’iconografia cristiana della Madonna col bambino, tanto da indurci a credere che in epoca cristiana, per ovvi motivi, alcune rappresentazioni di Iside e Horus, spesso raffigurato come un bambino con la corona solare sul capo, furono probabilmente “riciclate”.
Il dio Mitra indo-persiano
Con buona pace della Gatto Trocchi, quello di Mitra fu il culto più concorrenziale al cristianesimo e col quale il cristianesimo si fuse sincreticamente. A proposito, anche Mitra era stato partorito da una vergine, aveva dodici discepoli e veniva soprannominato “il Salvatore”.
Gli dei babilonesi Tammuz e Shamas
Nel giorno corrispondente al 25 dicembre odierno, nel 3000 a.C. circa, veniva festeggiato il dio Sole babilonese Shamash. Il dio solare veniva chiamato Utu in sumerico e Shamash in accadico. Era il dio del Sole, della giustizia e della predizione, in quanto il sole vede tutto: passato, presente e futuro.
In Babilonia successivamente comparve il culto della dea Ishtar e di suo figlio Tammuz, che veniva considerato l’incarnazione del Sole. Allo stesso modo di Iside, anche Ishtar veniva rappresentata con il suo bambino tra le braccia. Attorno alla testa di Tammuz si rappresentava un’aureola di 12 stelle che simboleggiavano i dodici segni zodiacali.
È interessante aggiungere che anche in questo culto il dio Tammuz muore per risorgere dopo tre giorni.
Dioniso
Nei giorni del solstizio d’inverno, si svolgeva in onore di Dioniso una festa rituale chiamata Lenaea, “la festa delle donne selvagge”. Veniva celebrato il dio che “rinasceva” bambino dopo essere stato fatto a pezzi.
Bacab
Era il dio Sole nello Yucatan; si credeva che fosse stato messo al mondo dalla vergine Chiribirias.
Il dio Sole inca Wiracocha
Il dio sole inca veniva celebrato nella festa del solstizio d’inverno Inti Raymi (festeggiata il 24 giugno perché nell’emisfero sud, essendo le stagioni rovesciate, il solstizio d’inverno cade appunto in giugno).
Ovviamente i primi citati in questa rapida carrellata devono aver influito alquanto nella creazione del cristianesimo che, ricordiamolo una buona volta, non fu creato da Cristo. Riguardo invece ai culti solari precolombiani è interessante notare come i tempi e i simboli del sacro siano comuni a civiltà così distanti fra loro. Questo dovrebbe far sorgere più spesso il sospetto di un’origine comune delle religioni tramite uno studio comparato delle stesse alla ricerca del significato della vita. Invece, ottusamente ci si continua ad adagiare su fedi antropomorfiche dogmatiche e più o meno esplicitamente intolleranti nei confronti delle altre.
Da: Le radici pagane del Natale
di Elena Savino - Jubal editore
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