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Riflessioni Filosofiche

Riflessioni Filosofiche   a cura di Carlo Vespa   Indice

 

I Testi delle Piramidi

di Marco Calzoli - Settembre 2024


I Testi delle Piramidi (PT) sono produzioni dell’Antico Egitto risalenti all’Antico Regno. Sono scritti in Antico Egiziano, in un geroglifico molto formale (come l’alfabeto latino “quadrato”), all’interno delle piramidi di re e regine, localizzate a Saqqara, nella necropoli dell’allora capitale Menfi.
Risalgono ad un periodo che va dalla fine della V dinastia (con il faraone Unis/Unas) sino all’VIII dinastia (con il faraone Ibi), ovvero dal XXIV al XXII a.C., circa due secoli.  Le precedenti piramidi sono anepigrafe.

Solo le piramidi dei seguenti personaggi contengono testi: 

  • Unis (Dinastia V, ca. 2353–2323 B.C.)

  • Teti (VI, ca. 2323–2291 B.C.) 

  • Pepi I (VI, ca. 2289–2255 B.C.) 

  • Ankhesenpepi II, moglie di Pepi I

  • Merenre (VI, ca. 2255–2246 B.C.) 

  • Pepi II Neferkara (VI, ca. 2246–2152 B.C.) 

  • Neith, moglie di Pepi II

  • Iput II, moglie di Pepi II

  • Wedjebetni, moglie di Pepi II

  • Ibi (VIII, ca. 2109–2107 B.C.).

I testi principali sono quelli contenuti nelle piramidi dei primi cinque re (Unis, Teti, Pepi I, Merenre, Pepi II).
Scoperti inizialmente da Gaston Maspero a partire dal 1880; ma l’ultimo ritrovamento risale al 2001, quindi è un corpus ancora in itinere.
Sono i testi di contenuto religioso più antichi di cui siamo in possesso. Si tratta di un insieme di formule rituali che hanno lo scopo di guidare e accompagnare il defunto, re o regina, nel viaggio dal sarcofago alla rinascita.
Originariamente recitate a memoria durante il rituale funebre, poi forse trascritte su papiri redatti presumibilmente in ieratico o in un geroglifico semi-corsivo, precursore del geroglifico corsivo usato nei libri dei morti (Nuovo Regno). A cominciare da Unas, a partire dal papiro, iniziano ad essere scritte in forma epigrafica (geroglifico) sulle pareti delle piramidi in un certo ordine, che rifletta il viaggio del defunto verso la stanza del sarcofago. Gli studiosi lo ipotizzano anche perché a volte il defunto maschio è indicato nella formula con un pronome femminile, e viceversa: probabilmente chi ha inciso I Testi delle Piramidi sulle pareti della tomba si sbagliava a copiare dal papiro.
Alcune formule sono pensate per essere pronunciate dal ka del defunto in prima persona, altre in seconda persona dal sacerdote ritualista, presumibilmente il figlio erede.
Le formule venivano recitate secondo la sequenza richiesta dal rito.  C’è infatti una corrispondenza tra il corpus delle formule, la disposizione degli spazi nella tomba e il percorso del re defunto all’interno delle stanze della piramide, verso il sarcofago e verso la resurrezione al giorno.
Di solito nelle piramidi vi è un lungo corridoio, alla fine del quale si trova uno spazio quadrato detto Anticamera, con una porta sulla parete a sinistra che introduce in un ambiente detto Serdab; invece la porta a destra dell’anticamera è la stanza del sarcofago.   In tutto questo percorso ci sono formule sulle pareti.
Su ciascuna parete iscritta, le formule sviluppano uno o più temi rituali.  Ad esempio nella sala del Sarcofago (Burial Chamber o Sargkammer) della Piramide di Unas abbiamo:

  • Parete Nord: viene offerto al defunto l’unguento adoperato per la imbalsamazione, probabilmente a base di natron, detto Occhio di Horus, accompagnato con offerte di cibo e consegna delle insegne reali (scettro, abbigliamento, e altri simboli di potere regale). Secondo il mito, l’occhio fu strappato a Horus da Set ed è il simbolo della distruzione e della morte, quindi quando viene riparato ritualmente è il simbolo della guarigione e della vita. In PT 112 è scritto: m n.k irt Hrw jtHt.n.f, “prendi (m n.k) l’Occhio di Horus (irt Hrw) strappato (jtH, participio compiuto femminile passivo) da lui (n.f)”, cioè da Set. In PT 111 è scritto: l’Occhio di Horus “che Set calpesta”, tjt stS (participio incompiuto attivo, che potrebbe avere anche valore iterativo: “che Set calpesta abitualmente”). In un altro famoso PT è scritto: wsjr m n.k irt Hrw xw tj=f s, “Osiride (wsjr) prendi l’occhio di Horus e impedisci (xw) che lui lo (s) calpesti (tj=f)”, cioè impedisci che Set lo calpesti. Bisogna osservare che il verbo xw significa di per sé “proteggere” (il nome egiziano del faraone Cheope è Xnmw-xw=f-w(j), Khenemu protegge me, in copto divenne Kheof, quindi dal copto i greci hanno tratto la pronuncia odierna, cioè Cheope), però quando xw è seguito da una sDm=f significa “impedire”. Pertanto dire Occhio di Horus l’unguento della imbalsamazione vuol dire che l’imbalsamazione è la preparazione alla nuova vita. Il cibo è il collegamento alla nuova vita, così come le insigne regali, simbolo del suo potere anche nella vita risorta nel mondo dei morti.  Natron e Salnitro sono due parole che indicano la stessa sostanza, di derivazione egiziana ntry.   Natron deriva dal dialetto copto sahidico natrion, mentre nitron dal dialetto achmimico .    

 

  • Parete Sud: rituale della resurrezione a nuova vita grazie a Nut. Il re risorge a nuova vita grazie al sarcofago, che viene identificato con la dea Nut, che rappresenta il cielo (il Sole segue il suo viaggio per illuminare la terra nel corpo di Nut, così come il sovrano compie il suo viaggio ultraterreno nel sarcofago). Si tratta di formule di risurrezione, nelle quali il re viene riportato nel mondo dei vivi, cioè viene invocato dal sacerdote e quindi risorge, si alza, e viene chiamato a fare presso i morti ciò che faceva presso i vivi, cioè a regnare e giudicare. In PT 213 è scritto:  aA NN nj sm.n.k js mt.tj sm.n.k ank.t/Hms hr xnd jsjrt/Aba.k m a.k wd.k mdw n ankw, “O NN (nome del re defunto), non sei andato (sDm.n=f) da morto, sei andato da vivo/ Siedi sul trono di Osiride/(con) lo scettro nella tua mano e comanda ai viventi”. La particella aA: esclamazione molto frequente in egiziano antico. Nj … js: esprime una negazione, analogamente al francese ne… pas. Mt.tj è uno stativo con valore predicativo, cioè “nella condizione di morto”, analogamente alla m di stato – lo stativo si usa per gli aggettivi, invece la m di stato per i sostantivi. La forma mt.tj è interessante per la storia della lingua. Originariamente il verbo egiziano “morire” aveva una w radicale, cioè mwt, come in ebraico e arabo. All’inizio lo stativo II persona di questo verbo era mawitatj, per sincope diventa mawittj, la w intervocalico cade, ergo maittj, ergo mittj, la vocale finale cade e infine abbiamo mit. Nella scrittura la vocale non è segnata e troviamo solo mt. È successo che la desinenza dello stativo II persona singolare (-tj) si è fusa con la radice. Ma ancora nei Testi delle Piramidi questi fenomeni non si erano verificati e quindi si conserva la desinenza dello stativo –tj, per questo in PT 213 abbiamo lo stativo II persona mt.tj. Un’altra ipotesi è che la desinenza sia –atj, come in accadico, e per questo tj non cade.  Il verbo perifrastico wD mdw, significa letteralmente “assegnare la parola”, “assegnare il comando”, cioè “comandare”, molto importante nei PT. 

  • Parete Est: rituale del mattino al sorgere del sole, con formule che ritraggono il rituale quotidiano del Re che si preparava per la giornata e adesso lo compie nel mondo dei morti.  

Su altre pareti ci sono formule con cui ci si affida alla protezione di esseri divini per la difesa contro entità maligne e negative quali serpenti, vermi o demoni (per esempio, Apophis, che si oppone a Ra nel suo viaggio notturno e da Ra viene ucciso ogni notte). Sono testi difficilmente comprensibili, con termini a noi non ben noti. Per alcuni studiosi ci sarebbero parole dalla lingua cananaica.  Facciamo un solo esempio. In PT 286 si racconta in egiziano che i "Byblites sono strisciati via". Il predicato "strisciò via, scivolò via" (zbnw) suggerisce che questi "Byblites" (Kbnw al plurale) sono serpenti, ma perché vengono chiamati "Byblites" e perché sono strisciati via? La risposta a queste domande è data in la frase precedente, che è un comando semitico: "Sbrigati (plurale!) lontano da Rzr-Rzr, quelli la cui mano procura la morte." Il termine "Byblites" è stato preso come metafora dei serpenti, ma ora è evidente che lo sia: si riferisce letteralmente ai serpenti di Biblo (vipere palestinesi?).
La numerazione dei Testi delle Piramidi si deve allo studioso tedesco, Kurt Sethe che ha enumerato sequenzialmente le unità conosciute all'epoca, partendo da quelle di Unas e integrandole con Teti, Pepy I, Merenra e Pepy II. Secondo Allen, la numerazione di Sethe riflette abbastanza la sequenza del rito funerario.
Menzioniamo l’importante edizione critica: K. Sethe, Übersetzung und Kommentar zu den altägyptischen Pyramidentexten, 4 voll., 1908–1922. I primi due volumi contengono tutte le formule trascritte a mano:   Volume I da formula 1 a 468 e Volume II da 469 a 714.  Il volume III contiene l’apparato critico sulle frasi da 1 a 2218.  Contiene inoltre la mappa delle tombe di Unas, Teti, Pepy I, Menenra e Pepy II Neferkara e i disegni delle pareti.  Infine contiene la tabella di concordanza (simile a quella poi aggiornata da Allen) con la numerazione per ciascuna piramide e la formula corrispondente.
La  seconda edizione di questa importante opera:  K. Sethe, Übersetzung und Kommentar zu den altägyptischen Pyramidentexten. 2nd ed., 6 voll. Hamburg: Augustin, 1935–1962 (con Wolja Erichsen).  Per ciascuna formula Sethe include i riferimenti alle varianti della formula, la traduzione in tedesco, delle considerazioni semantiche generali, e i Kommentar ovvero il commento grammaticale. 
Altri importanti riferimenti bibliografici per conoscere questo corpus:

  • James P. Allen, The Ancient Egyptian Pyramid Texts (2005)

  • James P. Allen,  A new concordance of the Pyramid Texts (5 voll., 2013)

  • James P. Allen, The inflection of the verb in the Pyramid Texts (2 voll., 1983).

Il primo libro di James P. Allen, The Ancient Egyptian Pyramid Texts, contiene la traduzione in inglese delle varie formule.  Include anche una tabella di corrispondenza aggiornata tra la numerazione per ciascuna piramide e la numerazione  del tipo di testo. Nel 2013, con la Brown University, Allen ha pubblicato altri 5 volumi, A new concordance of the Pyramid Texts. Il primo volume include l’introduzione esplicativa del suo approccio, la lista delle formule secondo la numerazione di Sethe, e loro presenza nelle varie piramidi. Segue la traslitterazione di tutte le formule. Nei volumi seguenti sono riportate in geroglifico le varie formule.
Inoltre, segnaliamo le traduzioni di:

  • Raymond O. Faulkner. 1969. The Ancient Egyptian Pyramid Texts, Translated into English. 2 voll., Oxford: Oxford University Press.

  • Samuel A. B. Mercer. 1952. The Pyramid Texts in Translation and Commentary. 4 voll., New York: Longmans, Green.

  • Alexandre Piankoff. 1968. The Pyramid of Unas.  Bollingen Series 40: Egyptian Religious Texts and Representations 5. Princeton: Princeton University Press.

In assenza di trascrizione delle vocali, l’Antico Egiziano (AE) è abbastanza simile al Medio Egiziano (ME). Maggiore è la differenza tra ME e copto.  Inoltre il geroglifico dell’AE presenta meno determinativi.
In generale, l’AE è caratterizzato da una maggiore “flessività” rispetto al ME, ovvero la capacità di esprimere in un unico morfema più relazioni grammaticali, quindi usando meno parole. Un po’ come il latino rispetto all’italiano. Al contrario, ad esempio, l’egiziano del Nuovo Regno farà grande uso di forme perifrastiche, ovvero presenta più parole per esprimere lo stesso concetto.
Una differenza assai rilevante dell’Antico Egiziano con il Medio Egiziano è che nel primo non abbiamo le forme pseudo verbali (per esempio, jw=f Hr sDm, “lui sta ascoltando”), sostituite dalla semplice sDm=f, che quindi può rappresentare un futuro, un congiuntivo esortativo, un presente aoristico e un presente generico.
Per di più, la forma pseudo-passiva sDm.tw.f “che egli sia ascoltato” in ME, è sDm.tj.f in AE.  Il fonema tj è espresso dal segno del pestello, infatti il verbo tj vuole dire calpestare. Ma non indica tanto un passivo quanto un impersonale: “si ascolti”.
Riportiamo altresì che l’AE ha la sDm.f passiva, uguale nelle consonanti a quella attiva del ME, ma si distingueva dalle vocali (che non sono scritte).
A titolo di esempio proponiamo l’analisi della formula 110 (da Neferkara Pepy II):

  • Dd-mdw wsr NN m n.k irt Hrw iab n.k s ir r.k

  • Dd-mdw zp 4 n NN pn fAt Hnkt zp 4.

Traduzione:

  • Dire le parole: Osiride NN  prendi/accetta l’Occhio di Horus e uniscilo alla tua bocca 

  • Dire le parole 4 volte per questo NN:   offrire 4 volte l’offerta.

Dd-mdw = dire le parole, recitare le parole; infinito iussivo o sostantivato. Si tratta di una espressione molto importante nei Testi delle Piramidi, che di norma sta all’inizio delle formule e che sopravvive in copto come cemtau, “formula magica”.
Verbo m  = prendere; prendi tu m-n.k, imperativo, letteralmente ”prendi, m, per te, n.k”.
Sintagma ir.t Hrw = Occhio di Horus, sostantivo femminile ir.t + genitivo Hrw di Horus  (stato costrutto).
Verbo jab = unire, qui potrebbe essere jab.n.k (hai unito, sdm.n.f, quindi: tu la hai unita alla tua bocca) oppure jab n.k (unisci, jab, a te, n.k, imperativo). Il contesto ci suggerisce che è un imperativo, come m n.k. Il natron (o salnitro) era una specie di dentifricio, per questo si dice di avvicinarlo alla bocca.
Particella s = pronome personale dipendente di terza persona femminile. È il pronome dipendente *sija (che troviamo anche in arabo, Hiya, “essa”), che in egiziano antico è sempre scritto s. Perché? La a era caduta (*sij), quindi si forma *si, che viene scritta semplicemente /s/ perché l’egiziano non inserisce le vocali.
Sintagma jr r=k, verso la tua bocca.   Le preposizioni m e r assumono in ME uno yod iniziale, im e ir, lo yod prostetico, ma solo quando sono seguite da un pronome suffisso (non si dice *m=f bensì im=f), ma non lo hanno se sono seguite da un nome (per esempio, si dice r bAk, ma si dice ir=f).   In AE lo yod prostetico è presente anche per i nomi.   In origine le preposizioni m, r avevano sempre lo yod, poi davanti ai nomi lo hanno perso.
Sostantivo r = bocca, da non confondere con ra (r’) = sole, o dio Ra. Abbiamo poi il verbo fAt  = offrire (infinito). Hnkt = offerta.
C’è in merito un’altra curiosità filologica. M n.k è l’imperativo di rdi, “prendere”. La questione, tuttavia, potrebbe essere molto più complicata, e questo m potrebbe essere etimologicamente imparentato con un m deittico da cui deriverebbero mk (“Ecco!”, “Guarda”) e le particelle ad esso correlate: E. Oreal, Les particules en egyptien ancien – De l’ancien egyptien à l’egyptien classique, BiEtud 152, Cairo 2011, §7.6.2 (etimologia di mk). Infatti Oreal, basandosi proprio sui PT, propone che la tipica formula di offerta m n.k, ricorrente in ogni epoca egizia, debba essere più propriamente glossata come “Ecco a te” o “Ecco per te”, anziché “Prendi per te” o “Ricevi per te”. Allen lascia intendere che per lui si tratta non tanto di un deittico quanto di un elemento vocativo: “The particle m is the most frequently used of the vocatives, appearing 96 times in Unis’s texts. It is used when presenting an object to someone in direct address, or when bringing a fact to someone’s attention”; più oltre: “It is evident from the various uses of the particle that m, m-n, m kw/ṯ w, and mk are stylistic rather than grammatical variants”. Tutti gli studiosi di grammatica egizia sono comunque concordi nel correlare questa particella con l’equivalente copto mo.
Gli studiosi discutono anche su un altro verbo. In PT 120 è scritto: Dd-mdw wsir NN m n.k irt Hrw m s(y) Hbnbn.s, “Recitare le parole: Osiride NN prendi l’Occhio di Horus non lo far scivolare”. Secondo questa traduzione, m ha significato di negazione.  Oppure potrebbe essere m(k) sy Hbnbn, “guarda ella sta scivolando”, riferito a Occhio, irt, di genere femminile.
La traduzione del verbo Hbnbn è assai controversa.  Questo verbo è riportato, secondo il Thesaurus Linguae Aegyptiae, 9 volte nei PT e una volta nell’iscrizione dedicatoria del tempio di Seti I ad Abido. TLA propone di tradurre il verbo come “scivolare verso il basso”, o simili, basandosi sul significato della radice, bnu̯, da cui si presume tale verbo derivi. Tale radice viene interpretata col significato di “fuggire, andare via, scappare, andarsene, partire”. Parrebbe poi che il verbo Hbnbn si sia evoluto trasformandosi nel demotico Hbrbr, attestato, secondo TLA, una sola volta, e a cui è attribuito il significato di “buttare giù, essere prostrato, strisciare” con esiti successivi nel copto.
Allen lo riporta nella sua, parzialmente obsoleta, trattazione del verbo nei PT (The Inflection of the Verb in the Pyramid Texts), nel capitolo dedicato ai quinquilitteri (assieme ad altri verbi formati con H quali Haiai ed Hknkn, entrambi col significato di “giubilare, gioire, essere eccitati, esultare”). Nel suo più recente studio della grammatica dei PT (A Grammar of the Ancient Egyptian Pyramid Texts, 2017), Allen classifica questi verbi in modo diverso da quello tradizionale introdotto originariamente dal Sethe:

“Reduplicated forms and the s-causatives, which Sethe classified as distinct root classes, are here considered to be stems of primary roots, and the same is true for some stems formed by the affixation of n or H to a primary root: thus, for example, Hbnbn “bounce” and sHbnbn “make bounce” as H-stem redup. and H-stem redup. caus. of 2-lit. *bn “swell” rather than 5-lit. and caus. 5-lit”.

È interessante notare come Allen faccia derivare, contrariamente a TLA, il verbo Hbnbn da una radice *bn “gonfiare/rigonfiare”. Il causativo sHbnbn è riferito da Allen, contrariamente a quanto ipotizzato nel suo vecchio studio del The Inflection of the Verb of PT, come presente proprio in Utt. 120.1 dei PT: “m sHbnbn s <<don’t make it bounce around>>”; cioè “non farlo rimbalzare”. Ad ulteriore ripensamento di tutte le proprie ipotesi precedenti, Allen, nel suo studio sulla fonologia egizia (Ancient Egyptian Phonology, 2020), fa derivare Hbnbn, cui attribuisce il significato di “smantellare”, da una radice Hbn che lui interpreta come “abolire” che, dopo duplicazione in HbnHbn, si contrae nel più semplice Hbnbn. Non è tuttavia ben chiaro come per Allen questo nuovo significato si abbini al resto delle formule dei PT in cui tale verbo compare.


Marco Calzoli


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Marco Calzoli è nato a Todi (Pg) il 26.06.1983. Ha conseguito la laurea in Lettere, indirizzo classico, all’Università degli Studi di Perugia nel 2006. Conosce molte lingue antiche e moderne, tra le quali lingue classiche, sanscrito, ittita, lingue semitiche, egiziano antico, cinese. Cultore della psicologia e delle neuroscienze, è esperto in criminologia con formazione accreditata. Ideatore di un interessante approccio psicologico denominato Dimensione Depressiva (sperimentato per opera di un Istituto di psicologia applicata dell’Umbria nel 2011). Ha conseguito il Master in Scienze Integrative Applicate (Edizione 2020) presso Real Way of Life – Association for Integrative Sciences. Ha conseguito il Diploma Superiore biennale di Filosofia Orientale e Interculturale presso la Scuola Superiore di Filosofia Orientale e Comparativa – Istituto di Scienze dell’Uomo nel 2022. Ha dato alle stampe con varie Case Editrici 51 libri di poesie, di filosofia, di psicologia, di scienze umane, di antropologia. Ha pubblicato anche molti articoli. Da anni è collaboratore culturale di riviste cartacee, riviste digitali, importanti siti web.



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